Arianna Melone e Salvatore Vivenzio: Malombra, raccontare le paure

Un'intervista sulla graphic novel dalle tinte horror, attualmente su Kickstarter, e sul lavoro di Nuova Editoria Organizzata

Nuova Editoria Organizzata (NEO) ha lanciato pochi giorni fa il suo nuovo fundraising su Kickstarter per Malombra, storia che si presenta come un thriller/horror di natura psicologica ambientato tra le stradine della provincia di Napoli.

Abbiamo raggiunto lo sceneggiatore Salvatore Vivenzio e la disegnatrice Arianna Melone per parlare di questa storia, del loro lavoro e delle potenzialità di NEO.

Ciao, Arianna e Salvatore. Intanto bentornati su questi canali. Partiamo dalle origini, ovvero dalla nascita di Nuova Editoria Organizzata, a fine 2022: cosa vi ha portato a creare questo spazio progettuale, collettivamente e personalmente? 

Arianna: Personalmente i motivi principali sono stati due. Sicuramente l'esigenza di uno spazio espressivo, libero da troppe pressioni (come deadline estreme), ma soprattutto libero dal mercato editoriale che sta diventando sempre più industriale e di intrattenimento. Volevo avere la possibilità di lavorare su storie che secondo me e i miei compagni potessero avere un valore espressivo e culturale nel mondo del fumetto. Volevo avere il tempo di studiare e scegliere il modo migliore per disegnare e dare giustizia alle storie che mi si presentavano davanti. Volevo sentirmi contenta di lavorare e di crescere attraverso le opere e gli scambi tra colleghi.

Il secondo motivo è legato a un atto più "rivoluzionario" e provocatorio. Nuova Editoria Organizzata non è tanto per gli autori quanto per le storie, per tutto quello che queste possono trasmetterci. In un certo senso volevamo dimostrare al mondo e a noi stessi che i lettori sono ancora interessati a fumetti di un certo spessore, che le cose belle si possono ancora fare, che fare rete permette di andare avanti e arrivare al cuore di chi ci sostiene. Una rivoluzione che mira a "conservare" affinché non si perda l'importanza di un così particolare strumento: il fumetto.

Questo è stato lo spirito condiviso che ci ha permesso di proseguire e di collaborare con altre persone che sentono le stesse nostre esigenze, ora e nel futuro. Speriamo che questo spazio diventi sempre più grande e più ricco. 

Salvatore: Penso la frustrazione. Il mondo del fumetto è un mondo complesso, articolato, che a volte sembra intricato come una tela di ragno dalla quale non c’è scampo. Più ti muovi e più resti invischiato. Così ho pensato fosse giusto provare a divincolarsi da alcune dinamiche velenose e cercare di dare vita a uno spazio meno condizionato, più libero, più estroso dal punto di vista artistico. Non è la prima volta per me, perché ho iniziato proprio in questo modo con La Stanza nel 2016/2017. Poi mi sono fatto attirare dal canto delle sirene ma sono tornato tra le braccia di mamma. Dove mi sento più libero di fare quello che mi piace. Spero potremo dare questa possibilità anche ad altri autori.

Cosa vi ha permesso di fare Neo durante questo primo periodo di attività (che magari non avreste fatto singolarmente altrove)?

Arianna: Neo ci ha permesso sicuramente di dare vita a storie che molto probabilmente non avrebbero visto la luce, anche nei modi in cui sono state realizzate. Abbiamo fatto squadra e abbiamo cercato di darci il tempo e la libertà. Quello che più ci interessava era non sottostare alle leggi di mercato e ci siamo riusciti. Ma questa avventura ci ha dato anche la possibilità di vivere esperienze dall'altro lato. Abbiamo partecipato a fiere come autori senza casa editrice, abbiamo avuto modo di comprendere quali sono le migliori tra queste per realtà come la nostra. Abbiamo anche avuto modo di valutare gli eventi dedicati al fumetto, comprendendo quali sono realizzati con cura e criterio e quali no. È stato utile per "mettere le mani nel fuoco". L'esperienza forse più interessante è stata quella di fare un po' da editor, di mettere a disposizione le nostre conoscenze agli autori esterni e tra noi, prendendoci cura delle opere dall'inizio alla fine. E ci interessa anche promuoverle il più possibile affinché arrivino a più lettori. Conoscenze dunque non solo tecniche, ma anche di canali di promozione. La collaborazione è stata davvero un punto di forza. Abbiamo commesso degli errori e imparato da essi, stiamo aggiustando il tiro per fare sempre meglio. 

