Essentials: The Spirit di Will Eisner

Più di un classico: una pietra miliare


Ho sempre pensato, e sempre sostenuto, che il fumetto americano più o meno mainstream pubblicato negli anni 40 fosse un gusto acquisito. Con dei disegni abbozzati, esperimenti di dubbia riuscita, plagi più o meno evidenti alla prosa leggera e una caterva di stereotipi su qualunque argomento del mondo tondo, è difficile trovare qualcosa dentro quelle pagine di fumetto che non sia “solo” un gran mucchio di potenziale che verrà sfruttato meglio in futuro.

Ed è tutto sommato normale vederla così. Il medium stava nascendo e, per di più, anche l'aspetto del business stava diventando sempre più preponderante: orde di ragazzetti venivano reclutati da questo o quel “visionario” per disegnare un numero indegno di pagine di fumetto, e finivano poi per riunirsi in segreto in fumosi appartamenti di New York, dividersi i soldi, creare reti clandestine di fumettisti per coprire tutta una serie di consegne anche per case editrici rivali, essere sfruttati come bestie da soma con la speranza un giorno neanche di pubblicare un albo, ma di arrivare là, dove il vero fumetto prendeva piede, sui quotidiani.

Se negli anni 40 avevi una striscia a fumetti pubblicata sui giornali, eri a cavallo, eri sistemato a vita se ti andava bene, e se avevi anche un buon successo, la domenica la tua striscia avrebbe avuto anche un bel paginone a colori speciale di lusso, rendendoti sempre più popolare, e facendoti guadagnare benino, per usare un tenero eufemismo.


William Erwin “Will“ Eisner, classe 1917, era cresciuto con un padre che aveva provato a fare l'artista, e con una madre che l'avrebbe visto molto bene con un posto fisso, e quindi nel boom dei fumetti l'obbiettivo era chiaro: portare a casa la pagnotta, e produrre qualcosa che avrebbe colpito i lettori.

Eisner provò quindi molti approcci e già a 22 anni aveva un successo per cui molti dei suoi colleghi avrebbero venduto la loro mano destra, ma Eisner aveva anche una sete infinita di sperimentare moltissimo. Così, quando la Quality Comics, una casa editrice che stava provando a conquistare il mercato dei giornali usando l'arma dei fumetti, gli proporrà di andare a lavorare per loro, e di creare tre nuove serie a fumetti, Will mollerà tutto quello che aveva costruito, si porterà dietro alcuni dei talenti che aveva coinvolto negli anni (tra cui non possiamo non citare quel genio assoluto di Jack Cole, che per la Quality inventerà Plastic Man, nell'olimpo più assoluto della bellezza dei supertizi anni 40) e inventerà una serie di circa 8 pagine su un detective, che prendesse spunto da quello che Eisner leggeva sui giornali.

Questa striscia doveva essere rivolta ad un pubblico molto ampio, e l'unico modo per farlo era essere sempre sul pezzo, sempre ancorati al reale (ovviamente con qualche licenza qui e là)... Se non fosse che la casa editrice ordinò ad Eisner di dare un costume a questo personaggio, per renderlo più riconoscibile.

Will lottò per un po', poi schiaffò sui disegni una mascherina detta in inglese “domino”, diede dei guanti al suo personaggio, e pubblicò la prima avventura di The Spirit a Giugno del 1940.


Certo, aveva dovuto concedere un po' di cose ai suoi capi e collaboratori, ma una piccola soddisfazione se l'era tolta; all'epoca (e ancora oggi in molti mercati) era uso che i personaggi pubblicati da un editore fossero di proprietà di quest'ultimo, non del suo autore, mentre nelle note del contratto di Will c'era esplicitamente che, in caso di sua uscita dalla casa editrice, i diritti sarebbero stati suoi, per sempre.

E già, potrei chiudere il pezzo qui. Perché va bene l'arte, va bene la poesia, va bene l'essere pionieri, ma volete mettere, essere così lungimiranti, così visionari da capire che forse si era persone prima che produttori di contenuti?
Con una mossa che sembra essere semplicissima, Eisner aveva cambiato tutto, per sempre. Anche perché negli anni non molti riusciranno dove era riuscito lui, ma questa è un'altra storia.

Torniamo a parlare di Spirit. Chi è questo belloccio vestito di azzurrino? Trattasi di Denny Colt, un giovane criminologo e detective privato, che in uno scontro col pazzo malvagio Dottor Cobra... muore.
O meglio! Durante lo scontro, Denny viene messo in uno stato d'animazione sospesa dagli esperimenti di Cobra, e si risveglia nella cripta di famiglia al cimitero di Wildwood. Così, agendo fuori dalla legge “canonica” e approfittando del fatto che tutti credessero fosse deceduto, Denny prende il nome di Spirit, e combatterà il male spesso in solitaria, ma anche aiutato da tutta una cerchia estremamente variopinta di amici e comprimari.


