Da Shakespeare a Spawn, tra arte e passioni: intervista a Federico Mele

Un dialogo con l'autore di origini salentine sul suo percorso artistico


Federico Mele è un autore da tenere d'occhio. Non è la prima volta che lo affermiamo: La Caduta di Macbeth, volume da lui interamente realizzato per Fanucci, è una splendida reinterpretazione in chiave dark fantasy della tragedia Shakespeariana, con grande attenzione per l'introspezione, una delle sorprese migliori del 2022.
La sua carriera, negli ultimi mesi, lo ha portato in territori interessanti, in Italia all'estero, dal lavoro di copertinista, sempre più apprezzato, a una nuova serie in uscita per Image Comics sotto l'ala della Todd McFarlane Productions.

Lo abbiamo intervistato analizzando insieme a lui il suo percorso artistico finora, partendo proprio da La Caduta di Macbeth e fino a giungere alle sue attuali occupazioni, andando dietro le quinte del suo lavoro, tra esigenze artistiche, passioni, influenze e prospettive future.


Ciao, Federico, bentrovato.
Ti va di presentarti brevemente a chi non ti conosce?
Salve a tutti, audaci lettori audaci! Che piacere essere qui!
Sono Federico Mele, nato nel 1991 in provincia di Lecce, scrivo e disegno le mie storie da sempre e dopo una lunga gavetta sono riuscito a fare del fumetto la mia professione. 
Prima di essere un fumettista mi considero un amante del fumetto e dell’arte tutta; musica e cinema compresi. 
Da fruitore, se mi trasmette emozioni è quello che sto cercando. 
Da creatore, il mio fine ultimo è sempre quello: veicolare un’idea, un’emozione.

Veniamo ai tuoi lavori. Avevamo trovato la tua firma, lo scorso anno, come autore completo de La Caduta di Macbeth (edito da Fanucci). Cosa ha rappresentato per te questa esperienza?
La Caduta di Macbeth è stato fondamentale per molte ragioni, mi limito a elencare le più importanti: mi ha dimostrato che sono in grado di fare quello che ho sempre voluto fare, ovvero realizzare un libro da solo occupandomi di tutti gli aspetti (testi, disegni, colori e lettering). 
E poi, postando alcune delle pagine realizzate sui miei social, mi ha permesso di essere notato dalle realtà editoriali per cui ho lavorato nel periodo successivo all’uscita del libro e per cui lavoro ora. 
Diciamo che dopo una lunga scalinata è stato finalmente il trampolino per l’ingresso in un mondo in cui ho sempre voluto entrare.


Qual è il tuo rapporto con Shakespeare? 
Direi ottimo. Mi sono poggiato sulle sue enormi spalle per il mio esordio autoriale e, nonostante la sacralità del suo scritto a livello letterario avrebbe potuto in qualche modo intimorirmi, in realtà ho trovato un luogo comodissimo in cui muovermi che è finito quasi per essere la mia comfort zone.
Zio Will è così radicato nella storia della cultura e dell’arte che avere a che fare con lui può essere solo un onore e un piacere. Oltre che un’esperienza molto formativa.

Quali aspetti dell'opera originaria Shakespeariana ti interessava sottolineare in questa tua rielaborazione a fumetti? C'erano delle modifiche, anche nel tono e nel genere del racconto, che ritenevi necessarie perché la tua versione funzionasse?
Quando gli editor della collana mi hanno proposto di realizzare una mia versione dell’opera ho subito pensato: “un dark fantasy medievale spietato ed esistenzialista? Potrebbe essere una storia scritta da me.” E in fondo lo è diventata. 
L’ho resa mia, spingendo sugli elementi gotici e fantastici e mettendo l’accento su quello che mi interessava davvero raccontare. Ho definito maggiormente e in maniera più attuale le relazioni tra i personaggi in modo da scatenare nel lettore determinati effetti emotivi.
Quanto è più scellerata la scelta di Macbeth di uccidere Fleance, il figlio di Banquo, se il ragazzino si rivolge a lui chiamandolo “zio”? Quanto è più intensa l’amicizia fraterna fra Macbeth e Banquo se il generale si rivolge al re chiamandolo Mac, e non “mio signore”? Quanto è più credibile, al giorno d’oggi, un personaggio femminile forte e predominante che ha un suo nome di battesimo e viene chiamata con quello durante la storia, anziché semplicemente Lady Macbeth? 
Quanto ci spiazza la trasformazione in omicida di Macbeth se all’inizio si dichiara quasi un obiettore di coscienza sul tema della guerra? 
Ho lavorato, insomma, sull’empatia. È il motore del tipo di narrazione che mi interessa fare.


