Chanbara - Di uomini e orchi, di samurai e demoni

Un nuovo capitolo della saga sul Giappone feudale del XVII secolo

Qualche settimana fa un mio caro amico mi ha scritto dopo aver letto Di uomini e orchi, il più recente volume di Chanbara, affermando: "le tavole di Accardi sono sempre piú belle e in un attimo mi sono ritrovato in quel Giappone feudale che ho lasciato tanti anni fa ma che mi porto sempre dentro (come la scrittura breve e incisiva di RRobe)".

Come dargli torto? Del resto il mio amico è il buon Rolando Veloci, la cui penna è purtroppo assente da alcuni anni su queste pagine ma che fu uno dei primi sul web (a mia memoria), ormai circa 10 anni fa, ad apprezzare il lavoro svolto da Recchioni e Accardi sulle storie di samurai (trovate il suo pezzo qui).


Ne è passato di tempo da allora e la serie ideata dai due autori è emigrata dalla collana Bonelli Le Storie (la stessa che aveva dato i natali a Mercurio Loi) ai volumi cartonati da libreria (sempre editi da SBE, dopo una breve incursione in territorio Bao per una ristampa a colori dei primi due volumi), proseguendo il suo percorso lento ma implacabile, senza particolare regolarità o ansia di pubblicazione ma, forse anche in virtù di questo, mantenendo un elevato livello qualitativo.

La sesta uscita, Di uomini e orchi, segna il ritorno dei due ideatori, Roberto Recchioni e Andrea Accardi, i quali, dopo aver segnato il solco nei primi tre episodi, avevano lasciato spazio per due volumi alla penna di Gabriella Contu e alle chine di Walter Venturi e Isabella Mazzanti, egregi interpreti di un fumetto che vive di atmosfere, di suggestioni, di haiku visivi: brevi composizioni dense di poesia, mescolate ad azione, lotte e sentimenti.


In questo nuovo episodio, sempre sullo sfondo del Giappone del XVII secolo, ritroviamo il quartetto di spadaccini/pards al completo: il ronin Daisuke (la "bestia tonante"), l'anziano Ichi, la spietata Jun e l'onorevole Tetsuo, i quali proseguono il loro viaggio alla ricerca del folle demone bianco che già ha dato loro diversi grattacapi. Ma è su Daisuke che ci si concentra, nel suo inedito ruolo di senpai (mentore), che lo porta a doversi prendere cura di una bimba, suo malgrado costretta a lottare per sopravvivere.

Agli usuali elementi storici e folkloristici che caratterizzano Chanbara, si aggiungono qui alcuni interessanti spunti etnologici, in particolare sulla tribù degli Ainu, il più antico popolo del Giappone del nord da cui prende origine Daisuke. È un modo per conoscere meglio il personaggio e per suggerire il profondo legame tra la "bestia tonante" e questo popolo di cui si conosce comunemente molto poco, come sottolinea lo stesso Recchioni nella postfazione:

"Nella mia idea, Daisuke è più di un personaggio, è un elemento naturale, simile al vento e alla pioggia, una forza che può essere distruttiva ma anche salvifica e che non conosce colpa, perché asseconda solo la sua più intima natura. Daisuke è ciò che è perché non potrebbe esistere in nessun'altra maniera. Proprio come gli Ainu da cui prende origine, il personaggio trova spiritualità e senso tra il cielo e la terra, tra gli alberi e le piante, e non ha bisogno di nient'altro per sentirsi a casa.
La mia speranza è che Di uomini e orchi vi faccia venire un poco di curiosità sugli Ainu e che vi spinga ad approfondire la loro conoscenza."


Il contesto storico-culturale si dimostra di nuovo particolarmente congeniale alla scrittura recchioniana, costruita sulla sintesi e sulla ricerca dell'impatto narrativo e visivo. La storia è ambientata infatti in un'epoca e in luogo in cui aggiungere eccessivi discorsi risulterebbe ridondante. Assume invece un ruolo cruciale l'azione e, in alcuni casi, il silenzio.
La trama è lineare e la storia risulta decisamente affascinante, scritta in maniera incisiva e senza fronzoli, godibile anche senza particolari conoscenze pregresse. E se avete amato storie come il Lone Wolf and Cub di Kazuo Koike e Goseki Kojima, probabilmente questi volumi saranno pane per i vostri denti.

Del resto, anche a chi ha meno affinità con lo stile di Recchioni tocca ammettere che Chanbara è tra le sue produzioni più riuscite, con quel suo mix tra epica e storia, tra mito e realtà, con quei personaggi che smettono i panni delle singole identità per diventare archetipi, entità che funzionano anche al di là del genere narrativo: come avevo sottilineato tempo fa, sotto vari aspetti questa potrebbe essere anche una serie western e raccontare ugualmente il senso dell'onore, il desiderio di vendetta, l'inarrestabile crudeltà umana, l'insensatezza delle morti violente, la necessità di contrapporsi al male, tutte tematiche sostanzialmente trasversali, affrontabili a prescindere dall'epoca storica scelta per ambientare il racconto (e come non pensare ad esempio alla bimba addestrata da Daisuke come a una giovane padawan da instradare sulle vie della Forza, per passare a un altro e sempre molto affine genere narrativo?).
Come già per i precedenti volumi da lui disegnati, anche in questo caso le tavole di Andrea Accardi meritano un capitolo a parte.
La cura che infonde in quest'opera è assoluta. Le sue tavole sono ricche di dettagli, dense di riferimenti visivi e colgono pienamente lo spirito di questo progetto, ovvero richiamare stilisticamente la storia e la cultura giapponese mettendo a frutto il proprio talento per creare qualcosa di inedito. 

Se non bastasse la cura certosina, la padronanza assoluta dello storytelling e la raffinatezza compositiva, bisogna aggiungere che i riferimenti all'iconigrafia nipponica rendono ancor più ricche e preziose le sue tavole (basterebbe un rapido sguardo alla doppia splash page di pagg. 20 e 21 per rendersene conto). Il suo modo di rielaborare l'arte giapponese e inglobarla tra le pagine del fumetto è (ed è sempre stato) raffinato e colto, meritevole di attenzione sia da chi ama il Giappone che da coloro che abbiano il desiderio di lasciarsi affascinare da questa cultura, così differente dalla nostra. 


Alla ricercatezza iconografica si aggiunge una straordinaria capacità nella scelta delle inquadrature, nella costruzione armonica delle tavole (che rasenta davvero la perfezione) e nella resa dell'espressività dei personaggi, che varia da sorrisi inquietanti a sguardi eloquenti, dal terrore alla speranza, raffigurando un'intera gamma di emozioni come solo i grandi artisti sanno fare.

Un volume che colpisce, dunque, per la cura e la dedizione di chi lo ha realizzato e perché lascia il desiderio di approfondire tanti aspetti del Giappone e... di leggere altre storie scritte e disegnate così.

Giuseppe Lamola





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