Animal Pound – La Fattoria degli animali al tempo di Donald Trump

Tom King rivisita la novella di George Orwell per raccontare le storture della democrazia USA e la conquista della scena e del potere di “The Donald”

Animal Pound è un fumetto diretto. Lo è nell’annunciare la sua ispirazione alla Fattoria degli animali e nel riadattare molto fedelmente l’opera di George Orwell; lo è nel raccontare la storia della democrazia statunitense fino alla doppia elezione di Donald Trump, senza alcun timore o intenzione di essere frainteso.

Dalla fattoria si passa al rifugio per animali; una scelta che serve a creare familiarità nel lettore contemporaneo, che sicuramente ha più esperienza con gli animali domestici che con il mondo agricolo, a distinguere meglio la situazione storica di partenza della rivoluzione statunitense da quella della rivoluzione d’ottobre e a ricondurre gli attori in gioco dentro tre macro-categorie: cani, gatti e conigli. 

Quest’ultima semplificazione degli attori in gioco, con in più gli esseri umani un tempo padroni del rifugio, fa sì che la storia, dopo l’iniziale fase rivoluzionaria in cui cani e gatti operano alleati, guidati dalle parole del vecchio cane saggio Lucky, aderisca in maniera più semplice al sistema politico americano contemporaneo: i cani possono essere letti come il partito repubblicano, i gatti rappresentano il partito democratico e i conigli il resto della popolazione, che vuole prosperare ed essere lasciata in pace. 

Guidati inizialmente dal dobermann Titan, i cani fanno numerosi riferimenti alla loro nobiltà e forza, ma allo stesso tempo hanno un continuo bisogno di essere rassicurati, un atteggiamento tipico della destra americana (e non solo); mentre i gatti, incarnati dalla loro leader Fifi, sono più divisi al loro interno, meno entusiasti della leadership e in generale sono più distaccati ed elitari, proprio come viene percepito, e spesso è, il partito democratico.

È sotto la loro guida che la comunità degli animali vive una vera e propria età dell’oro, grazie all’idea geniale di Mitten il cucciolo di garantire al rifugio l’indipendenza economica e quindi alimentare attraverso le donazioni degli umani per i video sui social dei gattini e di Piggy, un bulldog francese fino a quel momento noto solo per la vigliaccheria dimostrata durante la rivoluzione.

Anche uno dei compromessi storici tra stati del Nord e stati del Sud, ovvero la composizione del Senato, che riflette il numero di stati e non la popolazione presente in ciascuno di essi, viene rivisto in chiave più contemporanea: gli animali del rifugio decidono infatti di votare per peso e non per teste, in modo da tutelare i cani, presenti in numero minore ma più grossi e bisognosi di maggiori quantità di cibo. 

Nel corso dell’opera tale sistema di voto, assieme alla limitazione ad un doppio mandato, viene più volte analizzato, se ne espongono i limiti e ci si chieda se la sua apparente equità sia vera o sia solamente arbitraria, come poteva essere ritenuto valido un altro sistema, ma l’attaccamento alle tradizioni politiche nate a seguito della rivoluzione si rivela più forte della voglia di cambiamento, in particolare in Madame Fifi, mentre appare evidente come col passare del tempo il sistema diventi via via più favorevole ai cani, esattamente come è accaduto al voto per il Senato negli ultimi 30 anni di elezioni legislative o al mancato aggiornamento dei pesi di ciascuno stato in quelle presidenziali.

Il declino della politica del rifugio non è però dovuto solo ai limiti del sistema di voto adottato: l’egoismo dei cani, che vogliono maggiore cibo e libertà nel cacciare, la superbia dei gatti, rinchiusi nelle loro abitudini e incapaci di riconoscere il malcontento canino e il terrore dei conigli, spaventati per la loro stessa vita.

In questo contesto assistiamo alla salita al potere di Piggy stesso, che da star dei media si impone via via come leader nel rifugio, grazie a una sfrontatezza mai vista in precedenza sulla scena politica, un rifiuto delle convenzioni e a slogan semplici che parlano alla pancia degli elettori: «Torniamo ad essere animali».