Salvatore: Mi ha permesso di scrivere. Di scrivere senza pensare a scadenze, a linee editoriali stringenti, a cosa vende e cosa no, al giudizio di un editore. Scrivere ciò che volevo scrivere e che sentivo il bisogno di scrivere e credo che questa sia stata la cosa più importante. Poi c’è il lato del lavoro di squadra, che è qualcosa che bisogna imparare a fare e per me è molto importante, personalmente. Ma come dicevo prima, c’è anche la possibilità di provare a donarsi, con i propri strumenti, agli altri. Cercare di essere utili per la cura delle storie degli altri.

Veniamo a Malombra, una delle prime opere lanciate da Neo insieme a Una direzione giustaGlumvasky. Parlateci delle esigenze espressive che vi hanno portato alla nascita di questo fumetto.

Arianna: Quando ho letto la sinossi e le prime pagine di sceneggiatura ho pensato "è la storia che fa per me". Avevo l'esigenza di perdermi in una storia cupa, con personaggi fragili mascherati da persone sicure e forti.  In quel periodo, inoltre, mi stavo documentando e interessando al misticismo, al folklore, ai saggi di De Martino: era perfetta.

Durante la creazione dei personaggi e delle prime tavole ho riscoperto una matita sporca, graffiata, scura, un modo di disegnare più istintivo, emotivo, che avevo messo un po' da parte nelle opere precedenti. Inoltre, ho avuto la possibilità di creare dei character estremi, “brutti" ma anche reali, autentici, quasi come fosse un cast di un film di Garrone.

Andando avanti con le tavole mi sono sentita molto libera di sperimentare anche con la gabbia, con le inquadrature, volevo una struttura più adulta.

Poi ovviamente ho fatto i conti con il peso della storia: è un racconto che ti stanca, ti tormenta, è un lento declino nell'angoscia più che nel terrore. Avevo l'esigenza di riprendere quel dolore e quella sofferenza che avevo solo sfiorato con Gianna, ma che Salvatore mi ha permesso di approfondire con Malombra.

Salvatore: Dovevo affrontare una paura che mi accompagna da quando sono bambino. Probabilmente era arrivato il momento giusto per parlarne, per squarciare il velo, togliere la maschera. Malombra mi ha permesso di respirare. Mi ha concesso la libertà di avere paura.

Avete dichiarato che il progetto si è evoluto nel tempo prima di giungere alla sua forma definitiva. Quali differenze ci sono rispetto alla sua forma iniziale e a cosa sono dovuti questi cambiamenti?

Salvatore: Inizialmente Malombra era un’altra cosa. Chi scrive sa che molto spesso si finisce per buttare giù venti, trenta soggetti nel giro di un paio di mesi e poi si capisce, in base al sentire, quale sia giusto sviluppare. Il titolo originale di Malombra era L’Architetto e si trattava semplicemente della storia di questo brutto ceffo, un uomo dal corpo grande, goffo, il viso scorbutico, che ritirava il pizzo tra i vicoli di questa Napoli spaventosa, materica, viscosa, scura. Poi sono successe varie cose, ho dovuto rifare i conti con alcune paure, è arrivata Arianna che con il suo tratto ha sancito volti, espressioni, e plasmato le personalità dei personaggi. È stato bello vedere prendere forma a questo progetto, forse è quello a cui tengo di più.

Si tratta di una «rilettura dell’orrore popolare». In quale genere narrativo lo includereste, se doveste presentarlo?

