Dylan Dog #404 - Anna per sempre

Il fascino di una storia che riesce anche a fare a meno delle parole


Riconoscere di avere un problema è il primo passo verso la soluzione dello stesso. Perché alla fine, come abbiamo imparato in oltre trent'anni di storie di Dylan Dog, i mostri siamo noi.


Ma come siamo arrivati a questo punto?
Roberto Recchioni ha trovato un modo intelligente di sviscerare e costruire questa forma di analisi delle radici del personaggio, l'evoluzione di una personalità che scopriamo non essere innata ma forgiata da esperienze, cadute, errori, risalite.
Siamo mostri, lo scopriamo nei momenti peggiori della nostra vita, e il più delle volte quella mostruosità finisce per spaventarci a tal punto da volerla nascondere, ignorare, fingendo non sia mai esistita e peggio, ci abbia abbandonati del tutto quando la vita è tornata a sorriderci. Invece no, continua ad esistere come la notte con il giorno, quasi a ricordarci apertamente quello che siamo, che potremmo essere, portandoci quindi a fare delle scelte nella direzione che crediamo migliore.


Come si affrontano i propri mostri? Non servono amuleti, muscoli o spade di fuoco: Dylan riesce a riconoscere di avere un problema e sceglie di affrontarne le conseguenze, cercando una via che gli salvi la vita (e l’anima).

Il Dylan di Recchioni è lontano (per ammissione dell’autore) dall’essere paternalistico e voler dare l’esempio in stile “pubblicità progresso”, nelle quali l'Old boy degli anni 90 era spesso presente in quanto icona pop per veicolare messaggi socialmente utili. Nel ciclo denominato 666, Dylan è un uomo fragile, pieno di aspetti oscuri, nel quale è facile immedesimarsi e spesso (con un po’ di vergogna, forse) riconoscersi.

Riconoscersi nella sua rassegnazione, nei suoi occhi iracondi, nel tono di voce fuori luogo. Ma è proprio qui che, anche non volendo, il personaggio diventa un simbolo che si carica di responsabilità (proprie e altrui) e sceglie di diventare qualcosa di più. L’inizio di qualcosa che lo porterà ad essere quell’uomo, sempre fragile, combattuto, spesso borderline, ma capace di fare la scelta migliore per tutti, nonostante tutto, che abbiamo imparato ad amare in questi 30 anni.


Anna per sempre è una storia davvero speciale, di quelle che a descriverle sembra ti manchino le parole. E non è solo per le sequenze mute, che sono letteralmente da urlo. Nemmeno solo per l'innegabile bellezza di tutta la storia, che in alcuni punti ti colpisce come un pugno sferrato nello stomaco a sangue freddo. No, si tratta anche e soprattutto della capacità di rappresentare l'insostenibile fragilità dell'essere umano e gli incubi che si annidano nella sua quotidianità.
Partendo da una rielaborazione solo di alcuni passaggi de Il fantasma di Anna Never (e con una forte comunanza tematica con uno degli ultimi lavori sclaviani, Dopo un lungo silenzio), Recchioni realizza una delle sue prove migliori in assoluto su Dylan Dog, una sceneggiatura caratterizzata da una notevole intensità.

Una raffinata citazione in stile Art Nouveau.

L'Art Nouveau di Alfons Mucha.

Impossibile non segnalare le 31 pagine centrali completamente prive di balloon: quando una storia riesce a fare a meno delle parole facendo arrivare ugualmente al lettore ogni sfumatura emotiva con tale profondità, evidentemente il narratore può affermare di essere riuscito nel suo compito. E in questo caso non solo non si avverte affatto la mancanza dei dialoghi ma si viene talmente travolti dal saliscendi di avvenimenti che incalzano e avvinghiano da non riuscire a mantenere un distacco.

Proprio in queste pagine si evidenzia la splendida la prova di Sergio Gerasi: il "nervosismo" del suo tratto raggiunge qui delle vette anche emotive stratosferiche, passando da pennellate secche, piene e nere a “scarabocchi”, vortici intrecciati e confusi fino a tratteggi evanescenti che smaterializzano la tavola e la fanno letteralmente tremare (dalla paura, dal cedimento, dalla confusione).

Il difficile confronto con la "storia di riferimento", il già citato Dylan Dog #4, viene gestito da Gerasi con assoluta disinvoltura: magistrale in particolare la sequenza delle pagg. 9-11, dove Recchioni e Gerasi si rifanno a tre memorabili tavole di Sclavi e Roi, rendendo Dylan (e non più il suo amico Guy) il protagonista di un terribile momento legato alla condizione di alcolista.

Il fantasma di Anna Never e Anna per sempre: due tavole a confronto.

Ma, come accennavamo in precedenza, è la lunga sequenza muta il cuore emotivo dell'albo. La sua parte finale, con le vignette senza margini, raggiunge apici di drammaticità notevoli. L'espressività dei personaggi è talmente eloquente da rendere la lettura emotivamente coinvolgente, trasmettendo l’oppressione dell’incubo, l’angoscia, la rabbia, la sofferenza.
Come già avveniva nelle prime tre tavole di Mercurio Loi #4, Gerasi coadiuva efficacemente il ruolo dello sceneggiatore diventandone complice inscindibile, a dar vita a una narrazione dove i ruoli degli autori si fondono e si mescolano efficacemente.

Vanno citate anche le ultime sei tavole di presentazione del prossimo numero, ad opera di Giorgio Pontrelli, anch'esse mute, con la rappresentazione di una dilagante follia collettiva: il prossimo numero si preannuncia un altro tassello da non perdere.

La cover di Gigi Cavenago per il prossimo numero,
in uscita a fine maggio.

La carica emotiva e il livello qualitativo di questa miniserie-nella-serie è davvero notevole. E di tutto il ciclo 666, finora Anna per sempre è sicuramente uno degli albi che merita maggiore attenzione, per il modo in cui è realizzato, le tematiche affrontate e l'impatto sul lettore.

Il Fosco e il Sommo


"Anna per sempre"
SERIE: Dylan Dog
NUMERO: 404
DATA: aprile 2020
SERGIO BONELLI EDITORE

SOGGETTO E SCENEGGIATURA: Roberto Recchioni
DISEGNI E CHINE: Sergio Gerasi e Giorgio Pontrelli
COPERTINA: Gigi Cavenago



Tutte le immagini © 2020 Sergio Bonelli Editore.

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