Raccontata così, sembra di esser davanti all'idea più generica del mondo dopo “il ragazzo finge di essere timido ma sotto sotto è un'eroe” di zorriana memoria, ma qui arrivano le due grandi armi segrete di Eisner.

La prima, è ovviamente il disegno. Lo stile di Will si nota subito, anche quando è più abbozzato: un mix sapiente di cartooning, con volti ed espressioni grottesche che si affiancano a corpi granitici che ribollono di energia esplosiva, che creano un effetto straniante in chi li osserva ma anche ipnotico. Certo, specie nei primi numeri l'effetto non è sempre efficace, abbiamo dei bambini con volti troppo diversi dai loro corpi, e ancora non c'è la simbiosi che l'autore perfezionerà negli anni, ma i semi della grandezza ci sono tutti.

Come ci sono, e ci saranno sempre, tutta una serie di scelte stilistiche e registiche fuori di testa, mai viste in un fumetto (e per davvero). Giusto per dirne una, era uso negli anni 40 avere dei fogli con la gabbia della pagina già disegnata per risparmiare tempo, Eisner rompe questa griglia in tutti in modi, ci mostra segnali stradali sui quali scrive le didascalie della storia che sporgono fra una vignetta e l'altra, mentre sotto di questi Spirit salta una staccionata con metà corpo in un riquadro e metà in quello a fianco.


Troviamo un uso dei neri e delle ombreggiature che sottolineano perfettamente tutto lo scorrere della storia, cambiando ed evolvendosi, tenendo il ritmo alla perfezione come le percussioni in una sinfonia perfetta.

E in mezzo a tutta questa visione della realtà, che sembra essere distorta da quanto è fatta di ossimori, c'è un'attenzione maniacale alle emozioni, ai volti di questi personaggi, al loro essere vivi e pulsanti in un mondo sempre più sporco e coi piedi per terra (mi direte, Spirit ha una macchina che vola nelle sue prime storie, ma Eisner la abbandonerà presto), in una fusione perfetta fra segno e parola scritta che pare impossibile da replicare.

Uno dei nemici più ricorrenti di Spirit, è il famigerato Octopus, un malvagio che non si vede mai in volto, ma riconosciuto dai suoi guanti pacchiani. Ecco, le strategie che Eisner usa, in un fumetto d'azione per non far vedere mai il viso di un personaggio che è spesso coprotagonista della storia, ed è quindi presente in moltissime vignette, sono solo la punta dell'iceberg della ricercatezza del tratto dell'artista, ma bastano anche solo a farvi capire quanto lavoro e quanto studio c'era dietro questo cartooning.


E non avete idea di quante ore potrei spendere per parlare delle splash page iniziali, questo marchio di fabbrica di Eisner che spesso sacrificava una delle sue poche pagine per poterti catturare con tavole intere ipnotiche che spaziavano dall'essere un turbinio di elementi magistralmente incastrati e mescolati per trasformarsi in un titolo, a una semplice serie di parole dattiloscritte, con un piccolo, piccolissimo disegno che era però in grado di magnetizzare completamente l'attenzione del pubblico e spingerlo a dibattere se girare quella pagina per vedere cosa sarebbe successo dopo, oppure restare ancora un po' mesmerizzati dalla potenza di quell'inizio.

Ci sono un sacco di sinonimi legati all'ipnosi in questo paragrafo, e un po' è per non vedere sprecati i 18 anni di studio della pratica che ho alle spalle, un po' è perchè il concetto di ipnosi è molto semplicemente quello di attenzione focalizzata: ci sono un sacco di cose attorno a te, ma tu scegli un punto focale e non ti distrai mai da quello, che in questo caso è il disegno di Will.

La seconda arma, fondamentalmente, è che Spirit è un non personaggio all'interno del suo fumetto. Denny Colt è una figura eterea, con un certo grado di sostanza, ma che ha il grande, grandissimo pregio di poter esser la spalla perfetta per chiunque.
C'è bisogno che Spirit prenda un sacco di botte? Benissimo, può succedere, ma nella vignetta successiva il nostro stende un gigante con un solo pugno ben assestato. C'è bisogno di far risaltare un personaggio petulante? Perfetto, Spirit è talmente intelligente e razionale che si farebbe mandare al manicomio da chiunque. Servono dei patemi amorosi? Voi non avete idea di quanto sia facile innamorarsi di Denny Colt.


Questo protagonista così malleabile, così liquido nel suo potersi infilare in qualunque storia, fa di Spirit un evergreen narrativo ma, al contrario di alcuni suoi colleghi che hanno le stesse abilità, difficilissimo da gestire. Perché come nelle grandi ricette, se metti troppo, non puoi più togliere, e tutto è rovinato. Molti, moltissimi hanno provato a riprendere le orme di Spirit e a rinarrare le sue gesta negli anni, ma tutti o quasi hanno fatto lo stesso errore, e ci hanno messo troppo Spirit nelle loro storie.

