I wanna live like common people: i superpoteri nell'America di Trump
Una storia incredibilmente contemporanea sulla necessità di sentirsi normali in un mondo in cui chiunque può procurarsi un potere speciale
I wanna live like common people è la storia di un mondo in cui è possibile ottenere dei superpoteri tramite la tecnologia. Una piccola minoranza di persone vi ha rinunciato e decide di andare in controtendenza e provare a cambiare il mondo.
Un racconto incredibilmente contemporaneo che prova a mettere in risalto un modo diverso di vivere, la necessità di andare controtendenza (come la protagonista nella cover, l'unica ad andare nella sua direzione mentre il resto del mondo è diretto altrove), di porsi dalla parte degli ultimi, degli oppressi, di chi in genere non trova voce nelle cronache e anche nelle storie, di chi ha meno opportunità ma, forse, più umanità.
Scritto da Marco Rizzo, con disegni di Lelio Bonaccorso, assistito alle chine di Fabio Franchi, e colori di Francesco Segala e Roberto Megna, il fumetto, edito da Panini Comics, è innanzitutto una lettera d'amore per le storie supereroistiche, in grado di catturarne l'essenza e di distanziarsene sotto molti aspetti. Al contempo è una narrazione sui nostri tempi, tra satira sociale, interessanti cenni politici e un tocco di grottesco, che coglie lo spirito della contemporaneità in modo estremamente efficace.
Marco Rizzo & Lelio Bonaccorso hanno costruito negli anni un percorso fatto di opere impegnate e di qualità, spesso utilizzando il linguaggio del graphic journalism (come per Salvezza e e ...A casa nostra - Cronaca da Riace per Feltrinelli), alternato a opere biografiche (a partire dall'indimenticabile Peppino Impastato, un giullare contro la mafia per BeccoGiallo) e, in alcuni casi, a "fiabe di impegno civile" per l'infanzia (L'immigrazione spiegata ai bambini. Il viaggio di Amal o La mafia spiegata ai bambini. L’invasione degli scarafaggi, sempre per BeccoGiallo).
Accanto a questa produzione c'è un altro percorso, solo apparentemente più "leggero", di cui è un esempio il recente Per amore di Monna Lisa, l'assurda storia del "più grande furto del XX secolo", in equilibrio tra poetico e tragicomico, tra divertimento e accuratezza storica.
Come dimostra la disperata storia di un giovane immigrato, Juan, che apre il terzo capitolo di I wanna live like common people o i successivi accenni ai pestaggi da parte delle forze dell'ordine (evidente richiamo all'uccisione di George Floyd) e ad altri fatti di cronaca che rimandano alle elezioni presidenziali USA di quattro anni fa (qualcuno ha detto Capitol Hill?), in realtà questi due percorsi, quello del realismo e quello della fiction, non sono paralleli e separati tra loro, ma si intersecano e, proprio in questi felici passaggi osmotici, si genera un ulteriore motivo di interesse per l'opera. E proprio come nelle migliori storie supereroistiche "sociali", di cui gli X-Men sono un fulgido e sempre valido esempio (non a caso Rizzo è anche l'editor Panini delle testate mutanti e la sua conoscenza in materia è notevole), i vari livelli di lettura riguardo la nostra attualità rendono questo fumetto ben più di un "semplice" racconto d'avventura.
Sono tante le tematiche affrontate in questo volume autoconclusivo, suddiviso in quattro capitoli della lunghezza di un albo USA ciascuno. Innanzitutto c'è un ribaltamento di paradigma: i superpoteri sono appannaggio delle persone comuni e si ottengono a pagamento, attraverso un chip. Ci sono diversi chip, diversi poteri, diversi livelli, e tutto è connesso ai soldi e alla ricchezza: un meccanismo che evidentemente genera in maniera intrinseca delle disparità e delle esclusioni.
È proprio su quest'ultimo aspetto che si concentra la storia: una resistenza di persone marginalizzate che rifiutano per varie ragioni i chip (e quindi i superpoteri), condannandosi con le proprie mani a essere escluse da tutti i privilegi. O, se vista nell'ottica opposta, concedendosi di essere libere.
