Visioni seriali: Across The Spider-Verse

Oltre i confini dell'animazione

"Does Whatever Animation Can".

Ci sono rare eventualità, nella Storia del Cinema. Una di queste riguarda i sequel, al punto da diventare paradigma. Ci viene infatti naturale pensare che un seguito, specialmente quando il capostipite ha conquistato il mondo, sia per sua natura inferiore all'opera che lo ha preceduto, perché il fulmine non può cadere due volte nello stesso punto, giusto?

Ma, come per ogni regola, scritta o meno che sia, esiste l'eccezione, così è anche in questo caso: penso a film come Il Padrino - Parte 2, oppure L'Impero Colpisce Ancora o anche Terminator 2 e Aliens, perché James Cameron sa di che parlo.

Spider-Man: Across The Spider-Verse fa propria questa eccezione, al punto da volerla fare diventare una regola a sua volta: i seguiti possono stare alla pari al fianco dell'originale, a patto di riuscire a superare con grazia e potenza i propri limiti.

Lasciare o Raddoppiare, insomma.

Into The Spider-Verse fu una sorpresa, inutile negarlo. Molti ne erano dubbiosi, nonostante se ne cogliesse la bellezza sin dai primi trailer. Ma immagino che fosse difficile pensarlo "così" bello, al punto da portarsi a casa premi su premi, incluso un Oscar, ed entrare con artistica prepotenza nel cuore del pubblico, indicando nuovi segnali di stile.

A quel punto, la sfida: Hollywood impone un seguito, ma come fai a portarlo a casa? Come fai a rivaleggiare con te stesso? Ripercorri gli stessi passi, dando al pubblico qualcosa che si aspetta? Cerchi di superarti, alzando l'asticella un poco più in alto?

Across The Spider-Verse sceglie sicuramente la seconda strada, ma quel "poco più in alto" diventa la stratosfera, e il superarsi, un doppiarsi in pista facendo "Ciao Ciao" con la mano come nella sigla della vecchia serie animata di Spidey del 1967!

Prende tutto quello che già sapevamo, e lo amplia, artisticamente e narrativamente, consegnandoci una "Parte 2" magnifica, sfruttando appieno i suoi 140 minuti di durata, notevoli se parliamo di un film di animazione, ma Across The Spider-Verse è superiore anche in questo, spazzando via barriere e preconcetti che ancora limitano la percezione del pubblico verso questo mezzo espressivo, che qui diventa la giunzione perfetta tra Cinema e Fumetto, tra Settima e Nona Arte, più di quanto potrebbe mai ottenere un "semplice" Live Action, medium che qui non viene rinnegato, ma sapientemente ed incredibilmente, integrato nella struttura stessa di ciò che consideriamo Multiverso.


Into The Spider-Verse
 ha infatti introdotto questo concetto, non senza preoccupazioni da parte dei realizzatori, perché potenzialmente gli spettatori potevano non riuscire a seguire il filo, non raccapezzarsi attraverso questi sbalzi multidimensionali, mentre veniva introdotto l'Eroe, conosciuto certo dai lettori di comics, ma per molti Miles Morales era comunque ancora un'incognita.

Insomma, un autentico balzo della fede dal grattacielo più alto di Manhattan, con la cognizione di avere i lanciaragnatele carichi e che il pubblico rispetta la storia, se lei fa altrettanto.

Un salto senza rete, sorretto da tanta tecnica e dalla volontà di consegnare qualcosa che rimanesse. Funzionò allora, così come funziona in questo caso.

Across The Spider-Verse riprende il RagnoVerso e dona ragione al Fanservice, inserendo in questa grande tela di possibilità, in questo susseguirsi di dita puntate sullo schermo al riconoscere questo o quel richiamo che manco Leonardo DiCaprio in quel meme, un motivo, uno fondante, uno che giustifichi la crociata di Miguel O'Hara di universo parallelo in universo parallelo, che spieghi il Battito d'Ali della Farfalla o il Morso del Ragno, se preferite.

Qui lo chiamano "Il Canone", il che ammetto mi ha strappato un sorriso, perché da lettore di Comics di Spidey da una vita, ho capito all'istante dove si andasse a parare.

E cioè il motivo per cui è uno dei Supereroi più amati, uno dei più rappresentativi per il pubblico, che lo si chiami Spider-Man o magari "L'Uomo Ragno" perché si è di un'altra generazione, non importa.

Tutti siamo Spider-Man, questo ci diceva il primo film, e ok. Ma cosa lo rende così riconoscibile, a parte il perfetto accostamento di colori del suo costume (dico quello classico, non quello di Miles che sembra che "stia sanguinando dalle ascelle" - cit.)?

Il fatto che sotto quella maschera ci sia una persona come noi, una persona che affronta ogni giorno il Villain di turno, con la forza proporzionale a quella di un Ragno. Ma anche le preoccupazioni, le gioie e i dolori della vita quotidiana, con la forza proporzionale a quella di ogni essere umano seduto in sala, con gli occhi sgranati da uno spettacolo visivo che non lascia attimi di respiro.

