Storie Brute - Uno sfondo storico per raccontare persone comuni
A Lucca Comics & Games 2025 abbiamo intervistato Gianluca Girelli e Nas Kirchmayr del collettivo Storie Brute per parlare del loro nuovo fumetto, Terra incognita
A Lucca Comics & Games 2025 per Lo Spazio Audace – Vignette e caffè, il format di interviste informali al bar in collaborazione con Lo Spazio Bianco, abbiamo dialogato con Gianluca Girelli e Nas Kirchmayr del collettivo Storie Brute riguardo la loro ultima fatica, Terra incognita, volume realizzato insieme a Marika Michelazzi.
Il collettivo Storie Brute ha vinto lo scorso anno il Premio Self Area a Lucca C&G con La Testa del Principe Nero e ha realizzato l’artwork della Self Area 2025, oltre a essere protagonista di una mostra.
Ciao, Gianluca e Nas, benvenuti. Storie Brute è uno dei collettivi più interessanti e premiati della Self Area. Volete presentarcelo?
Gianluca: Ciao! Siamo un collettivo della Self Area e amiamo in particolare la storia, quindi nelle nostre opere troverete tutto a tema storico, fantasy, fantastorico e cose di questo genere. Ma nell’ambientazione storica parliamo di gente comune.
Partiamo dal riconoscimento che avete avuto lo scorso anno. Cosa ha rappresentato per voi?
Gianluca: È stato un momento importante soprattutto perché abbiamo vinto con una serie che è stata molto lunga e quindi è stato per noi il coronamento di quattro anni di lavoro su La Testa del Principe Nero. Quest’anno abbiamo addirittura organizzato la mostra sul nostro fumetto, quindi diciamo che per una nicchia come l’autoproduzione è una cosa estremamente importante, effettivamente ha fatto in modo che le persone sapessero di noi e dove trovarci durante Lucca.
Due parole in più sulla mostra?
Gianluca: Sono contentissimo di com’è venuta. Usando il Principe Nero abbiamo fatto un’analisi di quello che facciamo, quindi la ricerca storica dietro al fumetto, la ricerca ambientale dei costumi, della ricostruzione medievale in questo caso, che è poi la strada che seguiamo per ogni nostro fumetto a prescindere dall’epoca.
Nas, vuoi aggiungere qualcosa?
Nas: Abbiamo cercato di selezionare le tavole più particolari, scegliendo dei temi per spiegare un po’ il lavoro che facciamo. Per esempio come abbiamo trattato la psicologia e le varie condizioni umane, quindi abbiamo mostrato alcune tavole che racchiudessero questo tipo di presentazione.
Nel vostro nuovo Terra incognita ci troviamo nell’Italia antica nel VII secolo, un’ambientazione che farebbe pensare ai romani. Invece il protagonista è un greco.
Gianluca: Sì, e la sua avventura comincia dalle parti di Siracusa per poi, attraverso vari espedienti, trovarsi in questa Italia deromanizzata dove i romani erano ancora tra i sette colli a menarsi tra di loro. Siamo in un periodo in realtà molto importante nello scenario greco, perché è il momento in cui si suppone che Omero abbia scritto tutte le sue storie. Era molto presente questa ricerca dell’eroe, tanti eroi che nascevano e noi abbiamo deciso invece di narrare l’avventura eroica di un pastore che per una serie di sfighe si trova a compiere un grande e avventuroso viaggio. Un viaggio che lo porta ad attraversare tutti questi popoli dell’Italia antica, per la maggior parte poco conosciuti. La sfida è stata particolarmente ostica perché i testi più recenti che abbiamo di alcune delle popolazioni rappresentate sono di 200 o 300 anni successivi, scritti o da greci o da romani, cioè da gente che li aveva o assorbiti o sconfitti facendone a loro volta un certo tipo di narrazione. Bisogna un po’ cercare di guardare attraverso questa lente per ridare un’immagine di questa terra sconosciuta all’immaginario classico, che però in realtà era brulicante di vita e abitata da un sacco di popolazioni differenti.
Come avete tradotto in immagine, e poi montato sulla tavola, tutto questo lavoro?
Nas: Dal punto di vista delle tavole abbiamo voluto fare un lavoro suddiviso. Abbiamo una storia muta di viaggio, dove seguiamo le vicende del protagonista senza testi, a parte cinque tavole. Poi ci sono inserti di Marika Michelazzi che invece rappresentano più il suo viaggio interiore, come se fosse una sorta di diario di viaggio. Non è descrittivo ma è proprio la sua sensazione in quel momento particolare che sta vivendo. Dato che il protagonista, all’inizio della storia, viene colpito da una saetta e quindi viene creduto dalla sua gente maledetto, è un modo per rappresentare il modo in cui gli altri l’hanno percepito e abbiamo cercato di fare questo esperimento anche dal punto di vista della gabbia. Così abbiamo voluto creare una gabbia a saette che riprendesse il suo marchio. Abbiamo lavorato tutto al vivo perché volevamo proprio che la gabbia si espandesse al di fuori della pagina e non ci fosse nessun tipo di cornice ma proprio un mosaico frammentato.