Parlando della protagonista, Jill, Marco Rizzo ha dichiarato su Funweek (Messaggero) durante Lucca Comics & Games 2024:
“La storia di Jill è la storia di molte ragazze nere americane – ma il tema non vale solo per gli Stati Uniti – che vivono ai margini della società, in periferia e non hanno le opportunità per costruirsi un futuro. È un personaggio arrabbiato col mondo e la sua reazione è rifiutare questa società con il suo chip. Proprio nel rifiuto dei superpoteri forse sta la chiave del riscoprire la vera umanità.”
Questo affresco, in definitiva, è privo di supereroi, suggerendo che chi ha i superpoteri in un contesto di maggior realismo difficilmente diventerebbe un eroe senza macchia. Concetti che, nelle intenzioni degli autori, richiamano chiaramente la decostruzione del genere supereoistico operata da sceneggiatori quali Alan Moore o Grant Morrison, passando per Garth Ennis (quest'ultimo con The Boys ha portato il tutto all'estremo in modo eclatante). Nome altisonanti e per certi versi inarrivabili per un'idea chiara e prorompente: provare a rendere più "adulto" e reale il mondo delle tute sgargianti e dei poteri incredibili, cercando di raccontare ciò che accadrebbe se questi concetti fantasiosi venissero applicati all'interno della nostra realtà.
E la realtà entra con tutto il suo carico esplosivo nella storia, non potrebbe essere altrimenti. Non dovrebbe sorprendere ad esempio che in questo mondo dominato dalle multinazionali tutto faccia capo all'azienda gestita da tal Elijah Moores, personaggio che ha le stesse iniziali e diverse caratteristiche in comune con un certo Elon Musk (a parte il saper volare, ma con Musk ormai è lecito aspettarsi di tutto, come le terribili e distopiche cronache di queste settimane ci insegnano). Le sue intenzioni, ovvero ottenere profitto e avere il controllo della popolazione (con potenziali ingerenze sia nel controllo dei dati personali che nelle scelte, dagli acquisti ai voti alle elezioni), assumono sfumature assolutamente attuali, assimilabili alla distopia tecnologica che stiamo vivendo. Il rapporto che abbiamo con i social network, i dibattiti ormai interminabili sull’Intelligenza Artificiale e in generale l'insidiosa convivenza con la tecnologia sono tutti argomenti sui quali riflettere una volta chiuso questo volume e che, sorprendentemente, sono quanto di più vicino a un'opera di graphic journalism ci possa essere (nonostante gli anni di lavorazione dell'opera la rendano quasi un atto di preveggenza più che di cronaca).
A ben guardare, ci sono poi diverse citazioni che rendono la lettura particolarmente preziosa per chi mastica il fumetto di supereroi. Alcune sono meglio celate, come il nome del giornalista che firma il pezzo alla fine del primo capitolo [quello Stanley Liebovitz assomiglia molto a Stanley (Martin) Lieber, vero nome di Stan Lee], altre sono più plateali, come il fatto che il leader del team sia in carrozzina (e non credo sia difficile accostare almeno in parte la sua figura a quella di un certo Professor X o, ancora meglio, al Niles Caulder della Doom Patrol).
Insomma, c'è pane per i denti di chi legge fumetti USA e anche in generale di chi cerca una storia diversa. Forse un piccolo difetto potrebbe essere la brevità del volume, che non permette di sviscerare tutti i personaggi come avremmo voluto, da lettori, e di veder interagire Jill è i membri del suo team. Magari un sequel potrebbe permettere ad alcuni aspetti di questa storia di essere ulteriormente approfonditi, perché no?
Le tavole di Bonaccorso rappresentano d'altro canto uno dei punti di forza della storia (insieme alla funzionale e molto azzeccata colorazione di Segala e Megna). Il difficile equilibrio tra grottesco e realistico viene mantenuto con grande eleganza e la sintesi stilistica raggiunta dall'artista siciliano è ormai sublime, frutto di anni di incessante lavoro e di una costante ricerca dello stile adatto a rappresentare graficamente ogni storia nel modo più appropriato.
Un racconto incredibilmente contemporaneo che prova a mettere in risalto un modo diverso di vivere, la necessità di andare controtendenza (come la protagonista nella cover, l'unica ad andare nella sua direzione mentre il resto del mondo è diretto altrove), di porsi dalla parte degli ultimi, degli oppressi, di chi in genere non trova voce nelle cronache e anche nelle storie, di chi ha meno opportunità ma, forse, più umanità.