Dylan Dog #401

Né remake, né reboot, né what if... O forse tutti e tre insieme?


Con L'alba nera, Roberto Recchioni e Corrado Roi si assumono il difficile compito di dare il via a un nuovo percorso narrativo per la serie regolare mensile dell'Indagatore dell'incubo. Una sorta di nuovo numero uno, per certi versi un reboot, per altri un "what if?", che rappresenta un buon momento per (ri)cominciare a leggere il mensile, visto il distacco (definitivo?) rispetto a tutto quanto avvenuto in passato, compreso il ciclo della meteora (con la sua deflagrante conclusione).

Il nuovo frontespizio di Dylan Dog a firma di Gigi Cavenago, ispirato a quello di Claudio Villa dei primi storici numeri della serie.

La minisaga in sei parti che qui prende il via, denominata con il sottotitolo di "666", è il primo di vari cicli sostanzialmente autonomi nei quali si articolerà la vita editoriale della testata nel prossimo futuro, dando vita a storie di ampio respiro che avranno una continuity interna abbastanza serrata. In tal senso viene portato a compimento un lavoro riuscito solo in parte durante il ciclo della meteora (nel quale la continuity era un po' blanda e in alcuni casi gestita in maniera dispersiva), avviato sin dalle origini della gestione di Roberto Recchioni con Spazio Profondo, scardinando la proverbiale autoconclusività che caratterizzava le storie dell'Old Boy fino a quel momento e inserendo elementi di innovazione che avrebbero avuto ripercussione negli albi seguenti.

Tornando al numero 401, almeno in parte si tratta di una dichiarata rielaborazione de L'alba dei morti viventi, primissimo mitico episodio di Dylan Dog ad opera di Tiziano Sclavi e Angelo Stano pubblicato il 26 settembre 1986. Di quella storia vengono ripresi alcuni spunti, con richiami in diverse tavole che effettivamente ripropongono eventi lì raccontati in chiave differente (e qui andrebbe aperto un capitolo a parte sul confronto tavola per tavola tra Stano e Roi, due giganti della Nona arte...). Come è facile intuire, non si tratta però semplicemente di un remake della storia d'esordio del personaggio (operazione del resto già effettuata dallo stesso Recchioni nell'episodio breve dal titolo La nuova alba dei morti viventi, ristampato su un Color Fest interamente dedicato ai remake).


L'aspetto forse più interessante in assoluto per chi segue il personaggio consiste infatti nel ricercare differenze e analogie tra la storia qui raccontata e L'alba dei morti viventi: le varie informazioni che ciascun appassionato della serie aveva consolidato nel tempo si trovano modificate, riformulate secondo modalità inedite.
Non solo: in alcuni punti della narrazione il lettore è messo nella condizione di chiedersi: "Ok, cosa è successo? Cosa mi sono perso?". In questo voluto disorientamento, con dei pezzi mancanti per risolvere il puzzle, risulta intrigante il modo in cui Recchioni riesce a centellinare le informazioni su questo "nuovo universo" e a suggerirle tra le righe, tra parole non dette, sguardi e riferimenti.
E se anche la storia nel suo dipanarsi dovesse lasciarvi tiepidi o non incuriosirvi a sufficienza, certamente l'ultima tavola (anzi, l'ultimissima vignetta), come nella miglior tradizione dei prodotti d'intrattenimento seriali - che si tratti di un fumetto Marvel o di una serie tv in continuity - lancia uno di quei colpi di scena che certamente modificheranno il senso della storia che stiamo leggendo e dell'intero nuovo ciclo, fornendo ruoli differenti a personaggi ben noti ("differenti" nella forma, ma non nella sostanza, come è giusto che sia per evitare di snaturare il personaggio).


Viene anche da chiedersi se sarà questa d'ora in poi l'unica "continuity ufficiale" della serie, oppure se gli autori troveranno il modo di ripristinare l'universo al quale ci siamo affezionati in oltre trent'anni di storie e che ha trovato un suo epilogo nelle pagine conclusive del numero 399 (ovviamente ci toccherà attendere per avere una risposta esaustiva a riguardo).

Entrando nello specifico dei cambiamenti apportati (e senza fare troppi spoiler, come è giusto per non rovinare la lettura a nessuno), alcune scelte meritano un piccolo cenno specifico.
Come noto, accanto a Dylan Dog troviamo un nuovo assistente, Gnaghi. Il sostituto di Groucho è un personaggio nato nel romanzo di Tiziano Sclavi dal titolo Dellamorte Dellamore, da cui nel 1994 è stato tratto un film diretto da Michele Soavi. Come abbiamo già suggerito in questo post, il legame tra Dylan Dog e Francesco Dellamorte è complesso ma potremmo riassumerlo affermando che sostanzialmente l'Indagatore dell'incubo è "figlio" del personaggio poi interpretato sul grande schermo (con buon gioco di rimandi incrociati) da Rupert Everett.
Il romanzo risale infatti ad alcuni anni prima della nascita di Dylan Dog, ma a quanto pare il manoscritto era andato perduto e il romanzo rimase inizialmente inedito (vi rimandiamo sempre qui per ulteriori dettagli).
Il richiamo a Francesco Dellamorte, che di lavoro fa il custode di un cimitero e ha varie caratteristiche in comune con Dylan, è evidente a partire dalla splendida cover di Gigi Cavenago, che prende ispirazione da uno sketch di Claudio Villa con Dellamorte, Gnaghi e una donna distesa in terra, ritratti in pose del tutto analoghe.
Gna!