Anche lo sviluppo in orizzontale è un elemento importante, no?
Gianluca: Sì, abbiamo lavorato molto su tante coppie di pagine che hanno una struttura a volte simmetrica, perché appunto il formato orizzontale ti permette quella visione panoramica che a volte è più difficile trovare o comunque viene sacrificata nel fumetto verticale. Sono un grande fan di cinema e abbiamo giocato molto con questo, infatti lo storyboard l’ho proprio steso io, cioè a livello di sceneggiatura ho fatto la struttura della gabbia per questo motivo.
Questo rapporto diretto fra sceneggiatura e storyboard ha influenzato anche il disegno?
Nas: Sì, sia io sia Marika abbiamo ripreso molte pagine proprio dallo storyboard con pochi cambiamenti, anche se poi rielaborate nel contenuto.
Quanto è stato impegnativo il lavoro di documentazione?
Gianluca: Tanto, anche se c’è da dire che questo è un periodo molto difficile da rappresentare. Diciamo che gli articoli inseriti a fine volume parlano sì della nostra documentazione, ma anche e soprattutto di quello scostamento che abbiamo dovuto fare dalla rappresentazione classica di quell’epoca, da tutto un immaginario greco e romano che è molto caro al grande pubblico.
Torniamo sulla composizione della tavola e in particolare sul concetto di sequenza che, anche in questo caso, avete cercato di scomporre e reinterpretare.
Nas: Esatto, abbiamo anche cercato in certi tratti di non creare una narrazione consecutiva, ma di dare un’impressione di tante cose che succedono nello stesso tempo. Ovviamente non in tutto il fumetto perché altrimenti diventava un po’ poco fruibile, ma ci sono delle situazioni specifiche dove cosa succede prima e dopo non è così importante, è più importante il colpo d’occhio.
Gianluca: L’occhio può giocare di più, quindi spesso alcune tavole non hanno un ordine definito in cui le puoi leggere ma puoi, volendo, leggere prima la metà sotto, poi zigzagare o altro. Devo dire che su questo abbiamo osato un po’ fuori dalla nostra comfort zone, rispetto a Il principe nero che aveva un’impostazione più classica. Abbiamo voluto sperimentare e divertirci.
La scelta di mettere così pochi testi vi ha permesso di poter essere più liberi a livello di interpretazione?
Gianluca: Sicuramente c’è una certa libertà di interpretazione, anche se io l’ho scritta quindi ammetto che conosco il dietro le quinte e per me dovrebbe essere piuttosto chiaro quello che gli succede e la sua evoluzione interiore. Però ci sono delle parti che si prestano a interpretazioni, a esempio sul lato sacrale o sul sovrannaturale. In realtà, per quanto abbiamo sperimentato, la narrazione è abbastanza lineare, è un cerchio che si chiude e spero nel modo più pulito possibile.
Avete definito questo progetto come un esperimento del collettivo. Alla luce della pubblicazione, lo considerate riuscito?
Gianluca: Io che l’ho scritto sono molto contento del lavoro. Sì, è un esperimento riuscito, anche se sono stato mediamente più romantico di quello che tendo a essere come sceneggiatore, è una storia un po’ romantica questa, sono un po’ fuori dalla mia comfort zone. Però chiaramente il vero giudice è il pubblico.
La dedica di Storie Brute per Lo Spazio Audace.
Grazie per la disponibilità, Gianluca e Nas!
Intervista a cura di Giovanni Dacò e Giuseppe Lamola, realizzata il 29 ottobre 2025 a Lucca Comics & Games.
Storie Brute
Storie Brute è un collettivo artistico che nasce nel 2019 dall’incontro di tre bruti in una buia taverna alle porte di Milano. Questi bruti, troppo gracili per essere guerrieri e troppo stonati per diventare skaldi, decisero di unire le forze con lo scopo di mercanteggiare i prodotti del loro ingegno: pittogrammi ideo grafici che raccontano gesta dimenticate e saghe sconosciute, la cui memoria viene evocata mischiando insieme ferro, polvere e ossa. Tipo quello che ha fatto History Channel con la serie Vikings ma con molto meno budget e su carta.