Circa metà del libro presenta scene e dialoghi creati ex novo da me, certamente si affiancano alla scaletta di base e ai personaggi della tragedia originale che ho ritenuto fondamentale salvare e a volte addirittura parafrasare, per non perdere il potere delle figure retoriche e delle immagini di Shakespeare.  

A livello stilistico, hai avuto modo di sviluppare tavole con un approccio molto personale, che al contempo rievoca e omaggia alcuni artisti che ti hanno preceduto e a cui sei legato. Ti andrebbe di parlarcene?
Volentieri! Mi piace pensare all’arte tutta, inclusa la nona, come a un flusso di esperienze, tecniche, conoscenze e suggestioni che vengono tramandate più o meno coscientemente da sempre, da generazione a generazione, da maestro ad allievo, da narratore a fruitore. 
Per questo non mi risento, anzi sono onorato, quando mi dicono che una mia pagina ricorda Mike Mignola, o un mio primo piano ricorda Jorge Zaffino. Primo perché sono autori immensi che ammiro da anni, secondo perché lavoro con le loro creazioni incise nella mente (a volte anche aperte sulla scrivania). Lo trovo un modo per onorare la loro eredità, per arricchire il mio percorso e per far proseguire il flusso di cui parlavo all’inizio della risposta.
Cito anche Dino Battaglia, che con il suo San Francesco è stato il faro di documentazione storica per costumi, ambienti e soluzioni grafiche; Sergio Toppi, che mi ha insegnato a pensare i layout di pagina in maniera ardita e illustrativa, e Gianni de Luca, che prima di me si è cimentato con la trasposizione a fumetti di opere Shakespereane e che cito platealmente durante un monologo iconico della tragedia.


E poi c’è tanta storia dell’arte, in particolare Friedrich, Bocklin e Keller, pittori romantici di fine ‘800 le cui atmosfere solenni e malinconiche mi fanno letteralmente impazzire. Alcune sequenze del libro sono ambientate dentro dei loro dipinti.

Negli ultimi tempi il ruolo di copertinista ti ha portato, in Italia, prima sui lidi di Leviathan Labs e poi di Bugs Comics, rispettivamente su Giallo e Singularity. Ti va di parlarci di questi lavori? Quali opportunità hanno rappresentato per il tuo percorso artistico?
L’esperienza per Leviathan nasce dalla voglia di lavorare insieme ai miei amici e alla mia ragazza, insomma la voglia di creare qualcosa con le persone che mi sono vicine. Da anni parliamo di fondare un collettivo ma siamo tutti troppo impegnati per mettere in piedi qualcosa di concreto. La rivista antologica Giallo ci ha offerto la possibilità di lavorare insieme appoggiandoci a una realtà editoriale già solida. Io per la rivista ho scritto quattro storie e realizzato una copertina, per il numero 5, che è diventata anche una maglietta. Sono molto contento del lavoro svolto con loro.
Per quanto riguarda Singularity, con Gianmarco Fumasoli ci si conosceva da un po’ tra le lezioni di sceneggiatura alla Scuola Romana dei Fumetti e vari incontri in fiera. Direi che ci siamo stati simpatici a vicenda e da un po’ ci rimbalzavamo l’idea di una collaborazione che si è concretizzata nella cover di Singularity, il primo numero dello spin off di Samuel Stern.
Una grande emozione e una bella tappa del mio percorso, la mia prima copertina pubblicata in edicola su scala nazionale.


