Retrocomics 06 - Quattro critici a confronto

La formazione, le esperienze, le soddisfazioni e le difficoltà del critico fumettistico

Nuovo appuntamento con Retrocomics, la rubrica che si ricorda quando l’edicola era la casa dei fumetti e delle riviste di critica.

Ora, tranne Fumo di China, le riviste e le fanzine cartacee sono praticamente sparite lasciando spazio a siti web e a Twitch: questo ha chiaramente modificato anche la figura del critico fumettistico e il loro rapporto con le opere e con gli autori stessi. Visto che è un mestiere complesso e spesso non compreso appieno ho pensato di chiedere a quattro critici, con esperienze molto diverse tra loro, di parlare del loro lavoro e di come lo concepiscono.

Iniziamo?

Iniziamo. 

Andrea Gagliardi

Critico fumettistico, editor, musicista. Di questo (e di molto altro) si occupa Andrea “Gufu” Gagliardi. È anche il fondatore dell'Associazione Culturale Dimensione Fumetto.


Come ti sei formato?

Nel mio caso ci sono stati due binari: uno più prettamente accademico e uno più personale.

Nel primo ambito ho sfruttato le possibilità offerte dal mio percorso universitario (Lingue e Letterature Straniere all’Università di Macerata) per acquisire nozioni sugli argomenti che mi interessavano. Per cui ho costruito il piano di studi cercando di integrare quante più materie possibili mi aiutassero in quel senso: dalla glottologia alla linguistica, dalla storia americana alla letteratura inglese e anglo-americana fino ad aggiungere dei complementari come storia della critica letteraria e via dicendo. Il secondo ambito è stato invece frutto di una passione e prosegue tutt’oggi: leggo recensioni e articoli scritte di gente che stimo e ritengo competenti, compro libri sulla storia e sul linguaggio del fumetto (Barbieri, McCloud, Eisner, Groensteen ecc…) e anche quelli che spiegano la narrazione più in generale (Eco, McKee…). Alla fine ognuno trova la sua strada, il tipo di critico che vuole essere, per cui basta cominciare da una parte e farsi trascinare dalla voglia di imparare.

Cosa dovrebbe fare il critico di fumetti e cosa sarebbe meglio non facesse.

Bella domanda a cui non so rispondere. Diciamo che io cerco sempre di scrivere qualcosa che interessi prima di tutto me, sia dal punto di vista dei contenuti che della forma. Quando scrivo mi chiedo sempre: “ma se trovassi quest’articolo sul web lo aprirei? E lo leggerei fino alla fine?”. Tutto qui. Cosa NON fare invece è facilissimo da dire: non si dovrebbe ragionare in termini di voti, stelline o quant’altro ma dare una spiegazione esauriente sulle chiavi di lettura dell’opera analizzata. E non si dovrebbe separare l’analisi tra storia, disegno, colori ecc… perché è una cosa noiosissima e che tradisce il fumetto stesso inteso come mezzo di comunicazione, che non è un mostro di Frankenstein in cui narrativa e illustrazione sono cuciti alla bell’emmeglio con il fil di ferro, ma un linguaggio unico che incorpora diversi segni ed elementi e che va analizzato nella sua unicità.

Quali sono i problemi che si affrontano quando si analizza un’opera.

Recensire è un po’ come fare una sessione dallo psicanalista: si legge una cosa e poi si deve spiegare perché questa cosa ci è piaciuta. Quindi di fatto dobbiamo mettere dentro una parte di noi stessi cercando allo stesso tempo di rendere l’articolo quanto più universale possibile. Perché chi legge vuole sapere se quel fumetto può piacere a lui, non se è piaciuto a un altro. Per cui la difficoltà maggiore è quella di presentare quanto più obiettivamente possibile gli elementi oggettivi dell’opera per poi valutarli su una scala soggettiva in modo che chi legge possa confrontarla con la propria e fare le sue considerazioni. In questo modo l’analisi, la recensione, può essere utile anche a chi ha gusti diametralmente opposti ai tuoi.

L’analisi/recensione di cui vai più fiero.

