Retrocomics - Vertigo tra passato, presente e futuro
Dialogo con Fabrizio Nocerino, Emilio Cirri, Giovanni Campodonico e Filo Torta sull'etichetta di cui DC ha annunciato il rilancio nel 2026 con dieci serie
Qualche giorno fa, la DC ha annunciato la resurrezione della sua etichetta più iconica e iconoclasta: la Vertigo. Ne abbiamo già parlato in varie occasioni, per esempio qui e qui, e ancora ne parleremo perché la sua importanza trascende quello di semplice imprint editoriale.
Questa volta io e Giuseppe abbiamo chiesto ad alcuni dei nostri esperti di comics americani di raccontarci cosa ne pensano della creatura, nata da un’intuizione di Karen Berger.
Come sempre ho editato pochissimo per trasmettere la “voce” di tutti.
Iniziamo?
Iniziamo.
Quale importanza ha avuto la Vertigo nella storia del fumetto statunitense?
Fabrizio Nocerino: Un’importanza cruciale: il lavoro e il genio di Karen Berger furono cruciali nel catturare l’essenza di una controcultura che stava diventando valvola di sfogo per quella che sarebbe poi diventata la Generazione X. Vertigo fu l’occasione perfetta per far respirare il fumetto - aprirlo oltre i suoi confini stabiliti e sperimentare con nuove voci, nuove sensibilità. Non parlo solo della cosiddetta “British Invasion” ma di un'intera schiera di autori, autrici e artisti che non avrebbero avuto una piattaforma così rilevante senza quest’opportunità - mi viene da pensare ai Chris Bachalo, ai Frank Quitely del mondo del fumetto.
Emilio Cirri: Ci sono mille motivi per cui Vertigo sia stata una esperienza fondamentale, una vera e propria pietra miliare del fumetto statunitense e mondiale. Credo che forse il principale merito dell’etichetta e della sua principale creatice, Karen Berger, sia quello di aver raccolto tutta una serie di input che già da tempo si agitavano nel fumetto statunitense, durante quegli anni ’80 che vedono non solo la destrutturazione del supereroe, ma anche e soprattutto la nascita di realtà che cercavano un punto di incontro tra fumetto mainstream, fumetto autoriale e fumetto indipendente (Caliber Comics, Dark Horse e così via). Questi input, che Berger stessa aveva portato in DC Comics facendo l’editor per serie minori ed essendo fautrice della cosiddetta British Invasion, sono stati canalizzati in un progetto che aveva alle sue spalle una struttura forte, fondi adeguati e fiducia tanto negli editor quanto negli autori, un progetto che aveva una identità ben precisa pur nell’estrema diversità dei suoi titoli. Inserendosi in un mercato in forte espansione ma anche estremamente bulimico come quello degli anni ’90 pre scoppio della bolla fumettistica, Vertigo ha contribuito a riportare nella serialità mainstream generi (come l'horror e il pulp) che sono sempre stati parte del fumetto statunitense ma che con la Silver Age dei supereroi erano finiti in un angolo o comunque avevano perso la loro centralità. Ha inoltre dato voce a molti autori e autrici che non avevano fatto fumetto prima, o che volevano fare un fumetto diverso, che pescasse da altri media, dalla letteratura al cinema, ma anche da altri sistemi culturali, in particolare quello europeo. In un panorama che offriva supereroi sopra le righe e una speculazione che ha portato l’industria al collasso, DC Comics ha avuto il pregio di dimostrare che un altro fumetto era possibile, che un altro pubblico era accessibile, e che forse si poteva ripartire da lì.
Giovanni Campodonico: Non sono sicuro di avere una singola risposta, perché parliamo comunque di un qualcosa di multiforme, il cui grande sviluppo è avvenuto a porte chiuse, e per quanto ci siano state raccontate storie, e si abbiano dei dati, dall’esterno è sempre complesso avere un quadro completo, ma se dovessi scegliere un solo ambito, credo che sia sempre il vecchio adagio del non scrivere quello che vuole il lettore, ma quello che non sa di volere. La Vertigo era un’idea organica, ben studiata, che nel 1993 il picco assoluto del blockbuster a tema tutine diceva: ma sapete cosa? Noi non si vuole fare questo. Certo, c’è del mainstream supereroico americano insito nel DNA Vertigo, ma non è l’unico riferimento, c’è anche gran parte di quel mondo che esula dalla singola prospettiva del lettore fatto di musica, teatro, libri e film che hanno formato gli autori e che lo spinge a volerne sapere di più, a far sì che il fumetto diventi porta per lasciare il fumetto alle spalle, ed esplorare di più quel mondo che veniva raccontato. Si potrebbe dire che la Vertigo ha dimostrato che si poteva andare contro quello che dettava il sentimento comune, e fare bene lo stesso. Personalmente, ci ho visto anche il coraggio di fare un passo indietro, guardare al passato (c’è moltissimo della mai troppo elogiata EC Comics nella Vertigo) e fare un passo indietro in certe modalità produttive, per poi rivelare di aver soltanto preso la rincorsa per fare un bel balzo in avanti.
