Ecovanavoce - L’arte di convivere con l’assenza
Tra ironia e momenti di riflessione, Isa DePica e Nova, autrici di Ecovanavoce, ci hanno raccontato una storia a cavallo tra il lutto e la vita, che comunque va avanti
L’opera affronta, con delicatezza e un agrodolce senso di nostalgia, il tema dell’elaborazione del lutto. Le autrici si soffermano sui piccoli dettagli che, in quella fase della vita, assumono una grande importanza: una luce particolare sul mobile del salotto, un posacenere pieno o un album di fotografie, da cui si diramano vari ricordi.
Ecovanavoce è un fumetto palindromo, sia nel titolo che nella struttura stessa dell’albo. Questa idea di circolarità è stata il punto di partenza o è emersa lavorando alla storia? È stata la struttura a guidare la narrazione o viceversa?
Isa DePica: La struttura palindroma è stata l’inizio. La storia di questo libro è un po’ particolare perché a me, ormai nel 2023, viene in mente questa idea, che non è una storia perché non ha un inizio e una fine, che si colloca nel libro effettivamente nella parte centrale. Quindi mi sono studiata la prima parte e da lì ho scelto “Lo voglio fare palindromo”, cioè puoi decidere se leggerlo da un inizio e concludersi con una morte o iniziarlo con una morte e finirlo con un ricordo. Di conseguenza mi sono messa, grazie a internet, a cercare le parole italiane palindrome. All’inizio pensavo che fosse un disastro, poi a un certo punto ho trovato “Ecovanavoce” e mi è sembrato proprio adatto perché l’eco è una voce vana, e quindi il titolo è nato così. Poi sono passata a chiedere a Nova la parte dei disegni, che è la più difficile (risata).
Più che un fumetto da leggere, Ecovanavoce sembra uno spazio da attraversare, come una stanza della memoria, un ricordo. Vi ritrovate in questa definizione? Era questo l'effetto che cercavate?
Nova: Sì, per quanto riguarda la mia parte che, alla fine dei conti, è l’inizio e la fine, ho deciso di mantenere la struttura palindroma della storia di Isa. Quindi, invece di aggiungere una parte soltanto alla fine - facendole diventare effettivamente due storie consecutive - ho aggiunto una parte all’inizio e una parte alla fine in modo che si mantenesse la struttura palindroma dell’interno. Specialmente il mio momento narrativo è assolutamente ambientato in una serie di stanze. La mia rievocazione di questa elaborazione del lutto si svolge tutta all’interno di una serie di suggestioni, di ambienti abbastanza universali. Quella che io ho disegnato non è una casa in particolare, non è casa mia, ma è un po’ una casa che voleva ricordare la casa di chiunque leggesse.
Il lutto in Ecovanavoce è centrale, ma raccontato con un tono intimo e sussurrato. Come avete trovato l'equilibrio per trattare un tema così grande e universale in modo così intimo e delicato?
Isa: Allora, mi piacerebbe dare una risposta veramente importante, ma io penso che sia stata un’enorme botta di culo (risata). Nel senso che, parlando con le persone che lo hanno letto, ognuno ci sta vedendo delle cose che io, nella mia parte, non ho fatto con quella idea in mente; e leggendo e lavorando sulla parte di Nova, magari non avevo visto. Quindi la cosa magica, per me, è il fatto che probabilmente noi l’abbiamo raccontato nella maniera più sincera che ci è venuta. Oltretutto io non parlo di un lutto specifico; questa cosa per me è importante perché una cosa che ho capito, con la morte dell’ultimo gatto del mio compagno, è che l’ultima morte che tu vivi si porta dietro tutte le morti che hai vissuto, e ogni volta è più facile.
Nova: È un po’ come se il tuo corpo imparasse.
Isa: Sì, certo. Superata una, puoi superare le altre.
Nova: È come un meccanismo, è una cosa che sai fare. Come i cantanti: quando prendono una nota altissima, per loro vuol dire che sanno di poterlo fare. Questo non vuol dire che lo saprai rifare esattamente nello stesso modo, ma che comunque sai farlo.
Isa: E quindi, io penso che ci sia stata sincerità. Da parte mia, la sincerità era: non raccontare una soluzione. Perché non è un manuale di sopravvivenza alla morte, ma un modo in cui io probabilmente ho raccontato quello che ho sentito, neanche vissuto.
