Essere montagna, la corsa contro il tempo di Jacopo Starace

L'opera affascinante e densa di significati di un autore da tenere d'occhio

«Erano creature gigantesche, come dei. Lasciarono l’antidoto all’interno della nostra foresta e poi ripartirono. Ci salvarono la vita. Fu un vero e proprio miracolo. Per questo alcuni di noi iniziarono ad avere fede, a pregare.»

«Tu però non preghi mai, fratellone.»

«Io sono molto grato agli Esseri Montagna. Ma se fossero stati divinità giuste…avrebbero salvato anche mamma e papà…»


Jacopo Starace
, classe 1989, fareste meglio a tenerlo d’occhio. Durante gli anni universitari, all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, viene a contatto col mondo del fumetto e dell’illustrazione. Rimasto inevitabilmente affascinato, capisce che quella sarà la sua strada e inizia subito a pubblicare su rivista e sul web. Il talento non tarda ad emergere, e tra il 2018 e il 2021 entra a far parte del Progetto Stigma, col quale pubblicherà il suo primo lavoro autoriale, Inn (Eris Edizioni). Firma poi, per Bonelli Editore, Il teatro dei demoni per il quarantesimo Dylan Dog Color Fest.
Notizia dell’ultima ora, la nascita del collettivo Trincea Ibiza, di cui Starace è membro fondatore: nove amici cresciuti fianco a fianco nei più agguerriti festival underground italiani con l’obbiettivo di scuotere le fondamenta del fumetto indipendente. Per farlo partiranno con Nove Maghi, un folle esperimento in cui a ogni autore sarà affidato un singolo personaggio e tutti si muoveranno nello stesso assurdo universo.

Essere Montagna è il suo secondo e a oggi ultimo lavoro come autore completo, edito in Francia per Sarbacane e in Italia per Bao Publishing.

Myco e Pai sono Esseri Formica, uomini e donne di pochi millimetri che vivono in foreste brulicanti di sporcizia, dove natura e ciarpame di ogni tipo hanno iniziato a fondersi tra loro. In pochi eletti sono sopravvissuti alla devastante epidemia causata dalla malattia del bacillo, benedetti dall’aiuto degli Esseri Montagna che donarono loro l’antidoto, oggi venerati come divinità.

Il ragazzo però crede poco. Più che altro ha un sogno: quello di far parte della squadra di scalata, gli unici a cui è permesso allontanarsi dal villaggio dei funghi.

Tutto d’un tratto, a sconvolgere la normale routine, si presenterà uno straniero di nome Amanita, medico dell’ordine del bacillo. Le sue parole, taglienti come la più affilata delle lame, sono quelle che nessuno avrebbe mai pensato di udire: il morbo è tornato. Caso vuole che tra i primi contagiati ci sia la piccola Pai, la sorellina di Myco. I due si metteranno così in viaggio alla disperata ricerca dell’antidoto, nella speranza che ne sia rimasta anche solo una dose.

Nel post apocalittico di Essere Montagna la natura ha preso il sopravvento portando di fatto alla cancellazione, o quasi, della razza umana, di cui rimangono giusto gli avanzi, resti e sporcizia, aggrovigliati da piante e radici. Lo stesso villaggio dei funghi altro non è che un carrello della spesa capovolto ormai fuso all’ambiente circostante. Quello di Myco e Pai non è un mondo poetico, anzi. I paesaggi di Starace trasmettono inquietudine, mettono quasi in soggezione. Un vero e proprio monito ecologico, raccontato in maniera semplice ma disarmante.

L’antidoto è elemento chiave attorno al quale si muove tutta la storia, e con lui la domanda: sarà veramente stato un dono degli Esseri Montagna? Ha senso venerarli come divinità?

L’unico a crederci ciecamente è il priore Chiodino, colui che durante la prima epidemia li incontrò per ricevere da loro la cura. Un incontro, così come la sua figura, circondato da un alone di mistero e sospetto. Eppure, ci vuole coraggio per dubitare. Dopotutto, se sono sopravvissuti, il merito è suo. È giusto rimettersi al priore, l’eletto dagli Esseri Montagna. “Suo il villaggio, sue le regole”.