Filo Torta: Premettendo che non sono un grande esperto di storia del fumetto, è innegabile il ruolo di Karen Berger nel portare una visione esterna, quella britannica in particolare, nel fumetto statunitense e di riportare nel mainstream generi come horror e fantasy, scomparsi con il Comics Code e l’emergere della supremazia di Marvel e DC. Questa importanza è spesso attribuita a Vertigo, ma l’etichetta nasce nel 1993 e trovo che la vera rivoluzione Berger l’avesse già portata in precedenza, lavorando all’interno di DC Comics. Vertigo come entità distinta poi ha proseguito il lavoro, permettendo a tanti autori di poter scrivere storie differenti dai supereroi e ampliando il panorama di voci e di stili grafici del mainstream.
È tutto oro quello che luccica?
Fabrizio: No, certamente. A volte bisogna andare oltre i “rose-tinted glasses” della nostalgia…
Emilio: Non sono il più grande esperto di titoli Vertigo, ma come tutte le operazioni di questo tipo, specie agli inizi (ma anche in seguito) ci sono stati inciampi e operazioni meno riuscite di altre, tant’è che anche in tempi in cui era possibile fare serie piuttosto lunghe (diciamo fino agli anni 2010), il catalogo Vertigo è costellato di tantissime mini o one-shots. Alcune di queste erano scelte consapevoli e in un certo senso hanno settato il format della miniserie, in altri casi erano pilot di cose non completamente riuscite che finivano lì, che venivano interrotte magari per via di un progetto non ben strutturato o di scarsi riscontri. E anche in questo è comunque un elemento che Vertigo ha portato sul mercato. Insomma, ci sono serie brutte anche in Vertigo, ma ci si ricorda di più quelle belle.
Giovanni: Ovviamente no, per quanto ci si possa sforzare, non tutte le idee proposte negli anni colpiscono allo stesso modo, e paradossalmente nel corso degli anni altre case editrici indie hanno catturato lo spirito Vertigo molto meglio di quanto non l’abbia fatto la Vertigo stessa, che aveva sicuramente più paletti dovendo stare sotto un certo ombrello. Lato pratico poi, come molti progetti figli di un certo tempo e di una certa idea, il destino di sembrare obsoleti con gli occhi della storia è dietro l’angolo. E aggiungo anche una banalità, ma ho fatto il finto saputo fino ad adesso e posso fare l’uomo della strada: qualsiasi progetto dove il branding diventa superiore al progetto stesso prima o poi inizia a perdere pezzi.
Filo: Ovviamente no. Vertigo e Karen Berger hanno ampliato le possibilità del fumetto mainstream USA, producendo opere di qualità e con un pubblico di riferimento più adulto. Ma mantenendosi comunque sempre sotto DC Comics non ha mai avuto l’ambizione di cercare un nuovo modello di distribuzione o un nuovo approccio al marketing, lasciando quindi la struttura del mercato statunitense, con i supereroi al centro, inalterata. E questo si è visto non solo nelle vendite ma anche nella scelta degli autori e dei disegnatori, con pochissime donne o membri di minoranze che hanno scritto o disegnato per la casa editrice in percentuale.
Ho questa sensazione, spesso mi sembra che si usi la Vertigo (e i suoi titoli) come modo per sentirsi “lettori vip” o peggio radical chic. È solo un mio sentire?
Fabrizio: La domanda mi riporta in mente lo scontro eterno tra fumetti e graphic novel. Ci sarà sempre un frangia di lettori e lettrici che vorranno scrollarsi di dosso l’idea di star leggendo un fumetto ma credo sia uno stigma ormai superato; Vertigo nacque con l’idea di rivolgersi a un pubblico maturo - ciò non implica sempre il dover affrontare i massimi sistemi filosofici della vita e dell’universo. A volte la storia necessita mostrare un corpo maciullato o un seno nudo, sai com’è? Personalmente non mi sono mai sentito più adulto nel leggere lo Swamp Thing di Moore rispetto l’Amazing Spider-Man di Straczynski.