Nova: Sì, a me piace molto raccontare storie nelle quali ho qualcosa da dire di autobiografico. Non amo particolarmente l’autobiografia di per sé, cioè dove metto davvero la mia vita in piazza; per una specie di forma di pudore, credo che non mi appartenga molto. Lo sento come una cosa che sconfina in una parte di me che non ho voglia di condividere con tutti. Però mi piace condividere magari qualcosa che può essere utile agli altri, quello sì. Quindi il fatto che sia, volutamente, tutto un po’ più generico e meno personale per me è una grande facilitazione nello scrivere, perché non riuscirei con la stessa scioltezza a raccontare troppo i cazzi miei.
Isa: Riguardo il nostro libro, sicuramente parte da esperienze autobiografiche; cioè sono le nostre esperienze. Però ha una differenza che forse è l’aspetto che a me piace nel leggere delle storie autobiografiche: io voglio leggere il fatto digerito, non voglio che mi racconti i fatti che ti sono accaduti. Che mi racconti che vai alle Poste e c’è coda non mi dice niente, ma se tu mi dici che avendo fatto quella cosa lì hai capito qualcosa, l’hai digerito in una certa maniera, allora quell’autobiografia ha senso. A quel punto penso che, spesso, chi poi lo vuole raccontare capisce che mettere l’io davanti al fumetto (per esempio) ha poco senso; perché quando una storia è digerita, il tuo protagonista è chiunque stia leggendo.
Nova: A me piace molto questo concetto che le storie devono essere più universali possibili. Cioè a me piace l’idea che chi fruisce delle storie possa fare il suo percorso leggendo (o guardando pure una serie), una cosa che ora si è persa. Prima si usava fare cose un po’ più criptiche, dove l’interpretazione era parte del processo. Adesso si tende subito a sovra spiegare tutto ed è una cosa che, secondo me, ha cambiato tantissimo il mondo della narrazione. E se questo libro lo guardi un po’ più come una poesia, secondo me ha senso che non sia troppo spiegato e che quindi chi lo legge possa farsi la sua personale idea.
Lo stile grafico è volutamente semplice e quasi infantile, nel senso più puro del termine. Come avete scelto quest’estetica, è nata in modo istintivo?
Isa: Partiamo dal presupposto che io di fumetti ne so veramente poco, cioè ho amici fumettisti, ma non ho una cultura del fumetto. Quindi me lo ero immaginato un po’ in una certa maniera, una maniera che non era Nova. Me lo immaginavo molto francese, molto a matita. Poi ho pensato: “Ma se io, che di fumetto non ne so niente, come prima associazione stilistica vado su questo stile, vuol dire che è un po’ scontata. Vuol dire che poi non aggiunge niente alla storia, diventa semplicemente un disegno che deve stare lì, e a me non piacciono i disegni che devono stare lì.” E quindi, con l’aiuto del nostro santissimo Matteo Contin, parlandogli di questo ragionamento ha pensato: “C’è Nova”. È la cosa più lontana da quello che io avevo immaginato, perché se tu pensi che stavo raccontando una storia di una che fa delle azioni in un certo modo, poi c’è un dopo e fa le stesse azioni (più o meno) in un cimitero, che c’è tutta un’atmosfera così; non vado a pensare a dei colori sgargianti. Per questo ho pensato: “Nova è perfetta, perché non era la mia comfort zone visiva”. Ma, e questa è un’altra dura verità, è la mia comfort zone del cuore. Quindi era molto interessante, per me, mettere in gioco questo fattore; la possibilità di una comunicazione a un livello più alto, rispetto a quel disegno che in realtà sarebbe stato semplicemente descrittivo. Per questo ho pensato che Nova poteva dare quello che sentivo mancava a questa idea.
Quindi, pensi che questo fatto di essere in sintonia già tra di voi abbia contribuito alla riuscita del fumetto? In parte hai risposto, ma è come se non sarebbe potuto effettivamente nascere in questa forma se voi non aveste già avuto una sintonia tra voi?
Isa: Questo non lo so, perché alla fine le cose vanno come devono andare; non mi sono posta il problema. Sicuramente non sarebbe stato uguale, ma è esattamente quello che doveva essere, quindi io sono super soddisfatta, anzi anche di più.