Il parallelismo con Trump e il suo «Make America Great Again» è palese e, proprio come nella realtà, la democrazia del rifugio arrivata a quel punto non ha più gli strumenti per salvarsi, tra la perdita di autorevolezza delle istituzioni, leader ritirati sulle loro posizioni e incapaci di comunicare tra di loro e una popolazione sempre più indifferente alla realtà e disposta a tutto per avere un minimo di cibo e sicurezza.

Anche nel rifugio, proprio come nella fattoria, l’utopia lascia dunque spazio a un ritorno allo status quo ma arrivati alla fine si percepiscono anche delle differenze con l’opera ispiratrice.

Il tono è meno vicino alla satira orwelliana e più vicino al reportage giornalistico, nonostante l’eccezione delle scene con Piggy e una ricostruzione storica efficace ma che resta comunque una semplificazione della realtà.

La mancanza oltre a Trump/Piggy di altri riferimenti precisi nel mondo reale fa sì che l’allegoria poi abbia altri livelli di lettura che sono sicuramente affascinanti e fonte di discussione (i cani con la loro capacità di violenza possono essere visti anche come i maschi e gatti e conigli come donne e bambini, gli umani non solo come gli inglesi pre-rivoluzione ma anche come i super ricchi che danno la mancetta al resto della popolazione e vengono richiamati da Trump che prometteva di tutelare solo gli animali, i conigli e la paura che si moltiplichino come la paura della sostituzione etnica per i cani), ma che depotenziano in parte la metafora principale e l’analisi storica che, come si evince anche dalla breve introduzione, erano sicuramente l’intento principale dello scrittore, Tom King.

Inoltre nella scrittura di Orwell si percepiva la vicinanza originaria dell’autore con le idee socialiste e la disillusione di fronte alle vicende dell’URSS e alla sua partecipazione nella guerra civile spagnola. Qui invece non sembra esserci una vera visione politica alle spalle, se non un generico richiamo all’importanza della democrazia e ai valori originari - ma mai messi in pratica, come sappiamo - del sogno americano come la libertà.

Di conseguenza la mancanza di una proposta di soluzioni, che nella Fattoria degli Animali era anche connaturata al tono satirico dell’opera, qui finisce con l’echeggiare la vuotezza della proposta politica liberal negli Stati Uniti attuali, in cui l’attenzione solo al risultato elettorale e al salvare la democrazia dalla minaccia di Trump non si accompagna però a una visione politica di come questa democrazia possa ancora garantire la prosperità e la libertà ai suoi cittadini e non solo essere un mantenimento dello status quo.

Dal punto di vista tecnico il racconto delle vicende è, appunto, lineare e diretto, con dialoghi ben scritti ed efficaci, ma, come nello stile tipico di Tom King, si arricchisce, o forse in molte scene si può dire appesantisce, grazie ad un forte uso delle didascalie narrative che servono a rallentare il ritmo della lettura, aggiungendo dettagli sui pensieri dei personaggi coinvolti, ma un po’ troppo spesso coprono la narrazione per immagini ripetendo ciò che viene già visto su tavola. 

L’uso di una gabbia regolare, anch’essa molto cara a King, amplifica e sottolinea la sensazione di trovarsi in cattività. Le splash page vengono utilizzate soprattutto per ricalcare gli episodi di violenza e solo in pochissimi momenti, come all’apice della rivoluzione e nelle scene che sottolineano gli ultimi momenti di libertà, l’artista può liberare il suo sguardo in una doppia pagina.

Le matite di Peter Gross sono perfette per il tono della storia: il suo stile realistico ma non pesante dona grande espressività ai volti degli animali, che non vengono però antropomorfizzati, creando così il giusto equilibrio tra la parodia satirica orwelliana e la sensazione di leggere un estratto di realtà. Ad aiutarlo in ciò un uso dei colori veritiero ma espressivo e non per questo piatto di Tamra Bonvillain.

Terminata la lettura, la sensazione prevalente è la stessa di Madame Fifi: una profonda disillusione, non solo verso le classi dirigenti, cani e gatti o maiali che siano, ma anche verso il popolo, a cui non viene mai data voce nel racconto e che nel finale appare come senza ideali e complice dei suoi stessi carnefici.

Filo Torta

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