DanDaDan: come Yukinobu Tatsu porta il manga verso il futuro
La nuova generazione di mangaka non sta arrivando, è già in mezzo a noi. Il nostro amato medium sembra essere caduto in buone mani per quelli che sono gli anni a venire e una serie di matite piuttosto capaci si stanno facendo riconoscere nella marea di titoli non sempre lodevoli che il mercato produce.
Fra queste abbiamo per esempio Tatsuki Fujimoto (Chainsaw Man), Yuto Suzuki (Sakamoto Days) e Ken Wakui (Tokyo Revengers), ma anche molti altri artisti che portano agli occhi dei lettori storie originali e dinamiche sia a livello narrativo che grafico. Certo, molti degli autori sopra citati non hanno disegnato magari dei capolavori, ma sicuramente delle opere ben centrate, con una grande voglia di raccontare qualcosa di nuovo e di ampliare e ricodificare l’immaginario del fumetto giapponese.
Molto spesso il sistema attraverso il quale si giunge alla lettura di un manga passa, soprattutto per le opere più pop, dal loro adattamento anime, e non è un caso, infatti, che un'opera incredibile come DanDaDan sia tornata all’onore delle cronache proprio in questi mesi, in corrispondenza dell’uscita della seconda stagione del suo adattamento animato (prodotto, peraltro, piuttosto pregevole).
DanDaDan è un'opera incredibile, però, soprattutto nella sua versione cartacea, pubblicata in Giappone per la prima volta nel 2021 nel servizio online di Shonen Jump e subito notata dai lettori più attenti che ne hanno fatto una lettura di culto quando ancora i capitoli pubblicati erano relativamente pochi.
L’opera delle matite Yukinobu Tatsu (prima assistente di Fujimoto, autore del sopracitato Chainsaw Man ma anche di storie come Look Back e Goodbye Eri) è un continuo volteggiare di idee e immagini con dei protagonisti vividi e un impatto grafico impressionante, soprattutto per quanto riguarda il dinamismo delle scene d’azione.
DanDaDan è la storia di Momo Ayase e Ken Takakura, due studenti liceali apparentemente estremamente diversi fra di loro e che scopriranno di avere in comune più di ciò che pensano. D’altronde Momo, nipote di un'esorcista (in senso orientale, una donna che parla e intrappola gli spiriti) crede nell’esistenza degli spiriti e dei fantasmi, mentre Ken è un appasionato di paranormale e ufologia in senso più occidentale, indottrinato di strambe idee complottiste e narrazioni fantapolitiche.
La loro storia arriverà a un punto di svolta quando non solo i due scopriranno che entrambe le loro idee intorno al mondo sono esatte ma soprattutto quando Ken verrà posseduto in prima persona da parte di uno spirito che gli donerà dei poteri che gli consentono di trasformarsi in una specie di ibrido demoniaco-umano. Momo invece si renderà conto di aver ereditato dei poteri mentali estremamente potenti.
Niente di nuovo, a leggerlo così come formulato, ma a un'osservazione più attenta la storia si rivela entusiasmante per diversi motivi. Innanzitutto la costruzione della tavola e la regia di Yukinobu Tatsu, che non solo muove i personaggi in modo dinamico ma è perfettamente capace di allestire una ritmica in grado di portare molto bene i colpi di scena (jumpscare compresi) e di costruire momenti commoventi direzionando alla perfezione la carica emotiva del racconto (e di conseguenza quella del lettore). Si passa in poche vignette dalla risata sincera al pianto commosso, e questa è una caratteristica della sceneggiatura di Tatsu, che orchestra la sua narrazione in modo estremamente tecnico senza però far pesare mai questo al lettore. Si percepisce, leggendo, che dietro il mondo che ci viene raccontato ci sia molto di più, e che, a differenza di quanto avviene in molti casi nel fumetto nipponico, la trama non viene necessariamente scritta di volta in volta: esiste una visione d’insieme, estetica e narrativa, riguardo al mondo raccontato.
Nonostante questo la forza di DanDaDan si nasconde dietro la sua estrema semplicità. Nessun tentativo di costruire una cosmogonia troppo complessa e difficile da comprendere, ma al contrario una storia relativamente lineare e attenta ai suoi personaggi, che questi siano primari o secondari, che appaiano per un unico capitolo o siano i protagonisti. Ecco allora che abbiamo una storia di botte, ma anche d’amore: non solo la storia d’amore fra i due protagonisti (che ricorda la classica, e gradevole, trafila alla Orange Road) ma anche il racconto dei vari mostri incrociati dai protagonisti, di cui l’autore ci porta ad esplorare con grande sensibilità il lato più umano. In questo si nasconde il vero pregio di DanDaDan, nella capacità di usare i “mostri” per raccontare frammenti dell’animo umano, pezzi di vite vissute, momenti di ricordo. Attraverso questo mondo di morti e di alieni riusciamo a scorgere l’umanità tutta nelle sue intercapedini più affascinanti, riusciamo ad osservarci da fuori, e ci accorgiamo di essere noi, gli alieni rispetto al racconto.
Se la semplicità della storia lascia spazio ai personaggi, il lato grafico di DanDaDan non lascia, invece, spazio a niente che non sia un super dinamismo continuo, soprattutto nelle fasi di combattimento. Raramente come in questo caso vi risentirete come bambini che, esplorando le vignette, si trovano a dirsi fra sé e sé “guarda, sembra che si muova”, tra linee cinetiche e anatomie volutamente forzate, deformazioni, ma anche perfetti momenti di stasi a fare da stacco, come uno stop & go musicale.
Sentiamo la velocità dei personaggi, percepiamo la loro forza e ci meravigliamo quanto loro si meravigliano di loro stessi. Il tutto con un character design che resta minimale e allo stesso tempo ultra espressivo sugli esseri umani e che invece diventa barocco e pieno di ombreggiature e tratteggi quando incontriamo le varie creature che popolano il mondo dell’opera, nero, però sempre fortemente contrastato da bianchi pieni e brillanti che definiscono ancor di più le figure paranormali staccandole dallo sfondo e rendendole allo stesso tempo presenti nella scena e separate da essa.
Quando questo articolo viene scritto DanDaDan è un manga che conta quasi venti volumi in formato tankobon (pubblicati in Italia da J-Pop Manga) e sembra non volersi arrestare. È un'opera che forse non è perfetta e che rischia di mostrare il fianco sulla lunga durata, quando la spontaneità tende a venire meno o quando, come spesso succede nel mondo dei manga, la produzione chiede di allungare la storia del fumetto invece che portarlo a conclusione. Speriamo che in questo caso specifico questi due fenomeni non si verifichino e che questo fumetto possa compiere la sua strada mantenendo la sua naturalità e il suo aspetto naïf e selvaggio, senza snaturarsi, e soprattutto che il suo autore possa continuare ad avere spazio e possibilità di mostrarci nuove idee narrative e soprattutto grafiche: il mondo del fumetto (e il lettori che lo amano) ne hanno bisogno.
DanDaDan è insomma un fumetto consigliato a tutti, a prescindere dall’età anagrafica e dalle letture pregresse, perché riesce ad essere un grande punto d'ingresso al mondo del fumetto e allo stesso tempo a ereditare il peso di essere un manga contemporaneo che si nutre fortemente dell’immaginario di tanti predecessori, mettendolo a frutto però attraverso una visione fresca, ma soprattutto profonda e allo stesso tempo impattante.
Un'opera insomma che sa colpire allo stomaco, al cuore, ma anche trafiggere la mente. In questo, si tratta di un’opera di estrema importanza, pur nella sua apparente semplicità.
Alessio Fasano