Salvatore: Le persone non ci crederebbero ma ti direi folk-horror. Perché credo questo sia il nostro universo narrativo, sia il nostro modo di usare la tradizione, la cultura popolare, per fare racconto, per parlare di paure, misteri, terrore. È la nostra versione di Midsommar o di The Wicker Man. Penso che prima di noi sia stato fatto molto bene da Pupi Avati, mi viene in mente La Casa dalle Finestre che ridono. Film bellissimo. Ma anche Garrone, citato prima da Arianna, affronta sempre questo orrore che affonda le radici in delle cose molto italiane. Penso a L’Imbalsamatore. È un thriller-horror con sentimenti universali ma che ha una forza che viene proprio dalle sue radici.

Raccontateci un po' del protagonista, Gianni De Martino detto l'Architetto. Come è nata la sua caratterizzazione e cosa lo definisce? Da cosa scappa e di cosa ha paura nel profondo?

Arianna: Gianni è un uomo grosso, in apparenza un uomo forte e possente che incute timore, un uomo tutto d'un pezzo, con i suoi capelli pettinati ma non troppo, con i baffi e la barba curata. Ma poi notiamo che è un uomo pesante come il peso che porta sulle spalle, la sua barba diventa incolta, la schiena si fa più curva, le spalle più rigide. Nel corso della storia abbiamo modo di vederlo quasi nudo, con le sue imperfezioni, i peli, il grasso, la pelle in eccesso, qualche dente mancante. Per me è una metafora delle sue imperfezioni interne, dei suoi eccessi e delle sue mancanze, delle sue fragilità che lo rendono autentico. Ho imparato a volergli bene vignetta dopo vignetta e ho amato disegnare ogni parte del suo corpo. 

Salvatore: Mi piaceva l’idea di utilizzare i corpi in questa storia. Il corpo grande ma goffo di Gianni è come un fodero per la sua anima. Lo ripara e lo tiene al sicuro. In realtà si tratta di un uomo spaventato, insicuro, che ha paura di tutto. Che è costantemente a disagio e si sente perseguitato. Credo che nel profondo Gianni vorrebbe solo scappare lontano e stare tranquillo con Carmelina su un’isola deserta. Ma, spoiler, purtroppo le cose andranno diversamente.

I temi di questa storia sono diversi da quelli che si potrebbe pensare superficialmente: non è tanto una storia di camorra o di violenza pura ma un modo per descrivere una realtà fatta di superstizione, paura, ombre, tradimenti. Vi interessava, attraverso Malombra, raccontare il sud (e i quartieri delle province alle pendici del Vesuvio, in particolare) nelle sue sfumature meno visibili?

Arianna: Più lo vivo, più penso che il sud mantenga ancora qualcosa di magico, onirico. Rappresentare il meridione significa un po' rappresentare il sud dell'animo umano, la parte più nascosta, più profonda, quella del subconscio, quella più difficile da comprendere e accettare. Per me più che luoghi e stereotipi, si è trattata di un'immersione nelle abitudini, negli atteggiamenti, nei modi di affrontare sé stessi e la vita che è tipico delle persone dei quartieri e più in grande del sud. È una cosa che si legge nei volti, nei vestiti, negli sguardi, nelle mani, ho sentito un legame ancestrale con le mie origini mentre disegnavo le tavole. Non sono di Napoli e non sono dei quartieri, ma mi sento molto fortunata ad essere cresciuta nel paese invece che nella città. Una periferia ricca di contraddizioni, difficile ma affascinante, con nonni che lavoravano la terra e avevano valori molto antichi, legati ancora ad alcune credenze popolari. Comprendo sempre di più quanto le radici siano importanti anche se i rami vanno altrove. 