Su Giallo, rivista sul folk horror italiano, hai avuto modo anche di sceneggiare alcune storie brevi, che colgono il sapore del racconto di genere e lo rielaborano nel contesto folkloristico nostrano. Ti senti a tuo agio nel ruolo di sceneggiatore?
Vi dirò un segreto: sono uno sceneggiatore che un demone fuggito dall’inferno costringe a disegnare per vivere. La realtà è che ho sempre visto il mio disegno come veicolo delle mie fantasie, dei miei concetti e accompagnatore delle mie parole, in altre parole, delle mie storie. 
Al liceo ero un grande appassionato di fumetti, li facevo pure, ma di base sognavo di fare il romanziere. Scrivere mi fa sentire molto più a mio agio che disegnare, ogni volta che ho modo di farlo (troppo poco) mi sento come un pesce che finalmente torna a nuotare in mare aperto dopo essere stato sul bagnasciuga per delle ore.
Sogno un giorno in cui la proporzione tra scrittura e disegno si invertirà rispetto a quella che è ora, ma lo vedo come un traguardo da guadagnarmi consumando tante matite e tante boccette di colore.


Una delle novità più interessanti degli ultimi mesi riguarda la tua collaborazione con editori statunitensi, in particolare con Image Comics. Come nasce il contatto con Todd McFarlane?
Una mattina mi sveglio e come quasi ogni uomo del nuovo millennio, da buon tossico digitale, prima ancora di bere un sorso d’acqua prendo il telefono e controllo i social. 
Su Instagram, con la vista ancora appannata, vedo un messaggio in direct di…  Todd McFarlane? Ha la spunta blu, è davvero lui! Sveglio la mia ragazza, euforico. 
È stata una botta di adrenalina unica. Una leggenda del fumetto mi ha scritto per chiedermi se avessi voglia e tempo per lavorare per lui. Sono seguite delle mail, una call su zoom surreale in cui il Toddfather scrollava il mio profilo Instagram facendomi una lusinghiera portfolio review e ora… le cover e la serie a cui sto lavorando come disegnatore.

Mesi fa hai realizzato ben quattro copertine di Spawn, tutte pubblicate nello "spotlight month" ad Agosto negli Stati Uniti, per ciascuna delle quattro serie dello Spawn Universe. Intanto vorrei chiederti se leggevi già Spawn e se avevi dunque familiarità con questo contesto narrativo.
Da adolescente ero un profanatore di edicole. Un cicciotello, occhialuto mini Indiana Jones che al posto di fare capriole in templi antichi respirava la polvere delle edicole di paese. E in edicola, da preadolescente, feci anche la conoscenza di Spawn, con le sue storie oscure e i suoi disegni grotteschi, estremi, iperboli di dettaglio, tensioni muscolari e panneggi barocchi. 
Mi piaceva tantissimo, copiavo le vignette di Medina e Capullo, tuttora una storia breve di Spawn è tra le mie storie preferite dei Comics americani, il 102 della serie. Parla della shoa, è molto cruda ed emozionante.
Ricordo anche che mio padre acquistò una statuina di Spawn, tuttora esposta sulla nostra libreria giù in Salento.
Insomma, sicuramente un personaggio che mi appartiene e il fatto che abbia bussato alla mia porta è stato semplicemente fantastico.


Quando hai condiviso queste cover sui social, hai dichiarato che era tua intenzione "portare qualcosa del mondo della storia dell'arte" all'interno del fumetto seriale americano. Ti va di parlarci un po' di questa idea?
Certo! Mi piace mettere quello che sono e che amo in quello che faccio. È quello che ho fatto col Macbeth ed è quello che volevo fare anche con Spawn. Mi piace l’idea che questa contaminazione tra arte pittorica classica e fumetto possa essere uno dei miei marchi di fabbrica, una cosa ricorrente nel mio approccio creativo, anche perché veicola anche un concetto di cui sono fortemente convinto (ora la sparo grossa): a livello di importanza storica, tra Caravaggio e Jack Kirby non ci vedo troppa differenza.