Più che una singola recensione sono molto orgoglioso (con tutti i suoi limiti) del lavoro fatto su Comics Calling, sia il blog che la versione cartacea autoprodotta di qualche anno fa. È quel modo di affrontare l’analisi del fumetto che mi interessa e che cerco ma che, comprensibilmente, si trova poco in giro: sono articoli che richiedono una mole di lavoro consistente a monte e non ripagano, in termini di visualizzazioni, quanto una news scritta in venti minuti. Sono “antieconomici”. Ma proprio il lavoro sul blog (e sull’edizione cartacea) mi ha fatto scoprire che esiste una nicchia di pubblico, non piccolissima, interessata a questo tipo di lavoro.



Giovanni Campodonico

Per anni ha gestito il blog Comicsverse 101, è probabilmente il più grande esperto di Batman in Italia. Quando non si occupa di fumetti è un ipnotista.

Come ti sei formato?          

Se il Liceo Classico mi ha fatto ardere sempre di più dentro il fuoco dell'analisi letteraria, sarebbe una bugia non dire che gran parte di quello che so sul mondo della critica non venga dall'ascoltare chi era più bravo di me. Durante gli anni dell'adolescenza, divoravo tutto quello che potevo trovare riguardo al fumetto che non fosse solo disegnato, dalle fanzine più scarse agli articoli di approfondimento più beceri, fino alla lettura di siti più impegnati, ed analisi più strutturate. Mi sono messo a bottega a scrocco insomma, ho visto cosa facevano gli altri, ho assorbito quello che credevo funzionasse, e grazie ai miei studi prima liceali e dopo universitari, e ad un mucchio di manuali di vario genere, ho costruito, e continuo a costruire la mia formazione. 

Tecnicamente, sono anche ipnotismo, e a tutti quelli che negli hanno mi hanno chiesto se la cosa servisse, posso dire di no, ma fa molto ridere alle feste. 

Cosa dovrebbe fare il critico di fumetti e cosa sarebbe meglio non facesse.

Personalmente, penso che il critico di fumetti dovrebbe essere in grado di miscelare una base di solido, e parlare quindi del lato più pratico del fumetto, ed una parte di poetico, e darci un'opinione, ma che sia molto personale. Che è forse la parte più difficile, perché una volta che si ha l'occhio allenato, i discorsi su grammatica del fumetto, composizione della tavole, chiaroscuri, giochi di spinte e controspinte ed altre parole tutto sommato forbite ti entrano dentro, andare a spiegare il perché, in quella vignetta particolare, in quella pagina particolare, quel dettaglio dell'occhio di tale personaggio sia quello che ti ha fatto innamorare del fumetto... non è sempre semplice.

Inoltre, una cosa che il critico dovrebbe fare, è citare chiunque abbia partecipato alla realizzazione dell'opera, visto che spesso parliamo di storie e disegni, ma dei coloristi e dei letturisti non se ne parla mai, ed il loro lavoro è cruciale. 

Per quanto riguarda il cosa sarebbe meglio non facesse, penso che sia poco utile, in questo contesto, dire che qualcosa è brutto o bello, o anche semplicemente un “non mi ha convinto”, senza spiegarne il perché. A me poi infastidisce anche quando si parla degli autori, come se li si conoscesse di persona, mi sembra poco carino.

Quali sono i problemi che si affrontano quando si analizza un’opera.

Nella mia esperienza, conoscere bene, ma molto bene il contesto nella quale l'opera è stata creata, e trasmetterne il senso anche a chi non lo conosce è uno dei problemi principali. Credo che parlare di supereroi senza conoscere il valore educativo che avevano per un bambino negli anni 40 sia difficilissimo, ed allo stesso modo far comprendere a chi ti legge, che vive in un mondo totalmente diverso quanto sia potente un'idea primigenia, che magari ha visto declinata e migliorata centomila volta. E questo vuol dire leggere molto di più, che il singolo fumetto, vuol dire conoscere la storia, del mondo e del medium, perché la critica (forse come la Pedagogia, e qui io sono di parte) è disciplina epidermica, deve toccare il problema, per capirlo davvero, e spesso invece che infilare le mani dentro il tutto, si preferisce sfiorare. 