Nova: Sicuramente un progetto del genere con una persona che è vicina al tuo cuore aggiunge quell’umanità in più, di affetto e di comprensione. Lavorare con un altro sceneggiatore che ti dice “Allora: bisogna fare questo e quell’altro” non ti da quell’umanità, per quanto sarebbe potuto venire un progetto meraviglioso. Io sono sempre lusingata quando qualcuno accosta il mio stile a qualcosa di poetico. Anche il fatto che non coincide, in realtà questa cosa sembra strana e una paraculata, ma è esattamente quello che io voglio fare. Anche se sembra che non lo so fare (risata), ma ti giuro che io ho dei progetti che non farò mai e che prevedono delle cose estremamente distanti che, nella mia testa, funzionano perfettamente. Tipo il mio progetto dove voglio solo disegnare trattori e mezzi agricoli (risata).
Lo aspettiamo (risata).
Torniamo a una domanda poetica: la luce sembra essere un vero e proprio personaggio nel libro: svela, taglia le stanze, guida l'occhio. Come avete lavorato sul colore per dargli un ruolo narrativo così forte?
Nova: Questa è una bellissima domanda. Allora, per la mia parte - che è quella che sembra disegnata a pennarello - era molto importante dare il senso della scena perché in realtà non ci sono personaggi, ci sono soltanto queste didascalie come se fosse un corto. Quello che ho fatto io è stato ispirarmi, in primis a questa mia idea di renderlo molto neutro, di raccontare soltanto questi scorci di casa. In realtà c’è dietro un’ispirazione che è folle: che è quella di un film horror indipendente, sconosciutissimo; che racconta una storia horror, ma in realtà è soltanto una serie d’inquadrature fisse sugli angoli della casa. Questo esperimento era fatto per dimostrare che all’interno di ognuno di noi ci sono delle memorie di cuore, che tutti noi ricordiamo da quando siamo bambini. Quindi tu guardi questo film, che si chiama Skinamarink, e ti troverai a dire “Questa immagine mi ricorda qualcosa”. E quindi si, mi piaceva l’idea di creare quelli che, dentro casa, sono questi angoli di luce che si diramano in quel momento della giornata in cui ti rendi conto improvvisamente che la stanza che hai visto diecimila volte è colpita per un attimo da un raggio di luce che sta entrando in una maniera mistica; che un angolo della tua cucina, che tu hai visto quattromila volte, improvvisamente ti sembra una specie di cattedrale. Questa cosa è molto toccante ed è stata una cosa che veramente in quel periodo, dove io stavo elaborando questo lutto, mi capitava con molta facilità. L’ho vissuta come una specie di segnale che comunque la vita stava andando avanti; c’era questo sole che ti entrava dalle finestre, era molto bello.
Isa: La luce in casa, quando manca qualcuno, che sia la casa tua o la casa dove quel qualcuno non c’è più, è diversa perché magicamente dà più spazio ed è più luce. Io mi ricordo che la vivevo come una roba tristissima perché ti fa percepire un’assenza incredibile, però di luce. È spietata, ma è gentilissima.
Leggendo, una frase che mi ha molto colpito è: "C’è molta vita intorno alla morte", raccontare il lutto attraverso la vita che, ostinatamente, continua. Possiamo dire che sia questo il cuore tematico attorno a cui si riavvolge l'intera struttura del fumetto?
Isa: Io dico sì (risata).
Nova: Sì, una delle prime cose che noti quando vivi queste situazioni è che tutto, comunque, si muove intorno a te. La sensazione di solitudine è assoluta, però in qualche modo la vita si riorganizza intorno a te e, per la più banale delle cose, ti ritrovi vicino a persone che magari non avevi mai considerato particolarmente attinenti alla tua quotidianità. Tutto inizia pian piano a darti una mano, che sia una mano tecnica - nelle mille cose che ci sono da fare intorno a un lutto - o anche una mano interiore. In qualche modo, tutto ti dà dei segnali di continuazione che, in condizioni di quiete, non noti. Quindi se si riesce nella vita a essere grati per le cose, anche una cosa brutta come un lutto può essere un momento per renderti conto che davvero ci sono delle cose buone nella tragedia.
