Dylan Dog #405 - L'uccisore

Ben oltre il remake


L'uccisore, quinto capitolo del ciclo 666 di Dylan Dog- che continuiamo a ribattezzare "Dyd Year One" - è un altro tassello di un percorso affascinante (anzi, sempre più avvincente).


Come noto, la saga iniziata nel numero 401 non è solo una sequenza di remake dei primi albi della serie regolare: più si va avanti e più ci si accorge che gli episodi originali vengono ripresi anche e soprattutto per incasellarli all'interno di un mosaico omogeneo con l'intenzione di far luce sulle origini dell'Indagatore dell'incubo. Spesso sono le differenze tra "l'Old boy che abbiamo sempre amato" e il barbuto investigatore problematico e alcolista di questi ultimi numeri a essere messe in particolare risalto.
Abbiamo visto Dylan nei numeri precedenti affrontare vari problemi, dai più orrorifici ai più personali, fino a doversi confrontare con lo spettro dell'alcolismo. Problemi che non ha risolto del tutto: farvi fronte contribuirà alla sua formazione umana. Anche la scelta narrativa di non liquidare semplicemente tutte le bizzarrie del personaggio nel percorso lineare di caduta e redenzione del numero precedente (che mostrava una memorabile ed emozionante sequenza muta) dimostra un approccio non superficiale all'evoluzione del protagonista, che fa emergere una costante e irrisolta tensione tra un innato senso di giustizia e il desiderio anarchico di risolvere le cose a modo proprio.

La storia del quinto numero della serie regolare di Dylan Dog (episodio datato 1987, a firma Sclavi/Dell'Uomo, da noi recensito qui) viene dissezionata e in parte ribaltata da Roberto Recchioni, che trasforma emblematicamente il titolo dal plurale al singolare, racchiudendo già in questa scelta un indizio sulla strada qui percorsa.
Da Gli uccisori viene ripresa la prima parte (che si ricollega alla preview in appendice all'episodio scorso), con la follia che divampa in tutta Londra e con la presenza di Lord Wells (personaggio introdotto da Sclavi proprio in Dylan Dog #5) e del suo "bad detector" per scovare la sorgente del male. Ma è proprio dal confronto tra Dylan e Wells che emerge uno dei temi dell'albo: cosa è giusto fare quando sai che l'artefice di una strage potrebbe rimanere impunito? Sappiamo cosa risponderebbe il Dylan "maturo", ma come potrebbe reagire in una situazione di questo tipo il personaggio impetuoso descritto in questa nuova saga?


A tutto ciò si aggiunge la sottotrama del serial killer "burlone" che, come avevamo intuito da vari indizi disseminati nei numeri precedenti, era destinata ad assumere un ruolo rilevante, al punto di "rubare" letteralmente spazio al suddetto remake. È chiaro che l'interesse dello sceneggiatore e dei lettori non è tanto nel ripercorrere le singole storie già note ma nel seguire l'evoluzione di Dylan e del suo cast di comprimari (ci riserveremo un'analisi più approfondita del ritorno di un certo personaggio per la recensione del prossimo numero, episodio conclusivo della saga).
Assistiamo infatti a un fruttuoso approfondimento della caratterizzazione non solo del protagonista ma anche del cast di comprimari, che acquisiscono una loro dimensione e una piena ragion d'essere. Interessante anche l'ironia metatestuale nelle pagine finali sulla personalità bidimensionale di Dylan (un modo per evitare anche un po' di prendersi troppo sul serio...).

Dal punto di vista narrativo, abbandonando la verbosità a tratti didascalica che aveva caratterizzato i primi due numeri di questo ciclo, già nel numero precedente Recchioni era riuscito a utilizzare efficacemente dialoghi asciutti e calzanti, fino ad arrivare all'estremo della già sequenza completamente muta. Anche in questo caso, riducendo all'osso lo spirito citazionista e postmoderno e qualsiasi "orpello", realizza una storia tesa, intensa, con momenti onirici e parentesi narrative ben studiate.


Il tratto nervoso di Giorgio Pontrelli descrive traiettorie inedite: piuttosto che dar vita a realtà scolpite nella roccia, il disegnatore realizza immagini indefinite, impalpabili, che culminano in un finale superbo e sopra le righe (tutta la sequenza da pag. 76 a pag. 88 sfrutta in modo incredibilmente artistico linee, punti e parole). I suoi bianchi sono accecanti, segnati da tratti sinuosi che rifuggono dall'ovvio e dal già visto, provando a inerpicarsi in una sperimentazione visiva mai eccessiva e sempre ben adatta alla rappresentazione della storia.
Alcuni tocchi di regia, realizzati sulla sceneggiatura di Recchioni, sono particolarmente efficaci, come le splendide sequenze con inquadratura fissa (quella con Dylan e Gnaghi di pagg. 30 - 31, poi ripresa con il solo Dylan a pag. 75, ma anche quella con Rania a pag. 55). Notevoli anche le due tavole di flashback (pagg. 71 - 72), che hanno un sapore metafumettisticamente riconducibile allo stile di Angelo Stano, e la citazione a Go Nagai a pag. 87 (tavola già citata da Recchioni in diverse sue opere precedenti, da John Doe a Orfani Sam, quasi a rendere ancor più "sua" questa storia).


Impossibile poi non citare le ultime tavole, ad opera di un Corrado Roi ancora una volta in splendida forma, che pongono il protagonista letteralmente faccia a faccia con se stesso in pagine di grande atmosfera.

Insomma, un episodio che ci ha convinto tanto quanto il precedente, che riesce ad approfondirne tematiche e personaggi in maniera fruttuosa e non banale e che ci lascia in fervente attesa di leggere la conclusione del ciclo 666 nel prossimo numero, dal titolo emblematico di L'ultima risata.

Il Sommo audace



"L'uccisore"
SERIE: Dylan Dog
NUMERO: 405
DATA: maggio 2020
SERGIO BONELLI EDITORE


SOGGETTO E SCENEGGIATURA: Roberto Recchioni
DISEGNI E CHINE: Giorgio Pontrelli e Corrado Roi
COPERTINA: Gigi Cavenago



Tutte le immagini © 2020 Sergio Bonelli Editore.

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