Emilio: Berger voleva esplicitamente fare fumetti per adulti, lo ha dichiarato più volte e ha lavorato in tal senso. Da lì in poi, con l’avvento in seguito delle graphic novel, si è sempre più puntato su questo, sul cercare di rendere il fumetto un qualcosa di “alto”, perlomeno in termini commerciali, in una continua rincorsa al riconoscimento (che poi si traducesse in vendite) di un pubblico diverso e più ampio. Vertigo ha spinto anche per questo, e come per tante cose ci sono pro e contro. È vero però che conosco persone che quando gli chiedi se leggono fumetti dicono no, che leggono graphic novels, ma tra queste ci mettono anche Sandman, per dire. Ma chi legge fumetti sa che sempre fumetti sono.
Giovanni: Non credo sia solo un tuo sentire, come in tutti gli ambiti (e nel fumetto che è principe del gatekeeping) il sentirsi parte di un club che legge solo “fumetti belli” è un canto di sirena irresistibile. Però, il mio sentire è un poco diverso; nel senso quello che percepisco io è forse una minor ricerca del titolo “archeologico” del lettore di comics medio, e quindi più che snob, come lettori Vertigo si passa (spesso giustamente) per anziani.
Filo: No, non penso sia solo un tuo sentire. Spesso dire di leggere Vertigo è stato usato come il termine graphic novel. Un modo per sembrare più adulti e sofisticati al confronto degli infantili fumetti di supereroi. Ma a pensarci bene gli scrittori erano quasi sempre gli stessi. Certo qui potevano lavorare con più libertà, anche grafica, ma la distanza era minore di quella che si voleva far credere.
Cosa non ha funzionato a un certo punto? È tutto riconducibile all'abbandono di Karen Berger?
Fabrizio: Credo che Vertigo a un certo punto sia diventata semplicemente un’etichetta da applicare alla copertina di un fumetto piuttosto che un modus vivendi di intendere il fumetto - la ricercatezza artistica, la voglia di mettersi in gioco e scuotere le fondamenta di storie e personaggi. Sicuramente l’uscita di scena di Karen Berger ha influito: nel 2013 DC (ma più generalmente l’intera industria del fumetto) cambiò radicalmente con un maggiore focus su proprietà intellettuali più facilmente adattabili e trasportabili verso lidi decisamente più remunerativi della carta stampata come il cinema e i videogiochi. I supereroi tornarono a essere il focus principale e l’idea di una voce fortemente controculturale, fuori dal coro come Vertigo, venne assorbita a un’idea più generalista - o “popculturale” se vogliamo chiamarla così. Tra l’altro il ventennio dagli anni ‘90 ai ‘10 vide anche una massiccia espansione di Image e Dark Horse Comics - lidi nuovi, editorialmente più liberi e anche remunerativi per gli autori.
Emilio: L’abbandono di Karen Berger ha sicuramente avuto un’influenza sul declino dell’imprint, così come determinate scelte fatte all’epoca dalla DC di Dan DiDio (il ritorno nell’universo supereroistico di alcuni personaggi come John Costantine, per esempio) che non vedeva più questa etichetta come un qualcosa su cui puntare fortemente come in anni precedenti. Ma credo che il grosso lo abbia fatto il cambio del mercato statunitense: negli anni 2000 sono emerse sempre più realtà che facevano quello che faceva DC Comics (una su tutte, la rinnovata Image Comics) e lo facevano dando più libertà, più diritti, più soldi anche ai loro autori, con progetti ambiziosi e visioni ben definite. DC ci ha provato, ha affidato l’imprint a due grandi professionisti come Shelly Bond prima e Mark Doyle poi, ma ormai la concorrenza nel mercato creator-owned era troppo grande e si è deciso di puntare sul brand principale, quello dei supereroi. E la concorrenza al di fuori delle Big Two è ancora fortissima: se si seguono siti specializzati come Polygon, The Beat e APT Comics che seguono il mercato, si vede quanti editori aprano e chiudano nel mercato creator-owned, quanti cambino rotta, si rinnovino e così via, in un mercato che non si espande al ritmo della sua stessa produzione. E per tornare a Karen Berger, che dal 2019 cura la collana Berger Books per Dark Horse Comics: pur con qualche titolo che ha raggiunto grandi risultati di critica e buoni risultati di pubblico, non siamo certo qui a parlare di una nuova Vertigo in DH, proprio perché anche Berger adesso si trova a dover lottare con tante altre proposte che fanno concorrenza ai suoi titoli.