Ma il respiro in Across The Spider-Verse c'è, lo percepiamo quando i personaggi parlano tra loro, quando si confrontano, quando inevitabilmente alzano il tono drammatico delle proprie storie personali, ci mettono di fronte ai loro dubbi, alle loro ansie, ai loro traumi.

In quel momento, le parole viaggiano insieme alle immagini, in quel momento è anche possibile che lo sfondo svanisca e rimangano solo i personaggi sulla scena, che da quel primo film il tempo è passato anche per loro e sono cresciuti, caratterialmente e fisicamente.

Miles è un giovane uomo (non chiamatelo "ragazzino"), Gwen una giovane donna, e c'è chi è anche diventato padre nel frattempo (non sto dicendo nulla che non sia anche nel trailer, tranquilli!), e questo comporta nuove sfide, non solo per loro ma anche per chi gravita loro vicino.

E quando cresci, cresce insieme a te anche la consapevolezza, quell'orizzonte scuro che significa diventare adulti, significa comprendere che... esatto, "Da un grande potere, derivano grandi responsabilità", una lezione che in tutti gli Universi, il Ragno apprende a caro prezzo, un prezzo talmente grande, quello del lutto, da essere "canonico".

Così spetta ad un minaccioso Miguel O'Hara, aka Spider-Man 2099, spiegarlo con tono vagamente minaccioso ad uno stupito Miles. Ma non è solo una vaga impressione, in realtà, perché, col beneplacito dello stesso creatore grafico del personaggio, "Non è cattivo, è che lo disegnano così".

Perché qui il vero Cattivo, quello con la C maiuscola, il grande, poderoso, temibile Villain è... rullo di tamburi... La Macchia!

Ehrm.. chi?

Già, lo so. Se uno legge i comics sa che The Spot non è esattamente nel podio dei cattivoni più pericolosi, anzi solitamente è quel tipo di personaggio che poi ti tocca leggere le note redazionali che chiudono lo spillato Panini, quelle scritte da Max Brighel, per capire quando, dove e come è apparso prima nella cronistoria Marvel.

Ma Across The Spider-Verse fa anche questo, crea collegamenti, spiega la Origin Story della Macchia e dalle gag rutilanti iniziali la faccenda prenderà via via una piega sempre più pericolosa, e spetterà al terzo film mostrarci la sua definitiva discesa nel lato oscuro.

Questa cosa del terzo film, del "Continua" piazzato giustamente a bella posta per dire che sì, il prossimo Marzo ritroveremo in sala Miles, Gwen e il RagnoVerso per conoscere la fine della storia, qualcuno potrebbe vederla come un difetto. Ma immagino fosse visto come un difetto, all'epoca, quel finale con Luke Skywalker che perde una mano, il cattivo che sembra trionfare sul bene e.. avete colto la citazione.

Tolto però questo punto, la verità è che Across The Spider-Verse appartiene di diritto alla schiera di film d'animazione che elevano la percezione che il grande pubblico ha di questo medium, che Guillermo del Toro è mesi che lo ripete per via del suo Pinocchio, e anche di recente, con The First Slam Dunk, ne abbiamo avuto prova.

L'Animazione sa parlare al Cinema in modi sempre nuovi, con accezioni inedite e diverse, parlare non solo ai bambini, ma anche agli adulti, il che non sottintende solo volgarità in serie televisive, ma piena padronanza di un linguaggio, quello del grande schermo, che si decodifica con Trama, Sentimento, Profondità e Spettacolo.

Across The Spider-Verse spunta tutte queste caselle, portando il Fumetto a diventare una fonte d'ispirazione per un film mai così viva, pulsante, piena di lingue diverse, da tutto il mondo, di talenti che hanno portato il loro estro in offerta al Ragno, e che adesso vedono tutto il loro duro lavoro ripagato dallo straordinario applauso del pubblico ammirato.

Penso al prologo con protagonista Gwen, che stilisticamente ricerca quello delle copertine di Robbi Rodriguez della serie del 2015 della Nostra, e dovrei pensare che è un caso che, in quelle pagine, il suo primo nemico fu l'Avvoltoio, non esattamente lo stesso che affronta nel film (l'idea geniale di ritrarlo come fosse un progetto di Leonardo Da Vinci rimarrà negli annali), ma è impossibile non intuirlo come perfettamente voluto.

E non è forse un potente segnale di stile anche il modo sovversivo, in tutti i sensi, con cui si presenta Spider-Punk, alias Hobie Brown, ovvero una contraddizione in termini con tutto il resto della scena, perfettamente "di rottura", anarchico anche nel modo di presentarsi al pubblico? Poco importa se i bambini non lo coglieranno appieno, probabilmente vi risponderebbe che lui è contro i cartoni animati per bambini, o una cosa del genere.