A volte il problema siamo noi, che analizziamo, che perdoniamo o dimentichiamo di parlare di qualcosa che non funzione in un'opera ci piace nascondendoci dietro un dito, o che creiamo e diffondiamo tutta una serie di idee monolitiche, che non fanno bene a nessuno.

L’analisi/recensione di cui vai più fiero.

Questa è forse la domanda più difficile, perché non è che mi piacciono moltissimo le mie cose vecchie. Per me l'analisi più bella sarà sempre la prossima, però devo dire che tutte le volte che parlo di Jack Kirby, o di Superman, do il mio meglio.



Michele Garofoli

Caporedattore, da un decennio, de Lo Spazio Bianco e collaboratore di Fumo di China. Ama le polemiche ma solo quelle divertenti.

Come ti sei formato? 

Il mio amore per fumetto è iniziato praticamente nei primi anni della mia vita, un amore che mi ha trasmesso mio padre. In casa mia i fumetti sono sempre stati una presenza costante. Crescendo ho iniziato a occuparmi sempre più del dietro alle quinte, del lavoro dietro al risultato finale. Ho quindi cercato di leggere saggi che spiegassero in dettaglio la professione, il mezzo. Insomma una ricerca personale che mi ha portato a diventare una figura, sicuramente non professionale, ma amatoriale riconosciuta. Non posso dire di essere un luminare, ma qualcosa ne capisco. Almeno spero. 

Cosa dovrebbe fare il critico di fumetti e cosa sarebbe meglio non facesse.

Fare: essere critico. Cinico ma onesto. Nel bene e nel male. A costo di essere odiato dal mondo che ami. Oggi, visto anche la grande espansione che il mercato del fumetto sta vivendo, ci sono opere di valore ma molte di più mediocri come è normale che sia, vista l‘offerta che sinceramente trovo esagerata.. In questo contesto sento parlare con troppa facilità di “capolavoro”. Da non fare: partire dal voler parlare di fumetto, discuterne, fare critica, per poi diventare amico o intimo dell’autore o dell’autrice. Difficilmente si può essere imparziali giunti a quel punto. Alcuni esempi esistono, ma sono un’eccezione. Capisco possa esserci il desiderio di entrare nel giro, è capitato pure a me, ma in quel momento devi decidere cosa vuoi fare. Una recensione compiacente e non obiettiva è la cosa peggiore che puoi fare a un fumettista. Almeno dal mio punto di vista.

Quali sono i problemi che si affrontano quando si analizza un’opera.

Sono nel giro della critica fumettistica da circa quindici anni e mi sono reso conto, tutto sommato, di quanto fosse più facile una volta giudicare un fumetto. Era più personale, pensato. Forse anche perché serviva tanta gavetta per arrivare alla pubblicazione. Oggi nel fumetto mainstream mi sembra ci sia un appiattimento generalizzato di tematiche, di temi, un’esasperazione ideologica. Lo sviluppo e la costruzione delle opere sono sempre più simili, banalizzato. Un problema che trovo sia molto più presente a livello di sceneggiatura che di disegno. Un profonda mancanza di originalità. Questo deve portare ad analizzare il fumetto in modo più attento, quasi maniacale, devi cercare di tentare in sintonia. Devi cancellare qualsiasi pregiudizio ed affrontare qualsiasi opera come se fosse la prima della tua vita, altrimenti è dura. Dico questo perché un fumetto che prende la struttura di un altro e la copia/incolla può comunque essere meritevole. A volte l'originalità e sopravvalutata. A volte. In questo momento per me questo è il più grande ostacolo per giudicare un’opera. Mi accorgo che in questo momento storico se non seguo questa regola, difficilmente riuscirei a trovare fumetti che posso considerare davvero validi. Sono un po’ rompiballe, lo ammetto. E poi naturalmente la regola numero uno: giudica l’opera e non l’autore, altrimenti è finita. Anche qui a volte non è proprio semplice. Comunque, in generale, mi ritrovo più nelle autoproduzioni e nella loro analisi. 