Analizziamo un attimo le quattro copertine, partendo da quella per Scorched #21. Nel realizzare questa immagine hai dichiarato che i riferimenti erano due, ovvero Gustave Dorè e Victor Hugo. A cosa è legata questa scelta e come è avvenuta la lavorazione dell'illustrazione?
Volevo fare uno Spawn all’inferno. E quando penso all’inferno evidentemente penso subito alle stupende incisioni di Dorè sull’inferno dantesco. Amo il lavoro di questo illustratore, un giorno mi piacerebbe realizzare un libro a fumetti su di lui.


Ma forse c’è un illustratore suo contemporaneo, meno tecnico e prolifico, che mi suggestiona ancora di più: Victor Hugo. Lo scrittore. 
Tempo fa scoprii che Hugo per scaldare la mano prima delle lunghe sessioni di scrittura che lo impegnavano nella realizzazione dei suoi romanzi, realizzava delle stupende illustrazioni ad inchiostro. Vedute di castelli spettrali, a picco sul vuoto. Macchie d’inchiostro che ingannano l’occhio di chi le osserva, condannati a morte appesi al patibolo. Un immaginario dark perfetto per il personaggio. 
La scalinata su cui si erge Spawn è ispirata alle sue opere.

La cover per King Spawn (a parere di chi scrive la più riuscita ed evocativa delle quattro), trae ispirazione invece dal Narciso di Caravaggio. Se per Dorè e l'Inferno dantesco le assonanze tematiche erano lineari, in questo caso, oltre all'affinità visiva nel ricercato omaggio al dipinto cinquecentesco, c'erano anche dei legami con la storia dell'albo e con il protagonista?
Amo davvero tanto Caravaggio. Lui e Rembrandt hanno sostanzialmente inventato il concetto di fotografia cinematografica e sono entrambi dei riferimenti importanti per me che sono un amante del chiaroscuro.
In King Spawn, Spawn si confronta con la possibilità di diventare il re dell’Inferno e fondamentalmente diventare una versione di se stesso che però non vuole essere.
Un doppelganger malvagio quindi è il riflesso che vede nello specchio d’acqua, un Narciso al contrario che anziché essere innamorato della propria immagina la contempla quasi amareggiato.



La cover per la testata madre, Spawn, è la più classica e si differenzia dalle altre in quanto è l'unica delle quattro cover che non hai dipinto. Cosa puoi dirci a riguardo?
Che amo usare la china tanto quanto amo dipingere e quindi su almeno una cover volevo divertirmi col bianco e nero con uno Spawn urlante nell’oscurità di ispirazione “Zaffiniana”. 
Se non sbaglio Spawn è la testata con la numerazione più longeva del mercato americano non essendo stata soggetta e reset e reboot. È davvero un’onore immenso avere un mio disegno sul numero 345 di questa serie leggendaria.


Per Gunslinger Spawn ti sei ispirato invece al pittore americano Andrew Wyeth. Cosa ti ha portato a ispirarti alle sue opere? E quali differenze e analogie hai riscontrato tra Spawn e il Pistolero come personaggi?
Andrew Wyeth è un altro dei miei pittori preferiti. Non è la prima volta e non sarà l’ultima che mi appoggio al suo immaginario rurale, onirico e decadente, per creare le mie opere. 
Trovo la sua pittura e i suoi soggetti immensamente suggestivi, mi ricordano gli scenari di Cormac McCarthy e Steinbeck, in bilico tra frontiera e apocalisse. 
Volevo dare una mia visione del personaggio e del far west meno dinamica e più contemplativa.
Mi è venuto naturale appoggiarmi a un dipinto di Wyeth per rievocare il tipo di atmosfera che avevo in mente.