Denny Colt non è un personaggio, è un sentimento, un diffuso stato d'avventura pura, che va dosata saggiamente, e raramente le storie sono belle perché lui è presente, anzi, alcune delle più grandi avventure di Spirit vedono il nostro detective seduto sullo sfondo.

E sta qui la grandezza, nel capire quando è il momento di sparire, nell'esser presenti anche quando non lo si è, nel dare sapore a un qualcosa con la sola presenza e il carisma, dato, in maniera molto ironica, da quelle due cose che Eisner non ci voleva mettere: la maschera e i guanti.
Perché anche i geni possono sbagliare, alla fine.

Meno arma segreta, perché citato molto spesso, era invece il mantra di Eisner, cioè che in ogni storia di The Spirit ci dovessero essere tre grandi ingredienti: Azione, Mistero ed Avventura.


Tutto molto bello, tutto molto semplice ma al contempo stesso veramente complesso. Ogni settimana bisognava pubblicare una storia, e una storia tutto sommato di qualità. Le scadenze erano incalzanti, e i capi della casa editrice erano molto esigenti (pensate che chiesero al già citato Jack Cole di creare in segreto un personaggio chiamato Midnight che plagiasse Spirit, in caso Eisner venisse ucciso durante il servizio militare nella Seconda guerra mondiale; Cole lo farà presente in tempo zero ad Eisner, e ambedue si faranno una bella risata a riguardo, ma il personaggio esiste davvero, ed è tecnicamente di proprietà della DC Comics, come tutto il catalogo Quality non Einseriano), e negli anni altri grandi hanno aiutato Eisner ora ai testi ora ai disegni, fra cui citiamo Jules Feiffer e Wally Wood (l'uomo che Jack Kirby, il Re dei fumetti, chiamava sua maestà), ma restando ancorati a questi tre principi quello che si aveva era quasi sempre un prodotto interessante.

Certo, dire che erano gli anni 40 per alcune scelte è una scusa molto facile, ed è vero che alcune scelte, specie nella raffigurazione di alcuni personaggi femminili e delle minoranze afrodiscendenti, sono più che infelici; l'assistente di Spirit Ebony White, sebbene fosse un personaggio coraggioso e positivo, parlava ed era raffigurato come uno stereotipo offensivo fatto e finito, e sebbene Eisner si sia scusato e abbia sostituito poi il personaggio con la giovane promessa del baseball Sammy, queste sono cose che sono molto complesse da ignorare, e sarebbe anche poco onesto farlo.


Negli anni, molti, moltissimi autori si sono poi lanciati nell'arduo compito di ricatturare lo spirito di Denny Colt, e sono state lanciante un buon numero di testate “postume” con protagonista il nostro detective, con risultati un poco altalenanti. Se non posso non avere un grande debito con la versione di Darwyn Cooke, che mi ha spinto a lanciarmi a leggere anche cose che non fossero supereroi, e che ha delle tavole introduttive che sono una mina devastante, che citano Eisner ma in modo più grande perché sono doppie splash page, ed esser comunque grato ad Alan Moore per aver prestato la sua penna al personaggio, difficilmente si è riusciti a ricatturare quella formula all'apparenza così immediata.

Certo, Matt Wagner e Dan Shackde sono quelli che ci sono andati più vicini, nel parere di chi scrive, ma più che il risultato di questi revival, quello che mi preme far notare è il concetto: parliamo di un personaggio creato nel 1940 in un medium popolare, che ha innovato come si scrive, come si disegna, come si pubblica, e come si gestisce a livello di business un fumetto, ed era pure ben fatto.

Le possibilità per cui tutto questo si cementificasse, sono veramente, veramente poche. Azzarderei a dire che si parla per davvero di un unicum nella storia del genere, un qualcosa che ancora oggi riverbera nel cuore e nella mente di chiunque abbia speso anche solo dieci minuti per leggere una storia di Denny Colt.


E per inciso, non lo dico a caso “dieci minuti”, il titolo di una delle storie più universalmente amate del personaggio, una storia che una volta ho sentito definire “sopravvalutata” ad una tavolata e mi son dovuto alzare e cambiare posto per tenere un contegno.
Una storia di un'umanità così vera, così tragica, così pregnante nel suo essere senza senso, che mi è rimasta scolpita nel cuore dal primo momento che l'ho letta.

The Spirit è più di un classico: è una pietra miliare, perché, in fondo, Denny Colt lo abbiamo solo creduto morto, ma Spirit... Spirit vive per sempre!

Giovanni Campodonico



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