Salvatore: Io parlo spesso della provincia nelle cose che scrivo. Ci sono cresciuto, ho fatto le scuole elementari e il liceo nei paesi vesuviani, poi sono venuto in provincia di Avellino ma ho abitato anche a Napoli. Mi piace l’idea di questi palazzoni, queste case popolari come tante cellette in cui si nascondono infinite storie. Questi vicoli stretti che si intrecciano come fili di una maglia impossibile da sciogliere, in cui ci si sente schiacciati, presi dalla claustrofobia. Qualche giorno fa in un’intervista dicevo che il sud piace al resto d’Italia solo quando è rassicurante. Quando può essere inserito in una casella rigida. Diviso, scisso, in una caratterizzazione chiara e precisa. Esiste il napoletano buono e quello cattivo. Quello spiritoso, che racconta le barzellette, e quello che ti spara. Ma la realtà è molto più complessa di così ed è nostro dovere provare a raccontarla.

Per quanto riguarda il vostro percorso autoriale, entrambi vi siete immersi in passato in storie che hanno nel loro DNA un certo grado di realismo, dedicate spesso a persone disperate o sull'orlo della disperazione, che cercano di sopravvivere in qualche modo. Quanto è importante per voi essere realistici (pur inserendo chiaramente elementi di fantasia più o meno marcati)? 

Arianna: Leggendo questa domanda mi è venuto da sorridere perché sembra descrivere me oltre che i miei personaggi. Essere realistici nelle emozioni è fondamentale per me, scrivere mi permette di fare introspezione, analizzare lati nascosti. Ovviamente non me ne rendo conto mentre lo faccio ma solo dopo, a storia finita, scopro quante sfumature dei personaggi mi toccano nel profondo. Adattare le storie in un contesto mi permette sicuramente di studiare e apprendere tanto. Permette anche ai personaggi di avere una struttura più solida, più veritiera. Mi piace farli muovere in un quadro autentico perché anche lo spazio e il tempo interagiscono con loro. Scrivere diventa anche un modo per me di documentarmi, acculturarmi e poi immergermi in periodi che non ho mai vissuto o non potrò mai vivere. Ma sempre tenendo conto di sensazioni, emozioni e situazioni reali, vissute o con cui ho empatizzato. Scrivere di qualcosa che non si sente sulla pelle e nelle viscere trasmette sempre una sensazione superficiale, costruita, ed è ciò che voglio evitare. 

Salvatore: Come diceva Arianna, ci viene naturale raccontare di persone disperate o sull’orlo della disperazione semplicemente perché ci rappresentano. Siamo persone molto emotive, che vivono costantemente rollercoster emotivi, e non potrebbe essere altrimenti. Anche noi cerchiamo di sopravvivere e la scrittura è uno degli strumenti che utilizziamo. Personalmente, trovo che la scrittura sia sempre uno scandaglio del reale, mi serve per scavare dentro me stesso e conoscermi meglio. Conoscermi meglio mi permette di conoscere meglio il mondo. In fondo per me scrivere è un atto molto egoista.

A livello stilistico trovo molto interessanti le scelte nel tratto, così nervoso e a tratti quasi indefinito, e nella colorazione, con queste tonalità cupe, che descrivono bene l'atmosfera del racconto. Vi va di parlarcene?

Arianna: Prima di cominciare, Salvatore mi aveva accennato l'atmosfera della storia e cosa voleva dalle tavole. Non è mai stato troppo rigido anche per permettermi di trovare una soluzione che fosse comoda anche per me. Abbiamo cominciato dai personaggi: all'inizio non mi sono "sbottonata" più di tanto, poi lui ha detto che dovevano essere più "brutti". Allora ho cominciato ad essere più estrema, più rozza anche con i tratti. La liberazione c'è stata per me quando ho cominciato a lavorare sulla Malombra. A un certo punto ho cominciato a disegnare e la matita si muoveva da sola sul foglio: pensavo al personaggio, all'effetto che aveva sul protagonista, al dolore, al terrore, alla paura e all'angoscia che portava con sé. Mi è uscita qualche lacrima quando ho concluso la sua caratterizzazione.

È avvenuta più o meno la stessa cosa con le tavole. Le prime hanno toni lievemente più chiari, la matita un po' più leggera e le forme più sinuose. Ma più si va avanti più diventa scura, grossolana, pesante seguendo l'andamento della storia. Come dicevo nella risposta precedente, Malombra mi ha permesso di tornare a un tratto più istintivo e per me è stato liberatorio ma anche una sfida, perché non avevo mai gestito questo tipo di soluzioni in un fumetto. 

