La voce della strada – La rivelazione dell'anno in quattro quarti
Un racconto urbano e contemporaneo, che parla della strada ma soprattutto di coloro che si ritrovano a viverci
Da molti anni ormai si è sviluppato e radicato un sottogenere di manga dedicato interamente al mondo della musica o di “ambientazione musicale”. Queste storie spesso replicano la struttura dello spokon, il fumetto di matrice sportiva che i giapponesi hanno reso famoso nel mondo: un ragazzo e una ragazza spesso giovani incontrano un genere musicale che non conoscevano o si ritrovano casualmente per le mani uno strumento e iniziano ad approfondirlo spesso per motivi futili, innamorandosi di esso. Esistono opere piuttosto interessanti a riguardo, che sono sempre legate alla passione, al fuoco sacro, a quel sentimento specifico che alcuni adolescenti sentono verso un qualcosa che diventerà una ragione di vita.
Esistono poi le opere in cui la musica è un contorno che però da senso al racconto. Su tutte forse la più importante, per quanto incompiuta, rimane Nana di Ai Yazawa, che utilizza la musica come contesto in cui far muovere i personaggi per raccontare le loro tormentate vite.
Nonostante abbia un'estetica totalmente distante da quella di Nana e se ne discosti artisticamente e anche musicalmente, La voce della strada di Kei Usuba, in Italia per J-Pop Manga, sembra inserirsi proprio in questa categoria di fumetti.
Attenzione, questo non dovrebbe essere un dato che passa in cavalleria: non stiamo parlando di un fumetto che possiamo leggere tutti i giorni, non solo perché non si tratta di un fumetto mediocre, ma anche perché con grande precisione e tecnica, nella sceneggiatura ancor prima che ai pennelli, Usuba riesce a trovare un modo personalissimo di raccontare questa storia.
Yukito, il protagonista, ha diciassette anni e di mestiere fa lo spacciatore. Questa vita di strada gli è stata imposta quando ha perso la sua famiglia, e anche sua sorella è morta. Yukito è rimasto invischiato nei debiti contratti da sua madre e si ritrova a lavorare per dei mafiosi di quartiere.
Le prime tavole del manga ci fanno comprendere immediatamente che quello che stiamo leggendo non è il solito racconto di un Giappone patinato e da copertina, quando l’autore ci presenta un dialogo fra il nostro e una madre in piena astinenza da metanfetamina. Il nostro protagonista è un buono, ma vive in un mondo in cui non può dimostrare la sua umanità. Per quanto possa farlo stare male, lui deve compiere tutte quelle azioni che una persona che svolge il suo lavoro deve fare. Dalla violenza allo spaccio in sé, il personaggio è prigioniero di un ruolo che non ha nemmeno potuto scegliere di interpretare.
C’è qualcosa che lo fa sentire bene, un gesto nervoso e compulsivo che compie dalla morte della sorella: scrivere. Il ragazzo riempie quaderni su quaderni, una tela di Penelope che va continuata per tener viva la memoria della sorella.
E poi c’è Meiji, suo coinquilino e migliore amico, un fratello acquisito, e soprattutto un producer già conosciuto nell’ambiente con lo pseudonimo di Nervous Rat. Meiji riconosce in Yukito un talento nella scrittura, vede in lui un potenziale e sente che attraverso il rap l’amico potrebbe uscire dal limbo di cui è prigioniero e trovare se stesso.
La musica qui è qualcosa che poco ha a che fare col successo e le grandi folle sognate dai protagonisti che incontriamo solitamente in questo tipo di manga. L’arte è per Yukito uno sfogo, il modo di raccontarsi al mondo, di urlare a tutti “Io esisto”, di far sì che la sua voce superi il baccano metropolitano. Ecco allora che Kei Usuba coglie nel segno: non realizza solo una storia sceneggiata con grande abilità ma centra anche uno degli ideali principali del movimento hip hop, del suo stile di vita basato sull’emergere, sull’alzare la mano in mezzo alla folla.
Per quanto riguarda la forma, la sceneggiatura in sé, siamo di fronte a un piccolo gioiello. Usuba ha una penna chirurgica e assembla un prodotto meravigliosamente tentacolare. Da un lato abbiamo il crudo realismo della storia raccontata, in cui i personaggi sono vividi e reali, e mai macchiettistici: i tossici non sono solo degli zombie senza volto, ma persone che hanno problemi e una vita, e gli spacciatori non sono soltanto dei cattivoni che vendono la droga, dei criminali, ma delle persone che in un mondo complesso provano a portare a casa la giornata esattamente come tutto il resto del bestiario che affolla una grande città moderna. Dall’altro utilizza il linguaggio del manga, la sua capacità di arrivare anche ai più giovani con un linguaggio diretto. Non si faccia confusione però: non ci stiamo riferendo qui allo slang che alberga nei dialoghi di questo manga, ma al modo che hanno i personaggi di interagire fra di loro, tra non detti, silenzi e mancanze, interazioni che rispecchiano pienamente e vivamente il contemporaneo nelle sue varie sfaccettature. Quelli che vediamo sono dei ragazzi veri, non loro epigoni stereotipati. Un'opera così complessa e stratificata rappresenta un tesoro preziosissimo nel segmento di mercato in cui La voce della strada si va a piazzare.
Se la sceneggiatura di Usuba è chirurgica, i suoi pennini sono estremamente sincopati, unendo sfondi e parti di vestiario, interi pezzi del medesimo disegno ad una grande qualità visiva e aggiungendo ad essi dei volti e delle espressioni estremamente semplificati, ma mai piatti, sempre in grado di rendere le emozioni dei personaggi, anche le più complesse, che affollano queste tavole. Mentre le linee del fumetto sono in ogni caso pulite, Usuba svolge un lavoro piuttosto interessante: sono il tratteggio e i grigi a dare, per paradosso, dinamicità e “segno” al fumetto che leggiamo. Una regia che riempie la gabbia di immagini ma fa muovere lentamente l’occhio del lettore seguendo un ritmo lento e cadenzato che ci fa soffermare sulle vite di questi ragazzi e sui loro sguardi inespressivi, dietro i quali l’autore riesce a nascondere qualcosa di molto più grande, un mondo che non vede l’ora di venir fuori e urlare e raccontare di una vita che poteva essere diversa.
Ma questo è anche, come abbiamo detto, un fumetto sulla musica rap, e il rap è presente in molte vignette. A tal proposito bisogna fare un plauso a J-Pop e in particolare a Prisco Oliva, che traduce il fumetto in maniera eccellente. Spesso in questo tipo di manga perdiamo completamente il senso metrico della musica che leggiamo, così, se è già complesso rappresentare la musica in immagini, diviene ancor più difficile seguire i testi delle canzoni. Oliva invece riesce non solo a mantenere il senso nella sua traduzione ma anche a tenere internamente il tipo di cadenza che caratterizza il rap in giapponese.
La voce della strada è un fumetto completo che dovreste leggere ad ogni costo soprattutto se siete scettici del mondo dei manga, se siete fan di un fumetto più politico e sociale, se venite da un contesto complesso o se semplicemente amate la musica rap. Ma ancor di più bisognerebbe leggere questo fumetto come scuola di sceneggiatura, per ricordarci che rappresentare la contemporaneità dandole quel gusto senza tempo della grande opera è un qualcosa di perfettamente possibile: basta avere un'anima. E La voce della strada un’anima ce l’ha.
Alessio Fasano