Giovanni: Se devo azzardare un’ipotesi, più che l’abbandono di un’editor capace (che di sicuro ha influito) credo che ci sia stato uno scarso adattamento ai tempi che correvano. Nel momento in cui ad esempio la Image non era più un posto dove fare solo supertizi, ma una casa dove poter fare indie seriamente, e pure tenendosi i diritti delle proprie opere, aveva senso affidarsi a Vertigo? Sicuramente per qualche autore era molto ghiotto anche solo a livello di “tacca sul fucile” di carriera avere un titolo Vertigo, ma a livello proprio pratico, la proprietà intellettuale di quello che si pubblica è sempre un qualcosa che muove molto la bilancia. Forse più che l’abbandono di una grande, era il mondo che si era fatto troppo grosso.
Filo: Sicuramente l’addio di Karen Berger è stata la causa ma penso la fine di Vertigo sia coincisa anche con uno dei peggiori periodi della casa madre DC Comics. L’idea del New-52 per quanto innovativa e piena di possibilità è stata attuata senza una vera visione d’insieme e la fine della gestione Dan DiDio è stata pessima dal punto di vista editoriale, il passaggio poi al conglomerato Time Warner ha dato il colpo di grazia.
Il fumetto più brutto pubblicato dalla Vertigo?
Fabrizio: Non voglio essere scontato e parlare di buona parte di ciò che l’etichetta pubblicò tra il 2013 e il 2018 - quando erano Shelly Bond, poi Mark Doyle e Jamie S. Rich gli editor, anche perché qualcosa di buono ne venne fuori e sarebbe poco corretto. Personalmente posso dirti che, non avendo mai avuto grande affinità con i vampiri, pochi fumetti mi hanno lasciato indifferente come American Vampire di Scott Snyder e Rafael Albuquerque nonostante apprezzi tantissimo entrambi come autori.
Emilio: Quando si parla di brutto o bello mi trovo ad abitare in due corpi, quello del critico e quello del lettore. Non avendo letto qualsiasi titolo della Vertigo, indosserò i panni di quest’ultimo. Sul brutto sono più in difficoltà, anche pperché mi sono orientato su titoli non a caso acclamati da pubblico e critica. Se dovessi dire dei titoli non brutti, ma deludenti, che ad altri sono piaciuti e che sono scritti da autori di un certo calibro direi Vimanarama di Grant Morrison e Philip Bond, ma qui forse gioca più un ruolo l’aspettativa che avevo nel periodo in cui l’ho letto verso Grant Morrison e il fatto che mi sia rimasto un senso di grande incompiutezza, e Punk Rock Jesus, un’opera per me tanto bella da vedere quanto poco soddisfacente nella realizzazione viste le premesse, una cosa in pieno stile Murphy, caciarona e a tratti superficiale (ne ho scritto pure qui).
Giovanni: Non li ho letti tutti, e io faccio parte di quella bruttissima serie di persone dove nei fumetti la sceneggiatura purtroppo è più importante del disegno, e quindi a parer mio, Hellblazer è illeggibile spesso e volentieri.
Filo: Purtroppo avendone letti pochi, non ho mai esplorato davvero il catalogo con le opere minori. Per cui mi devo tristemente astenere, è divertente parlare di fumetti brutti.
Quello più bello?
Fabrizio: Questa è dura: di getto ti direi The Invisibles o Transmetropolitan ma voglio approfittare dell’occasione per citare Shade The Changing Man di Peter Milligan e Chris Bachalo.
Emilio: Se dovessi indicare il mio fumetto Vertigo preferito, non potrei che dire Scalped di Jason Aaron e R.M. Guera: per me è stato uno dei primi fumetti americani non di supereroi che ho letto, avevo 14 o 15 anni quando prendevo i volumi Planeta alla fornitissima Biblioteca Lazzerini di Prato, e ha avuto una profonda influenza su di me: faccio quel che faccio e sono quel che sono (fumettisticamente parlando, ma non solo) grazie a Scalped. E adesso che lo sto rileggendo nei volumi Panini non faccio che riscoprire quanto sia ben fatto, anche nelle sue esagerazioni: Aaron prende il meglio delle storie di frontiera americane, ci mette dentro problematiche reali, gli dà un ritmo da serie tv, e poi R.M. Guera dà vita a tutta la brutalità e la mitologia delle riserve indiane con un tratto sporco, tagliente, disperato. Per me tra i migliori fumetti seriali di sempre.
Giovanni: Credo che Flex Mentallo sia il fumetto più bello mai pubblicato nella storia, questa era facile.
Filo: Dire Sandman è troppo scontato e poi, diciamocelo, nascendo prima di Vertigo non vale. E quindi diciamo Preacher, altrettanto scontato, ma quando hai 16 anni è la cosa più figa del mondo.