Di esempi comunque ne potrei fare tanti altri, che non basterebbero le righe, o la lettura di questa recensione durerebbe quanto il film stesso.

Mi limito a citarne solo un'altra, una particolare sequenza che, da estimatore e italiano fiero dei talenti che esportiamo, ha subito portato alla mente il nome dell'autore di quel particolare design: Gigi Cavenago (vi lascio il piacere di scoprire da voi quale).

Perché il Fumetto ispira, diventa Animazione e ritorna alle sue origini, perché ogni inquadratura qui diventa un quadro di rara audacia quando si muove, di contemplativa bellezza quando metteremo in pausa sui nostri televisori, alla ricerca di tutti quei dettagli che la visione al cinema inevitabilmente ci ha portato a perdere in un battito di ciglia.

È tutto così pop, artistico, fumettoso e raffinato, con l'animazione che permette, più di quanto potranno mai fare mille live action e mille evoluzioni della CGI, di volteggiare anche noi tra i grattacieli, di seguire l'incedere incalzante di un'azione che non conosce sosta, di peripezie dalle coreografie e dai movimenti schizofrenici, incessante cacofonia che suona qui piuttosto come sinfonia di luce, colore e disegno.

Dove il passare da un'universo all'altro, ognuno talmente indipendente ed iconico da fare provincia a sè, è qui presentato con un'armonia che definirei quasi rara.

Uno spettacolo, a cui si unisce una trama valida nei suoi intenti, profonda nel suo raccontare i propri protagonisti e pronta a donare sentimento autentico ad una storia di calzamaglie sgargianti con sopra il simbolo di un aracnide.

Check, Check, Check, Check, come sopra.

E tutto questo lavoro, tutta questa ricercatezza aveva anche stavolta bisogno di non meno di tre capitani, che qui rispondono ai nomi di Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson. A loro è spettato il gravoso compito di coordinare tutto, di tenere insieme questo straordinario team di artisti, di lavorare con loro per creare qualcosa di bello, qualcosa che potesse superare i dubbi e le critiche da Precog di chi partiva già sfiduciato, che insomma, il fulmine non può cadere due volte nello stesso punto, giusto?

Sbagliato, sopratutto quando dietro al fulmine lanci anche una testata atomica che crea una deflagrazione talmente grande da abbracciare ogni possibile incarnazione di Spider-Man, non importa se di carta, pixel o animata. Non importa se proviene da una console per videogiochi, da un vecchio cartone di decenni fa oppure ancora dal MCU (quel cameo, quel cameo che è quanto di più ispirato potessi chiedere alla voglia di giocare).

Sopratutto, quando riesci a coinvolgere così tanto il tuo auditorio da percepire come tortura questa (non così) lunga attesa per l'epilogo, per il Finale a cui non chiedo di alzare nessuna asticella, anche se so che probabilmente gli assi nella manica del costume sono ancora molti.

Mi basta che mantenga tutte le promesse fatte qui, che sono notevoli, che sono tantissime, e se avrà lo stesso tenore di queste due ore e passa di trionfo, sarà già piena soddisfazione.

Perché è sempre un piacere quando esci dal cinema con un sorriso da orecchio a orecchio, felice per quello che hai visto, felice per aver ritrovato sul grande schermo, e stavolta sul serio, la stessa sospensione, la stessa meraviglia, la stessa fuga nel reame del fantastico che sanno regalarti i comics, quella stessa astrazione che non importa l'età, sa coglierti con le gambe incrociate a leggere e tutto il mondo fuori.

Ed incredibilmente, per la seconda volta (la prima è ovviamente Into The Spider-Verse), senza dover stare lì a dire che "Fumetto e Cinema sono due medium diversi, che rispondono a diversi linguaggi e quindi se una cosa funziona su carta, non è lo stesso... bla bla e ancora bla" - moltiplicato per ogni film di supertizi visto nell'ultimo decennio.

Che io adoro come tutti, sia chiaro, ma riconosco che dover ogni volta fare leva su questo discorso, su questa spiegazione, alla lunga risulta ridondante, anche se vero.

Qui no, qui l'unica differenza è che Across The Spider-Verse è sì un film, ma del Fumetto riprende davvero le cose migliori e gli dona le uniche che mancano alle pagine: movimento e voce, ma per il resto, emozioni, sensazioni ed intensità.. è tutto lì, non manca nulla.

Di aggettivi, nella lunga storia editoriale di Spider-Man, gliene sono stati attribuiti tanti, negli strilloni sulle copertine o nei titoli delle tante testate.

Amazing, Spectacular, Astonishing, Giant-Size, Unlimited, Ultimate, Sensational, Friendly Neighborhood, Superior.

Across The Spider-Verse li abbraccia tutti, e dopo averlo visto, provate a trovare il coraggio di ripetere, a me e a Guillermo del Toro, che l'Animazione è solo "un genere per ragazzini"!



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