Anche la cover di Gigi Cavenago per il prossimo numero, Dylan Dog #402 in uscita a fine febbraio, riprende l'iconografia di Dellamorte Dellamore.


In questo nuovo ciclo, anche il look del protagonista viene a essere modificato: barba incolta, cappotto nero al posto della classica giacca e in generale un aspetto trasandato, adatto a un clima più oscuro e ad atmosfere da hard boiled, che si ricollega maggiormente al corpus di idee iniziali di Sclavi che hanno dato origine il personaggio.
La scelta della barba, piaccia o meno, è chiaramente anche uno dei modi per cercare di "svecchiare" l'Old Boy, di "aggiornarlo", riconnettendolo all'oggi e rendendolo attuale: una sfida da un lato intrigante e piena di fascino, dall'altro per sua stessa natura insidiosa.
Come tutti i personaggi immaginari, l'Indagatore dell'incubo è figlio del suo tempo e della penna (e delle chine) da cui ha avuto origine: frutto dell'immaginario degli anni '80 e a sua volta icona pop radicata in particolar modo nelle menti dei lettori a cavallo tra la fine degli '80 e l'inizio dei '90, l'inquilino di Craven Road ha una forte connotazione temporale (al punto che, per fare un esempio su tanti, non avere un computer né un cellulare era per lui assolutamente normale, mentre nel 2020 suona oltremodo anacronistico).
Il vero problema, il nocciolo di una questione solo apparentemente semplice, è: si può davvero cambiare Dylan Dog evitando di tradirne presupposti, natura e caratteristiche di fondo? Modificarne la forma senza intaccare la sostanza? E se sì, come?
Certamente non è un'operazione priva di rischi, a maggior ragione se, a oltre trentatré anni di distanza, si trova a compierla un autore differente da colui che aveva ideato originariamente il personaggio.

Va segnalata comunque la capacità della casa editrice e del curatore attuale di tenere alta l'attenzione sulle pubblicazioni dylaniate, riuscendo costantemente a fare in modo che se ne parli e che gli appassionati discutano (anche animatamente) delle nuove uscite.


Interessante il lato postmoderno e citazionistico della storia, meno strabordante rispetto al numero 400 che rappresentava una vera e propria miniera inesauribile di riferimenti (come ben espresso in questa interessante analisi di Lorenzo Barberis). L'episodio contiene comunque diverse citazioni suggestive e soprattutto in alcuni punti l'aspetto metatestuale dei dialoghi di Dylan Dog risulta ben inserito.

Il lavoro di Corrado Roi in quest'occasione in particolare merita davvero una trattazione a parte. Colonna portante della testata sin dal suo esordio sul numero 4, Roi è un artista che nel corso di oltre tre decenni si è dimostrato non solo un punto di riferimento per le generazioni a venire ma anche un professionista in grado di riuscire a rinnovarsi rimanendo se stesso: esattamente ciò che la nuova gestione di Recchioni sta cercando di fare da un punto di vista narrativo.
L'aspetto straordinario del lavoro di Roi consiste nel poter comprendere, osservando bene le sue tavole, quanto l'artista sia stato coinvolto e reso partecipe nella lavorazione di una storia: negli episodi in cui il suo coinvolgimento è maggiore, la resa è massima. L'alba nera rientra sicuramente in questa categoria: l'atmosfera che permea le pagine è incredibile, intensa e oscura. Le inquadrature scelte, le ombre e il ritmo incalzante in particolare nelle scene mute (quelle iniziali che riprendono il numero 1 e le scene della Morgue) rendono ragione di un talento sconfinato, che riesce a trovare soluzioni non banali e a sfruttare appieno il medium per calare il lettore nel mood della storia.


Insomma, forse è un po' presto per essere pienamente entusiasti perché il rischio di andare fuori dai binari è sempre dietro l'angolo e in sei episodi può accadere ancora di tutto. Eppure quest'albo, molto atteso dopo il numero 400, si presenta come un intrigante biglietto da visita per il nuovo ciclo e lascia il lettore nella fervente attesa del numero successivo, interrompendosi proprio sul più bello.

Il sommo Audace



"L'alba nera"
SERIE: Dylan Dog
NUMERO: 401
DATA: gennaio 2020
SERGIO BONELLI EDITORE

SOGGETTO E SCENEGGIATURA: Roberto Recchioni
DISEGNI E CHINE: Corrado Roi
COPERTINA: Gigi Cavenago


Tutte le immagini © 2020 Sergio Bonelli Editore.

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