Letture seriali: Ain’t No Grave - Il Western secondo Skottie Young e Jorge Corona

L'Ultimo Duello

Eccoci qua, all'ultimo appuntamento con questa piccola parentesi di genere qui su Letture Seriali, una sorta di "Mio West", per citare quel vecchio film nostrano, in cui ho puntato i riflettori su fumetti davvero di Frontiera, nel senso che sullo sfondo canonizzato da tanto cinema e ben piantato nell'immaginario, ci si può in realtà costruire molto altro, lasciando ampio spazio alla Fantasia. Ma riprendiamo questo discorso in chiusura.

Perché, per il "Gran Finale", mi serviva un titolo che chiudesse il cerchio, giusto? Così, avendo iniziato con Tex e La Maledizione del Charro Negro, che vede questa figura immortale aggirarsi per il deserto intorno Nuevo Laredo (o almeno la sua leggenda), e avendo poi proseguito con Deadly Trails, dove il protagonista è un pistolero che ritorna dalla morte, passando così da un fumetto italiano ad uno americano ma scritto da una italiana, ho trovato avesse una sua poesia chiudere le fila con un fumetto americano con protagonista una pistolera che torna dall'oltretomba.

D'altronde, la scintilla che ha fatto nascere tutto è stata proprio Magico Vento, un fumetto che ha saputo ibridare le atmosfere del West con quelle del Mistero e del Soprannaturale, e l'elemento "Altro" è stata la bandiera dell'intera selezione, passando per lo Shōnen di Ghostgun e i superpoteri sciamanici di Winter Trails.

Perciò, dopo questa prolissa di par mio introduzione, eccomi a parlarvi di Ain’t No Grave, la miniserie Image che riunisce Skottie Young e Jorge Corona, pubblicata da noi in cartonato dal team di Bao Publishing, con un sottotitolo che fa molto locandina, "Sfida alla Morte".

Il team di Middlewest si riunisce così ancora una volta, e come per Il Me Che Ami Nelle Tenebre (entrambi catalogo Bao), anche in questo caso si tratta di cinque capitoli, che per Ain't No Grave assumono un preciso valore, oltre quello numerico. Cinque, come cinque sono le Fasi del Dolore.

Revolver Ridge Ryder è stata una famigerata fuorilegge, una leggenda, una temibile bandita e nessun treno o diligenza poteva dirsi al sicuro della sua pistola. Solo una cosa l'ha fatta capitolare, quella che fa capitolare chiunque di noi. E così oggi vive una vita serena insieme al suo compagno Darius, con il quale cresce una splendida e felice bambina.

Qualcosa per cui vale la pena lottare, qualcosa per cui vale la pena affrontare anche l'Inferno, e Ryder intende letteralmente, quando la malattia le presenta la sua condanna a morte certa. Non ci sta, non intende arrendersi, lei che ha sempre preso di petto ogni avversità, non intende rinunciare proprio adesso a questo suo piccolo angolo di Paradiso.

Così, piuttosto che accettare che i suoi cari la vedano sfiorire, agonizzante nei suoi ultimi giorni, sella il cavallo, e si mette in viaggio verso una destinazione che va oltre il confine del reale, oltre il limite dell'orizzonte, oltre la soglia di due alberi morti, con un solo obiettivo: sfidare la Morte, quella con la maiuscola, l'unica e sola, a duello e avere salva la vita, se non l'anima.

Un viaggio che ha cinque precise tappe, scandite dagli autori nei rispettivi stati d'animo della protagonista: Negazione, Rabbia, Contrattazione, Depressione e, infine, Accettazione.

Un viaggio che parla al lettore usando un linguaggio universale nei sentimenti e di genere nella messa in scena: il Western diventa, nell'idea di Young e Corona, una cornice per raffigurare un Aldilà ad immagine della protagonista, una figura evocativa, come una Calamity Jane rabbiosa ed implacabile, capace della miglior furia che una madre può possedere, e di quell'astuzia e tenacia che solo le vere eroine possiedono.

Ad una prima lettura, Ain't No Grave potrebbe apparire come una storia raccontata veloce proprio come una sfida, una gragnuola di colpi artistici sparati in faccia al lettore dal talento di Corona, ma poco altro, per una vicenda che pare risolversi sin troppo in fretta.

Poi però ritorni indietro, ed inizi a vedere quanto sentimento Skottie Young abbia saputo imprimere negli spazi bianchi, quanto anche il silenzio di una cavalcata nel deserto possa risuonare di precisi significati.

Il dolore immenso di chi sa di dover morire, il tempo concesso su questa terra destinato a scadere, e quel dubbio amletico, quell'unico punto interrogativo che conta: aspettare la fine circondati dall'amore dei propri cari, facendo valere ogni momento, o testardamente lottare e rendere quel tentativo un calvario? Un messaggio che va così oltre la storia raccontata e risuona, purtroppo, anche se lo sfondo fosse la quotidiana esistenza di tutti i giorni.

