Doctor Strange - Alba e Tramonto: Voce del verbo “esperienziare”
Ho sempre pensato che, in un mondo come quello di oggi dove
raccontare una storia è possibile in modi sempre più arditi, i mezzi dal più
alto potenziale narrativo siano tre: videogioco, animazione e fumetto.
Ognuno ha i suoi pro e i suoi contro: il videogioco è
sicuramente il mezzo con meno limiti di world building, oltre a essere il più
interattivo, anche se proprio questa sua interattività – che crea una sorta di
narrazione “non-a-monte” – può incappare in dei blocchi per cui tocca
perdercisi ore, talvolta cercando aiuti esterni, prima di riuscire ad avanzare
(certo è parte dell’esperienza stessa – vedasi il maledettissimo Pyscho Mantis
di Metal Gear Solid 2 – ma si tratta di un’esperienza esterna al flusso
narrativo e diversa da quella in questione). L’animazione dal canto suo può
creare mondi immensi, certo, ma limitati allo sguardo dell’inquadratura – dal
formato fisso, tendenzialmente – godendo però al contempo di capacità
rappresentative e iconiche che possono combinarsi in un caleidoscopio che non
sembra, almeno per ora, avere limite prossimo (vedasi il miracolo su schermo
che è stato il recentissimo Spider-Man: Across the Spider-Verse).
E il fumetto? Negli ultimi anni le due arti sopracitate hanno compiuto passi da gigante in termini di immersività della fruizione, per via di una natura tecnologica che certamente riguarda anche il fumetto, anche se in misura e declinazioni diverse data la sua essenza “materica”, segnando uno scarto notevole dalle produzioni di qualche anno fa e prendendo un leggero vantaggio in questa corsa alla rappresentazione, dando l’idea che la nona arte, ancora una volta, debba sgomitare un po’ più delle altre per farsi spazio.
Ma nei fatti, questa percezione è errata. Perché qualsiasi
sia il prossimo upgrade che le altre arti subiranno, c’è una cosa di cui
nessuno, tranne il fumetto, può godere e utilizzare come il fumetto fa: la
pagina bianca.
È una pagina bianca che non impone limiti di spazio, tempo,
griglia, movimento o densità: può esserci tutto e il contrario di tutto. Mentre
animazione e videogioco vivono, anzi necessitano della molteplicità di
fotogrammi per secondo, il fumetto si nutre di quella stasi e quel silenzio
che nessun altro si prende la briga di trattare, e che possono rivelarsi
strumenti letali, se usati con cognizione, capaci di rendere una pagina un’arma.
Pagina che oltretutto richiede di essere sfogliata, dentro un libro che richiede
di essere impugnato e aperto, e che già nel frontespizio può trovare un
potenziale generatore di racconto, rendendo l’atto fisico – prim’ancora che
mentale – della lettura mezzo di immersione. Il che non implica che questo
renda l’arte fumetto superiore, per carità, ma semplicemente unica per natura.
C’è una famosa frase che dice: “il genio non è chi
inventa qualcosa dal nulla, ma chi per primo vede qualcosa che già c’è”. In
tal senso, il concetto stesso di pagina bianca somatizza questo assunto:
lì dentro c’è tutto quello che si potrebbe mai desiderare, basta vederlo.
E quale fumetto uscito nell’ultimo periodo incarna meglio
questo concetto di Doctor Strange – Alba e Tramonto, scritto e disegnato
dal nuovo enfant prodige del comic americano, Tradd Moore?
Pochi, ma davvero pochi, altri. E non perché questo sia un
fumetto esente da difetti, anzi: la scrittura sembra essere talvolta fin
troppo inebriata della magniloquenza estetica cui si accompagna,
concedendosi momenti di narrazione talmente ornamentali da rallentare, quasi
bloccare, il flusso di un racconto che sicuramente necessitava di un
accompagnamento verbale chimerico, ma che in certi snodi ottiene invero un
risultato quasi arcaizzante, esponendosi al rischio di distrarre dalle immagini
e di far perdere il filo di un racconto che, all’osso, sarebbe “solo” un
tipico viaggio dell’eroe, introdotto in medias res.
Ma, fortunatamente, questi sparuti inciampi di verbosità
scompaiono al frastuono di un oceano di immagini dentro cui affondare ovattandosi
come ancore silenziose travolte dalle onde delle forme. Perché, senza stare a
girarci troppo intorno, Doctor Strange – Alba e Tramonto altro non è
che immagine. Immagine pura, enorme, imprevedibile e ingabbiabile, un
gavettone di vernice puntellato negli occhi, un labirinto di scie che conducono
altrove: questo fumetto esplode. Quando lo si apre, le pagine
semplicemente esplodono. Davvero. Non c’è altro modo per dirlo. Che Moore sia
finito dentro qualche mondo altro che stava disegnando e abbia imparato un
incantesimo per mettere un lucchetto magico a questo libro? Perché come
faccia a rimanere chiuso, proprio non ce lo si spiega.