Parliamo di questa nuova incarnazione: cosa ti aspetti e cosa avresti voluto vedere annunciato?
Fabrizio: Mi aspetto grandi cose ma sto in guardia: i nomi coinvolti sono tutti molto interessanti. Non so precisamente cosa avrei voluto vedere annunciato; mi aspetto solo grande libertà editoriale e ci rimarrei male se venisse meno questa promessa implicita.
Emilio: In realtà non avevo nessuna particolare aspettativa, a essere onesto non ho sentito nessuna particolare eccitazione al primo annuncio, forse memore del precedente rilancio e consapevole dell’attuale condizione del mondo editoriale, dove anche etichette storiche possono fallire se non adeguatamente supportate, non solo finanziariamente ma anche e soprattutto con coraggio e idee chiare. Forse è questa l’aspettativa: progettualità e coraggio, se non per dare uno shock al sistema (cosa che non mi aspetto) perlomeno per creare belle storie.
Giovanni: Purtroppo, mi aspetto poco. Ma non a livello qualitativo (o meglio, non amando molto alcuni dei team creativi in arrivo magari pure quello) più che altro, veniamo da anni dove anche la casa editrice più piccola dell’universo è in grado di proporci storie pazzesche, e quindi mi aspetto “semplicemente” dei bei fumetti, trainati da un nome famoso. Ecco, forse rispetto ad un mare di serie spillate, la rivoluzione sarebbe stato fare un mix di spillati e libri più lunghi alternati, in modo da catturare meglio più fasce di lettori. Credo che fare la storia del medium purtroppo non passi più dalle etichette, ma da un cambio produttivo di un certo tipo.
Filo: Marie Javins ha lentamente preso il pieno controllo di DC Comics, ma l’ha fatto dando piena libertà ai suoi editor di sperimentare e di investire su autori di punta e soprattutto disegnatori di qualità. Chris Conroy, già editor di Black Label, ha dimostrato grande gusto soprattutto nella parte artistica, quindi mi aspetto fumetti graficamente molto belli, anche come impaginazione e confezione editoriale, che come genere puntino soprattutto a continuare nella tradizione Vertigo di horror, noir e fantasy, magari con un tocco di sci-fi in più. Magari avrei voluto vedere un team creativo davvero innovativo, qualche disegnatore da mercati non ancora esplorati appieno dal fumetto mainstream USA, mentre quello annunciato mi interessa molto, ma ha un po’ il sentore di usato sicuro.
Quale delle nuove serie credi possa avere maggior potenziale e perché?
Fabrizio: La mia attenzione è tutta rivolta al ritorno della coppia Deniz Camp e Stipe Morian: dopo 20th Century Men, rivederli insieme sarà fenomenale.
Emilio: Il roster è di quelli che mi fa drizzare le antenne: Chris Condon e Jacob Phillips, Ram V e Mike Perkins, Simon Spurrier e Aaron Campbell, Kyle Starks, Steve Pugh e Chris O’Halloran. Insomma, tutti i miei autori preferiti del momento. E visto che so che Fabrizio dirà Bleeding Hearts di Deniz Camp, Stipan Morian e Matt Hollingsworth, il team dietro al folgorante 20th Century Men, lascio a lui l’onore e vado dritto su The Crying Doll di Mariko Tamaki e Rosemary Valero-O’Connell. A me Mariko Tamaki piace sempre, in ogni sua declinazione, quando scrive supereroi, quando fa graphic novel, quando scrive young adult. Vederla di nuovo insieme con Rosemary Valero-O’Connell, con la quale ha realizzato il bellissimo Laura Dean Continua a Lasciarmi, su una serie che per me può anche essere una mini, non può che farmi felice.
Giovanni: Nel magico mondo dell’internet senza freni, la storia di una persona a cui la parasocialità distrugge la testa che ci hanno promesso in Fanatic di Grace Ellis e Hannah Templer racchiude sia tutte le mie paure più profonde, ovvero un mondo dove crediamo sia utile ripetere le opinioni con le stesse parole che ha usato qualcun altro, e il non uccidere metaforicamente i propri idoli, sia la mia speranza di vedere almeno un piccolo cambiamento del mondo. Tanto per tenersi bassi.
Filo: Sicuramente Bleeding Hearts perché Deniz Camp è lo scrittore del momento negli Stati Uniti e la sua partnership con Stipe Morian ha già dimostrato di funzionare alla grandissima su 20th Century Men, una delle migliori uscite Image degli ultimi anni.
Intervista a cura di Luca Frigerio