La tua collaborazione con Todd McFarlane non si ferma alle cover di Spawn: al Comic-Con di San Diego è stata annunciata una nuova serie prodotta da McFarlane e scritta dall'attore, regista e scrittore David Dastmalchian, con disegni tuoi: Knights vs. Samurai. In questa storia si contrapporranno cavalieri inglesi e samurai giapponesi. Puoi anticiparci qualcosa su questo nuovo lavoro?
È un lavoro entusiasmante e impegnativo. Un fantasy medievale scritto benissimo da David che ho scoperto non solo essere un grande attore ma anche uno scrittore fenomenale, che mette il cuore in quello che fa. Per me questo è molto importante, cioè che una storia che sto contribuendo a creare nasca da un’urgenza e una voglia comunicativa, non solo da esigenze produttive. Per fortuna qui siamo completamente nel primo caso. Sono davvero felice di essere parte di questo progetto, di cui curo tavole interne (layout, matite e chine), copertine e di cui ho anche creato graficamente tutti i personaggi (lavoro che ho amato e sto amando particolarmente fare). 
Affiancando le mie tavole ai testi e alla storia di David stiamo dando vita a una storia corale piena di cuore e contenuti che non vedo l’ora possiate leggere tutti.
Il mio sogno è che ci facciano anche delle action figures un giorno!

Altra novità molto recente è l'annuncio della collaborazione con Skybound, l'etichetta Image fondata da Robert Kirkman, nel ruolo di copertinista. Cosa puoi dirci a riguardo?
Attualmente ho realizzato due cover per loro, una variant per fumetterie del Dracula scritto da Tynion IV e la cover della ristampa del numero uno della nuova serie di Creepshow, in cui ho scoperto essere contenuta una storia scritta da Garth Ennis! Un’altra icona della mia storia da lettore di fumetti.


Chiudiamo con una domanda (in parte) extrafumettistica: cosa stai leggendo, ascoltando, guardando in questo periodo?
Sto leggendo Furore di Steinbeck, mi sta piacendo molto. Quest’estate, a fronte dell’acquisto di una tavola di Richard Corben (sono un collezionista malato di originali a fumetti) in cui Roger (un personaggio di Hellboy) legge Uomini e Topi ho deciso di recuperare quel libro e l’ho amato, così sono passato a Furore
Fumettisticamente, ho appena finito il volume di Batman scritto e disegnato da Marc Silvestri e l’ho adorato. Il Batman che piace a me. Oscuro, grottesco, notturno. E poi Silvestri è un disegnatore pazzesco che qui ci consegna la sua prova grafica a mio avviso più strabiliante. Ieri in fumetteria ho fatto scorpacciata di Bruebaker e Phillips, i tre volumi di Reckless saranno i prossimi a essere macinati. Adoro questa coppia artistica, cerco di stare al passo e non perdere nulla di loro.
Per quanto riguarda la musica, da qualche mese sono dipendente dalle corde vocali di Bono e dalla chitarra dilatata di The Edge (parlo degli U2 ovviamente), Where The Streets Have No Name è a mani basse il mio brano preferito.  
Poi alterno, a un certo punto della giornata arriva sempre il momento indie folk tra Novo Amor, Sufjan Stevens o i Lumineers, che ho visto live quest’estate. 
E la mia ragazza mette spesso i Beatles, gli Oasis.  
Sull’audiovisivo, sto guardando, finalmente, la serie tv di Watchmen e mi sta piacendo un casino. Perché ho aspettato tanto prima di vederla? Tra l’atro mi ha fatto venire una voglia matta di rileggermi il fumetto.
Avrei bisogno di giornate di 48 ore per fare tutto quello che vorrei fare!

Grazie Federico per questa bella chiacchierata e in bocca al lupo per tutto!

Intervista a cura del Sommo Audace
(Giuseppe Lamola)




Federico Mele
Classe 1991, salentino, attualmente residente a Roma. Racconta storie attraverso il disegno da che ha memoria.
Ha lavorato come autore, disegnatore, sceneggiatore e illustratore per Mondadori, Becogiallo, LeviathanLabs, Bugs Comics, Bonelli, Rai, Mediaset, HeavyMetal Magazine, PlanetaDeAgsotini.
Nel 2021 espone la sua prima personale di dipinti ad acquerello, I Colori del Fumetti secondo Federico Mele, presso la Cart Gallery di Roma. A fine 2022 esce il suo primo fumetto da autore unico, La caduta di Macbeth, per Fanucci Editore.
Ex allievo e ora docente alla Scuola Romana dei Fumetti, attualmente collabora con Image e Todd McFarlane Productions. 
Nel tempo libero suona la batteria e dilapida tutti i suoi averi collezionando tavole originali.

Insta: fede__mele

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