Il portento del potenziale della pagina bianca di cui sopra tradotto in un racconto che è un cosmo per vignetta: il genio visivo di Tradd Moore, che già in Silver Surfer – Black si era palesato, anche se in maniera più funzionale e meno autoreferenziale, si traduce questa volta in un fumetto che trasuda quell’arroganza, quella sicurezza autoconsapevole, che finora alle precedenti opere del fumettista americano sembrava mancare in funzione di un’autorialità ancora “in making”, e che ora compare rilasciando quel particolare effluvio proprio soltanto delle grandi opere d’arte che, in quanto tali, non sono passibili di spoiler poiché la propria essenza è infine la loro esperienza.
Non è infatti così folle affermare che il viaggio eroico di Stephen Strange – che qui è certamente un viaggio, oltre che fisico, anche e soprattutto spirituale, non solo una ricerca di una via per il ritorno, ma una ricerca di sé stessi – è un viaggio la cui conclusione è univoca solo per necessità narrative, ma la cui essenza sta piuttosto nell’atto stesso di viaggiare che noi lettori compiamo in concomitanza con lo stregone protagonista, ed è di quest’atto che abbiamo ricordo una volta chiuso il libro, piuttosto che dell’epilogo della storia.
Ed è un viaggio, questo, che non solo si addentra in uno
spazio-fumetto immenso, ma anche in un tempo-fumetto che è doppio, autoctono
nella sua inesistenza nei confronti di una narrazione che è inconfutabilmente
di puro spazio, e meta nel suo rievocare come spiriti benigni gli
insegnamenti dei padri del primo Doctor Strange, maestri come Steve Ditko –
creatore di Strange insieme a Stan Lee – e Gene Colan, insieme ad altri
nomi leggendari come il “King” Jack Kirby, nella sua versione maxima di QuartoMondo, o lo sciamano Philippe Druillet (ironico, se si fa caso che
mentre in casa Marvel Moore reinventa Doctor Strange secondo istanze
druillettiane, in casa DC Rafael Grampà rielabora Batman con un taglio
che ricorda decisamente Moebius), senza per questo lasciare indietro
certe intuizioni di montaggio che in taluni frangenti ricordano, per taglio
dell’inquadratura e magnificenza dell’action, il ritmo visuale di un
certo manga d’azione, quello più legato alla scuola di Katsuhiro Otomo e di Akira.
Il tutto però, è importante sottolinearlo, assume quest’aura anfetaminica e teletrasportante non per soli meriti di Tradd Moore: ai colori, non per la prima volta a fianco del giovane disegnatore, c’è anche Heather Moore, senza il cui lavoro questo fumetto non sarebbe stato evidentemente lo stesso. La Moore inietta le pagine di policromie che sono già di per sé pura catarsi, intuizioni dall’essenza catturante e puramente illustrativa che si rifanno ai lavori di Milton Glaser, alle visioni mind-bending di Paula Scher o agli intenti grotteschi di Stefan Sagmeister, riunendo tutto sotto un’egida che per impatto ricorda non poco l’action painting di Jason Pollock.
Doctor Strange – Alba e Tramonto si genera, in queste
sue vesti shapes & colors, grazie al lavoro combinato di questi due
sensazionali artisti, che creano un fumetto dotato di capacità introiettive
genuinamente rare, un fumetto di una fluidità tale che la staticità
dell’immagine sembra raggiungere un livello aureo tale da superare anche il
ritmo degli FPS di cui si parlava a inizio articolo. Un fumetto così liquido
che non si legge, si beve. E che, tornando al grande cruccio che affligge
tutti i narratori contemporanei, soprattutto supera l’atto di fruizione per
esondare in quello dell’esperibilità: certo aiutato dal gigantesco e godurioso
formato 23,4x33, quest’opera, questo libro d’arte, è già un instant
cult proprio per l’immersività fuori scala che è in grado di generare
grazie al solo disegno.
Nelle scuole e nelle accademie d’arte l’insegnamento
principale è sempre lo stesso, da secoli ormai: come posso raccontare una
determinata cosa con quel determinato mezzo? Come posso sfruttare le
caratteristiche di quel mezzo per raccontare qualcosa, per alzare ancora di un
pochino l’asticella?
Beh, Doctor Strange – Alba e Tramonto penso sia una
risposta perfetta a questo quesito: tra qualche anno ne parleremo come un
classico, come un fondamentale artistico e accademico del fumetto
occidentale, per non dire mondiale.
Japo Corradini