Ryder sceglie la seconda, così si avvia verso tutta una serie di stereotipati luoghi, non solo comuni, ma dell'immaginario stesso del Western, che Skottie Young cerca di scardinare quanto di rendere metaforici: Cypress Hill, le boomtown, i battelli saloon, le partite a poker con gli assi nella manica e le pistole in mano, i villaggi abbandonati sferzati da una pioggia perenne, e dove a parlare sono solo le note di una chitarra melanconica, in un capitolo, forse quello più intenso, dove le parole non sono necessarie, e difatti è proprio qui che il lavoro di Corona raggiunge il suo apice, dicendo tutto senza nuvolette parlanti.

Ed infine, con la polvere che turbina sulla main road, il duello a mezzogiorno, sotto un sole rosso, in una perenne eclissi delle anime.

Più il viaggio prosegue, più Ryder continua in questa sua folle e surreale crociata, più scopriamo lati di lei che forse ha imparato a nascondere anche a sé stessa, ricordi seppelliti in tombe senza nome nella memoria, perché troppo dolorosi, perché profondo promemoria che quella felicità raggiunta con Darius e la loro bambina forse non se l'è mai meritata, non con tutti i suoi peccati a bussare alla porta del rimpianto.

Così Ryder diventa una figura dolente, che nel mezzo del cammin della sua vita si è ritrovata per un deserto oscuro, davanti ad un Caronte che i suoi occhi di bragia li cela dietro un paio di occhialetti scuri, un corpulento stregone indiano a far da Minosse, e i vari demoni che incontra lungo la strada, attorniati da anime perse, diventano effigi del suo mondo, dallo sceriffo alle ballerine del saloon, sino alla Morte stessa, che si presenta come un pistolero di par suo, armato di falce e vestito come un funereo Sartana di uno Spaghetti Western.

Young e Corona costruiscono così un preciso e voluto omaggio di genere, e ancora una volta il talento del primo, anche come illustratore, permette al secondo di avere uno schema chiaro di come comporre la tavola, le inquadrature, quali iconografie ricercare, per trasformare il tutto in qualcosa di più emozionante di un "semplice" tratto cartoonesco.

Le figure sono esagerate, le anatomie spesso esasperate, nulla è reale, ma mai veramente etereo, quanto piuttosto sporco e polveroso, un Altroquando decadente anche quando lussureggiante in apparenza, dove la prospettiva e le proporzioni sono quelle tipiche del fumetto americano, incluse le immancabili splash pages che garantiscono sicuro spettacolo.

A cementare questa impressione, ci pensa il sodale colorista Jean-Francois Beaulieu che sa come prendersi i giusti meriti artistici, utilizzando una palette che spazia dal rosso acceso all'azzurro di un cielo terso, come al blu scuro di una notte senza stelle e al giallo di un abito elegante, in tutte le dense sfumature che queste cromie concedono.

Ne risulta così un fumetto dove il comparto grafico è indubbiamente quello che maggiormente la fa da padrone, anche a discapito di una trama semplice nel concetto, quanto importante nei suoi messaggi - la vendetta, le seconde possibilità, i rimpianti - il tutto per mettere un punto a quella domanda: "Ne è valsa la pena?".

Anche Ain't No Grave concorre così a dimostrare che il Western sa andare oltre i Bang!, le posse, i cappelli da cowboy e le frecce degli indiani, oltre il semplice gioco e trasformarsi abbracciando tanto altro, sfruttando la Fantasia per omaggiare se non reinventare.

E, proprio per questo, è ideale testimonial di chiusura di questo mio piccolo excursus tra uscite recenti, a dimostrazione e sfida (ma senza duello, solo per puro piacere) che il Western non è morto, ma anzi è pura fiamma creativa e va saputo celebrare proprio per questo, per il suo saper ispirare. Questo non vuol dire però che, se lo desideriate, non possiate continuare per conto vostro questo viaggio, magari andando ben più indietro.

Penso a Two Moons (di cui vi avevo parlato tempo addietro sempre qui su Letture Seriali) oppure ad un classicone come Jonah Hex, perché sono gli States la patria del Western, perché è un'epopea che fa parte della loro Storia, e dove sono nate le storie con la minuscola che ci affascinano e che hanno codificato stili e stilemi difficili da ignorare, e che abbiamo finito per far diventare un po' nostri, ibridandoli con il nostro sentire artistico, sia a fumetti che sul grande schermo, da Bonelli a Leone.

Letture Western, dove il Fantastico sa davvero essere una nuova... Frontiera!

Il Nerdastro

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