Dopo la pubblicazione online, avete ora lanciato il fundraising su Kickstarter per il volume cartaceo. Cosa vi ha spinto su questa strada e cosa secondo voi potrebbe convincere potenziali acquirenti a investire in questo vostro progetto?

Salvatore: Penso che l’unica moneta che possediamo sia la (nostra) verità. Tutto ciò che scrivo è vero, proviene dal profondo delle viscere, e così è per i miei compagni d’arme. Non ci interessa divertire o intrattenere, il senso del racconto per noi è più profondo, puntiamo a quello e offriamo quello. Speriamo che le persone possano riconoscere il nostro impegno, la nostra volontà di essere trasparenti e onesti, e che ci premino per questo.

Ultima doverosa domanda per persone vulcaniche come voi: a cosa state lavorando attualmente, oltre a Malombra?

Arianna: Attualmente stiamo facendo tante cosine con il collettivo. Stiamo programmando fiere, eventi, curando altre storie con altri autori e soprattutto stiamo dando luce a "nuova biblioteca organizzata", una biblioteca di fumetti a Caserta, con il sostegno del centro sociale ex canapificio e di tutti i donatori. Singolarmente ho due progetti che potrebbero vedere la luce, uno in Italia e l'altro in Francia, uno da illustratrice, l'altro da autrice completa, entrambi in un regno che per me è ancora ignoto: quello dei fumetti per bambini e ragazzi. Sono molto emozionata perché c'è una storia a cui tengo tanto, dai tratti fiabeschi e onirici e spero davvero che il contratto con la Francia si concluda in positivo! Poi mi piacerebbe realizzare un'opera completa con Nuova Editoria Organizzata, ma vedremo se e quando sarà possibile! 

Salvatore: Lavoro su me stesso. Sto cercando di essere una persona migliore per me, di accettare quello che non funziona, di trovare qualche briciolo di pace su questa Terra. Aspetto che arrivino nuove storie. Ce ne sono, ovviamente, ma non mi piace parlare di quello che è solo nel mondo delle idee, nell’Iperuranio. Quello che conta è che siamo qui, stiamo lavorando per noi e per altri autori e nel nostro piccolo cerchiamo di rendere il mondo un posto più simile a quello che ci piacerebbe vedere.

Grazie per il vostro tempo e per questa bella chiacchierata e a presto!

Intervista a cura di Giuseppe Lamola



Arianna Melone nasce a Caserta nel 1996, si diploma alla Scuola Internazionale di Comics a Napoli. Nel 2020 esordisce come autrice completa con " Gianna", edita da Becco Giallo. A marzo 2021 "Gianna" viene pubblicata in Francia tradotta dalla casa editrice Albin Michel. Nel settembre 2021, sempre per Albin Michel in Francia, esce un nuovo libro in collaborazione con la sceneggiatrice Vero Cazot , "le bal des folles" dal best-seller omonimo di Victoria Mas. Vince il premio Artémisia 2022 con "Gianna". A ottobre 2022 pubblica “le ragazze di Saffo”, biografia edita da Becco Giallo, poi pubblicata in francese da Graph Zeppelin. Nel 2023 disegna per Nathan BD, “La Division” sceneggiato da Emmanuel Suarez.


Salvatore Vivenzio è uno sceneggiatore nato a Roma nel 1997. Tra le sue pubblicazioni in Italia i tre fumetti Kristen, Gamble e La Veglia per ALT! (2017), le graphic novel La Rabbia (2018) e Il Treno di Dalì (2021) per Shockdom (edito anche in Francia e Spagna). Nel 2022 fa il suo esordio oltreoceano con No One Knows (USA e Canada) per Black Panel Press e DISTORTED, edito da Scout Comics in America e da Saldapress in Italia. Collabora con Leviathan Labs per l’antologia Giallo.


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