L’analisi/recensione di cui vai più fiero.

Sicuramente l’approfondimento/recensione de Le 5 fasi del 2011, opera firmata dal collettivo Dummy, composto da Ausonia, Ponticelli, Akab, Officina Infernale, Squaz e Tiziano Angri. Autori e persone eccezionali. Un fumetto che sfidava qualsiasi convenzione e avanti anni luce. Fu la prima occasione in cui entrai in totale sintonia con un’opera e i suoi autori, tanto che vollero partecipare alla completezza del pezzo e, una volta pubblicato, mi ringraziarono personalmente per il risultato finale e si riproposero di lavorare ancora insieme se possibile. Erano altri tempi, meno vezzi da star, il fumettista aveva una dimensione “umana”. Non ho mai più ritrovato quell’alchimia. Lo so che prima ho detto che critico e artista non devono essere “amici”, ma avvenne tutto in modo naturale, lontano dal social contatto imperante… quindi mi assolvo. Ahahahaha!



Fabrizio Nocerino

Creatore di Uncanny Comics, community di riferimento per quanto riguarda i comics americani; collabora inoltre con varie realtà editoriali come Dimensione Fumetto e Gli Audaci.

Come ti sei formato?

Mi piace dare due risposte a questa domanda perché ho ricevuto due formazioni: la prima da autodidatta e da puro appassionato che leggeva e voleva raccontare la sua passione agli amici. Parlare di fumetto mi ha sempre dato una carica incredibile e, anche senza mezzi, cercavo di esprimere le mie sensazioni al riguardo, i miei sentimenti dopo la lettura. La mia formazione da critico comincia un po' più tardi, quando ho iniziato a pensare di poter trasformare questa passione in un mestiere (circa…). Ho cercato di ascoltare quante più voci potessi ma, se proprio dovessi segnalare due letture chiave, direi Scott McCloud e Daniele Barbieri con il suo Semiotica Del Fumetto


Cosa dovrebbe fare il critico di fumetti e cosa sarebbe meglio non facesse.

Un critico di fumetti dovrebbe essere onesto con se stesso, con chi legge e valuta il suo lavoro. Il critico non lavora per sé, lavora per l'arte e per il pubblico: è un modus operandi che seguo ciecamente. 

Credo sia l'unico modo per non cadere nelle trappole del contesto culturale contemporaneo, strettamente legato alle dinamiche e ai ritmi di Internet 3.0, dove si ragiona per estremi e per hype di consumo.

Quali sono i problemi che si affrontano quando si analizza un’opera.

Quello che sto per dire viene da un'esperienza personale: ci fu un momento in cui non ero affatto felice di ciò che scrivevo, dicevo e ho capitolo dopo il perché: credo sia importante staccare il proprio ego dal lavoro. Come accennavo prima, un critico lavora per l'arte e il pubblico, non per ringalluzzire il proprio senso di appagamento e soddisfazione, per essere lodato e incensato, per sentirsi apprezzato dal settore e ricevere complimenti dagli autori.

Creare un rapporto con i lettori è fondamentale, è importante che il pubblico conosca i gusti del critico, il suo background e cosa potersi aspettare da un suo lavoro… ma il critico non dovrebbe mai essere protagonista. Sono felice di aver trovato questo equilibrio.

L’analisi/recensione di cui vai più fiero.

Difficile sceglierne una, solitamente mi piacciono tutte… altrimenti non le pubblicherei mai in giro per Internet. Sono molto legato alla mia recensione di Prison Pit di Johnny Ryan e all'analisi (a quattro mani con il bravissimo Andrea Gagliardi) di House of X e Powers of X. Mi sono sempre sentito fiero del lavoro fatto recensendo le opere di Ales Kot come Days Of Hate e Zero così come è stato per il debutto in Italia di Copra di Michel Fiffe, uno dei miei fumetti preferiti degli ultimi anni.

Piccola mia nota finale: come sempre ho cercato di editare il meno possibile perché amo riportare, nel modo più fedele, le voci degli intervistati.

Luca Frigerio

 

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