Isa DePica: Vi racconto questo aneddoto: poco dopo la morte del mio compagno, ero con Gaia e stavamo andando dai miei che abitano in cascina. Guidavo in questo stato che tutto ti passa attraverso e non te ne accorgi; a un tratto uno mi ha superata in un punto in cui non doveva. Io mi ricordo che mi sono girata verso Gaia, che è un mio pezzo di cuore, l’ho guardata e ho fatto “Ma questo mi ha superato”. Pensando che il fatto che io stessi andando piano implicava che anche il mondo esterno dovesse andare piano; e invece quello mi ha superato... non gliel’ho perdonato e mai glielo perdonerò (risata). Quando vivi un lutto ti capita anche questo: le persone attorno a te, che non ti conoscono, vanno avanti comunque, anche se ti incrociano nel tuo momento peggiore e, spesso, quel non sapere che tu stai soffrendo è allucinante.
Quali sono gli autori o le opere, anche fuori dal fumetto, che hanno nutrito l'immaginario di Ecovanavoce o che sentite affini alla vostra ricerca?
Isa: Ah, non lo so, io sono proprio ignorante a livello di fumetto; li ho conosciuti che avevo ormai 28 anni. Prima pensavo che il fumetto fosse solo bonelliano o Topolino, quindi ero completamente disinteressata - non me ne voglia Topolino - (risata). Forse a me dovrebbe dirlo qualcuno che di fumetti ne sa di più, se rivede qualcosa.
Nova: Sicuramente ci sarà qualcosa di simile, però non lo so. Io ti posso dire quel film che dicevo prima che per me, per quanto non c’entra niente perché come tematiche non è inerente, era un’ispirazione molto chiara. In realtà la mia ispirazione è stata molto generica, cioè io volevo farlo sembrare un corto fatto da fermoimmagini. Se ti dovessi dire a che cosa volevo che somigliasse nello specifico, non saprei.
Il formato orizzontale viene da questa volontà del fermoimmagine di un corto?
Nova: Sì, volevamo che ricordasse delle fotografie. Infatti ricordo il giorno in cui una ragazza, giovanissima, ci ha detto che sembravano delle fotografie; noi ci siamo stupite perché in realtà la fotografia, per come la conosciamo noi, ha forme un po’ più grandi. Anche la copertina l’abbiamo pensata come se fosse una di quelle scatole di biscotti che trovi a casa della nonna. L’idea generica era tipo: tu giri per questa casa - che può essere anche la tua - e a un certo punto trovi una scatola di latta, la apri e al suo interno ci sono delle fotografie e tu, guardandole, vivi e ricordi questa storia. E poi ognuno si costruisce la sua visione di questa storia.
Isa: Quando ho pensato “Faccio questo fumetto”, dal momento che l’idea era così strana, non ho mai detto a Nova cosa dovesse fare veramente. Cioè io le dicevo solo “Nella mia parte devi fare questo personaggio che fa una cosa del genere e il corrispettivo che fa una roba del genere”, ma in modo molto generico. Io credo di essere l’unica persona al mondo ad aver inviato un foglio Excel (risata), perché a me interessava che si vedessero determinate cose; come Nova ha interpretato quella mia indicazione è stato bellissimo. E oltretutto, io che sono pigra, delle volte ho detto “Guarda non mi viene mente, fai tu, fai tu” (risata). Per me era importante che lei mettesse in immagini un concetto, ma quel concetto, una volta che ci siamo capite, doveva essere libera di farlo come voleva. Era importante che, dal momento che era tutta una questione di suggestioni, io non stessi lì a fare troppo la puntigliosa, infatti non l’ho fatto (risata).
Ecovanavoce è anche un oggetto editoriale particolare: piccolo formato, narrazione poetica e circolare. Come avete pensato l'oggetto-libro in funzione della storia che doleva contenere e come avete lavorato con Eris Edizioni per trovare questo equilibrio tra forma e contenuto?
Isa: All’inizio doveva esserci solo la mia parte, cioè quello che adesso si trova nella parte centrale. Quindi la proposta iniziale a Eris è stata “Facciamo un Gatto sciolto” - che è la collana del fumetto piccolo, in formato A5, a prezzi modici; una figata -, però in quel caso doveva essere in bianco e nero. Allora ho detto: “SÌ, allora voi lo fate in bianco e nero, poi ve lo faccio a colori” ed Eris ha accettato - ci dice sempre sì (risata) -. Però a causa delle fotografie bisognava farlo in orizzontale, io lì ho visto per un attimo uno sguardo di panico e poi “Si sì, adesso studiamo come farlo”. A un certo punto abbiamo detto: guarda Eris, perdonaci (risata): doveva essere sessanta pagine, però sono un po’ di più (risata), inoltre ho visto le tavole e il formato dovrebbe essere un po’ più grande; ed Eris a quel punto ci ha guardato con l’amore e ha detto “Vabbè, fate voi, datemi almeno un formato e un numero di pagine”. A un certo punto ci chiedeva solo il numero di pagine, per poter capire quanto potesse venire a costargli.
