Letture Seriali: Two Moons
Quando l'Orrore guarda a Ovest: si potrebbe riassumere così Two Moons, il nuovo fumetto ideato da John Arcudi (co-creatore di The Mask - sì, quello portato poi al cinema da Jim Carrey - e autore di Rumble), e realizzato graficamente dal nostro Valerio Giangiordano (nel suo curriculum Martin Mystère, Savage Avengers, Ghost Rider).
Lo propongono i tipi di Saldapress in un bel brossurato che raccoglie il primo arco narrativo, Il Capestro di Ferro, edito negli States da Image Comics.
Stati Uniti, Guerra di Secessione: nel conflitto tra Unione e Confederati, il giovane Virgil si batte coi primi, in quella che è una delle pagine più violente della Storia. Virgil è un orfano Pawnee, cresciuto da bianchi, il cui nome di battesimo è Due Lune.
Da non confondere però col capo indiano omonimo, perché il caro Virgil, come scoprirà drammaticamente lui stesso, è diviso tra due mondi, quello terreno, fatto di esercito e salve di cannone, e quello spirituale, retaggio che gli arriva dal suo sangue, qualcosa che non può essere cancellato con un semplice diniego.
Dopo un drammatico susseguirsi di eventi, scoprirà infatti che nel conflitto tra fratelli della stessa patria, serpeggia un Male persino peggiore, un Male ancestrale, che si nutre della morte e della violenza, un Male che solo lui ha i mezzi per estirpare, un Male che ha un unico, ma letale, punto debole: il ferro...
Non penso di stupire nessuno, dicendo che il Western è uno dei generi a fumetti più amati qui da noi, ma Two Moons è più dalle parti di Magico Vento che di Tex, sia per la natura orrorifica del tutto, sia perché, come fu per Ned Ellis anche se a parti opposte, il protagonista è un uomo che vive una precisa dualità tra il mondo che lo ha cresciuto e quello a cui scoprirà davvero di appartenere, esattamente in mezzo ad un conflitto - non solo interiore - tra uomini malvagi, cambia solo il colore della casacca.
John Arcudi scava nella pagina più dolorosa della Storia americana, una ferita che indubbiamente ancora sanguina. Lo fa col tono di chi ricerca lo sfondo storico, ma al tempo stesso non dimenticando la prima regola: intrattenere il lettore.
È un intrico che sa ingannare e giocare sullo stereotipo anche visivo, ma rimanendo sempre lineare, pienamente seguibile e mai tortuoso, con dei personaggi che sanno subito stagliarsi, fieri e riconoscibili, sin dalle prime pagine.
Il merito di questo va al bravo "partner in crime" che lo scrittore ha trovato in Valerio Giangiordano. Uno stile ben preciso, che mi ha ricordato i tratti di Mike Deodato Jr. e Steve McNiven in alcuni momenti, ma sono solo suggestioni, perché basta girare pagina o guardare con occhio più attento una determinata inquadratura, che subito il disegnatore romano dimostra il suo personale modo di padroneggiare la matita, con fisionomie ricercate, che si tratti di un giovane guerriero indiano oppure di una bella infermiera dai capelli rossi, destinata anche lei ad avere un suo preciso e forte ruolo in tutta questa storia (del resto, non è un caso se è presente sulla cover mentre imbraccia un fucile con sguardo risoluto, di sicuro non una dama in difficoltà - per quanto tenacemente idealista).
Il momento in cui Giangiordano sa davvero "dar fuoco alle polveri" è quando è lasciato libero di definire i mostri, o demoni che chiamar li vogliate, al centro di tutto questo: è per loro il "capestro di ferro" e loro definiscono la ferocia, lo splatter e il grand guignol del racconto. Sono figure aliene, alcune si rifanno alla tradizione indiana, altre sono "cose" da un altro mondo e tempo, ingannevoli, subdole: in una parola, malefiche.
Ci sono sequenze che lasciano il segno, in Two Moons: alcune per ciò che viene detto, più o meno apertamente, da un Arcudi ispirato, che non accetta di puntare il dito su vincitori e sconfitti, lasciando che siano le storture degli esseri umani a parlare per lui.
Un autore che sa come padroneggiare i tempi della sceneggiatura, permettendosi espedienti, graziato persino da una certa ironia di fondo, quando, a distanza di vari capitoli, mette il suo eroe per due volte nella medesima, beffarda situazione.
Altre scene, invece, si piazzano nell'immaginario per come Giangiordano sceglie di non darsi un freno e al pari del protagonista, lasciar uscire "la Bestia" nascosta nel nero della china, a giocare con le atmosfere e i colori, resi magnificamente dalle tavolozze di Dave Stewart e Bill Crabtree.
Insomma, Il Capestro di Ferro è un volume da mettere in casella per tutti coloro che apprezzano il West in ogni sua forma, inclusa quella che prevede una cavalcata sul nero destriero di una morte che svetta al chiaro di luna.
Un primo arco che introduce, ma non si perde, che aggredisce il lettore e lo porta subito in mezzo all'azione, tra cadaveri e morte, mostri più o meno nascosti, mistero ancestrale e umana dannazione.
Arrivati all'ultima pagina, con quella precisa inquadratura, potreste dire di pensare di sapere dove andrà a parare Arcudi, ma avendo sbirciato oltre il velo (o, per meglio dire, avendo letto in originale l'inizio del prossimo ciclo), posso assicurarvi che non ne avete idea! (E sapete ormai quanto apprezzi questo in una bella... Lettura Seriale!)