Tra tutte una è quella fondamentale: avere fede, e la fede non contempla di poter dubitare della volontà degli dei, ma forse è legittimo avere paura. Quella paura che diventa concreta quando ormai è chiaro a tutti che il bacillo è tornato. Eppure si poteva prevedere, eppure c’era un modo per evitare di trovarsi impreparati. La scienza dei “medici del bacillo” poteva aiutare, ma qualcosa è andato storto.

A Myco però non importa di tutti questi discorsi “da adulti”. Dell’eterno conflitto tra religione e scienza se ne occupino i grandi. Lui vuole solo salvare la sua sorellina, e assieme ai suoi amici prenderà il destino in mano, senza abbattersi. Che saranno o meno gli Esseri Montagna a salvare la situazione, non si può stare fermi ad aspettare.

Il suo percorso di crescita non è semplicemente quello di un classico racconto di formazione, ma incarna il riappropriarsi del proprio destino da parte di un popolo, quello del villaggio dei funghi, che fino a quel momento aveva vissuto pregando gli Esseri Montagna, senza porsi nessun tipo di domanda. Una crescita, quella di Myco e dei suoi, che li porterà finalmente a comprendere la verità delle cose e ad abbandonare i dettami di una fede ottusa e cieca.

Graficamente parlando Jacopo Starace si dimostra un maestro, riuscendo ad asservire completamente il suo stile di disegno alla storia che sta raccontando. Nel fumetto emerge con prepotenza tutto il suo amore per il cinema ma soprattutto per il teatro, mutuato dalle conoscenze acquisite grazie alla sua laurea in scenografia. A riguardo è curioso come l’autore, per riuscire a disegnare alla perfezione la bellissima maschera del “medico del bacillo”, se la sia proprio dovuta costruire fisicamente, in modo tale da crearsi una reference per ciò che aveva solo in testa.

Tornando al disegno, Starace utilizza una costruzione della tavola regolare, decidendo piuttosto di giocare con l’impaginazione. Lo vediamo ad esempio quando spezzetta la tavola in numerose vignette, come a evidenziare ogni minimo particolare e movimento, per trasmettere ansia, frenesia, tensione, o nelle immancabili splash page sapientemente posizionate lungo il fumetto, che a volte nascondono il classico colpo di scena ma che possono anche rappresentare un momento per far rifiatare la storia e i personaggi. Soffermandoci su quest’ultimi, interessante la scelta doppia sia di inquadrarli spesso in primo piano durante i dialoghi, dando una sorta di cinematograficità al tutto, sia di sfruttare molto i campi medi, quasi come se gli esseri formica fossero su un palco e noi, a teatro, stessimo assistendo al loro spettacolo.

A tutto questo, seppur saltuariamente, si aggiunge anche qualche piccolo sfizio creativo che Starace non può evitare di togliersi, come nella splendida vignetta raffigurante lo scontro tra i due bimbi e la mantide dove i colpi dell’insetto vanno a spezzare in più attimi il tutto, scomponendo il movimento della scena.

Dulcis in fundo, i colori. Vedeteli un po’ come il “boost” definitivo di quanto discusso fino ad ora: sono il cannone con cui Starace ci spara definitivamente in faccia le sensazioni che provano i personaggi. Dal verde speranza, di cui abbondano le scene “familiari” dentro al villaggio dei funghi, a quel mix di viola e blu per trasmettere tensione, pericolo, fino a quelle tinte arancioni, gialle, presagio di sventura. L’influenza del fumetto francese, Moebius in primis, si vede tutta, così come anche di LRNZ e del suo Geist Maschine: tutti elementi che Starace ha saputo prendere e fare suoi in maniera eccelsa.

Essere Montagna è proprio un bel fumetto, ottimamente scritto e disegnato. Una splendida avventura ecologista che invita a non adagiarsi, a mettersi in discussione, ad agire, a prendere il destino nelle proprie mani. Questo l’insegnamento che ci lascia Myco al termine della sua missione. 

Myco, membro della squadra di scalata.

Andrea Martinelli




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