Nova: Sì, Siamo state molto fortunate (risata).
Come si inserisce questa pubblicazione nel vostro percorso autoriale? E come avete fuso le vostre due sensibilità artistiche?
Nova: Io la sento perfettamente integrata; cioè io ho fatto un libro emo, uno che parla di mostri e ora uno che parla di lutto. E a breve il libro sui trattori (risata).
Isa: Io l’unica cosa che ho pubblicato è stato in Storie dalla luna 5 di Sputnik Press, una storia breve che parla del naso della mia gatta; comunque aveva già un poco di atmosfera da lutto (risata). Sicuramente i lutti mi hanno un po’ segnato e quindi io ho semplicemente sentito la necessità di buttarlo fuori.
Vi riconoscete nella scena del fumetto indipendente italiano? E cosa significa per voi pubblicare con una realtà come Eris, che ha sempre sostenuto autori e linguaggi meno convenzionali?
Isa: Io ho pensato che, vista l’idea matta, Eris è una realtà a cui potevo chiederlo. Poi il fatto di conoscerli personalmente mi ha permesso di sentirmi meno in imbarazzo, perché comunque quando inizi alla veneranda età di quasi quarantasette anni e dici “Adesso voglio fare questo”… Questo non vuol dire che tra sei mesi ne faccio un’altra, io volevo raccontare questo e in questa maniera. Quindi conoscendo Eris e il loro catalogo ho pensato che fossero le persone giuste; tra l’altro immaginavo che anche se Eris avesse pensato che non era adatto, mi avrebbe indirizzato da chi andare.
Nova: Secondo me è proprio un prodotto Eris.
Dopo Ecovanavoce, cosa vi piacerebbe raccontare? Continuerete a esplorare questa dimensione intima o avete voglia di sperimentare con immaginari completamente diversi?
Nova: Io i trattori (risata).
Isa: Io su questo non ho la minima idea, dipende se a un certo punto mi nascerà il desiderio di voler buttare fuori qualcosa. Io ho provato, un po’ per scherzo un po’ per provare, a fare dei fumettini brevi - che ha letto solo Nova - e ho scoperto che è un’azione estremamente catartica, quindi che serve nel momento in cui devi togliere una cosa che ormai hai chiara in testa e poggiarla lì. Poi puoi riprenderla quando ne hai bisogno, ma serve per creare un po’ di spazio. Quindi chi lo sa se ci sarà qualcosa da raccontare; io ricamo nella vita, quindi potrei fare un libro su quanto è bello ricamare (risata).
E oltre ai trattori (risata)?
Nova: A parte i trattori, io vorrei esplorare tutto quello che mi viene in mente; a me non piace l’idea di fermarmi a fare soltanto una cosa. Fino ad adesso ho dimostrato di voler raccontare tremila cose diverse perché è una cosa che mi diverte, non c’è un percorso di crescita o di niente, faccio solo quello che mi va di raccontare in quel momento. Poi ovviamente ho le mie motivazioni per farlo ogni volta - che magari sono chiare e lecite solo a me-, però a me piace l’idea di non doverlo fare per forza, perché sennò nell’editoria muori. Adesso forse l’incompiuto è la storia romantica, che è una cosa che non ho fatto finora e mi piacerebbe farla; probabilmente andrò in galera (risata).
Grazie!
Intervista a cura di Wendy Costantini, con la collaborazione di Giuseppe Lamola e Giosuè Spedicato, realizzata durante Lucca Comics & Games 2025
Isa DePica e Nova
Isa DePica si affaccia al mondo del fumetto nel 2017 con il Progetto Stigma e nel 2021 esce, nel quinto volume di Storie dalla luna, NEO, per Sputnik Press.
Nova, il cui tratto si distingue per il suo stile psichedelico e naif, si destreggia nel mondo delle autoproduzioni fino al 2018, anno in cui viene pubblicato per BAO il suo primo fumetto Stelle o Sparo. Di recente è tra le firme della nuova serie Bonelli Disperanza, firmata insieme a Samuel Spano e Matteo Grilli.
















