Il pianeta verde - Il manga che ci ricorda quanto è bello esistere
Keigo Shinzo ricongiunge il lettore con la parte più ancestrale e animalesca della natura umana
Questo potrebbe essere l’inizio di centinaia di opere di fantascienza, ma anche di storie marinaresche: non a caso i due generi condividono da sempre molte similitudini. Ci si accorge invece immediatamente di essere in una storia ideata da Keigo Shinzo quando giriamo pagina e Il pianeta verde, in Italia per Dynit Manga, ci investe con la poetica tipica dell'autore di Tokyo Alien Bros., Randagi e Hirayasumi.
La tranquillità verrà spezzata nel momento in cui il nostro verrà a conoscenza del fatto che ci sono altri umani sul pianeta, ma le cose non andranno esattamente come lui si aspetta.
Anche se quest'opera risale originariamente a più di dieci anni fa, l'autore accompagna la storia già con lo stile grafico che lo caratterizza e lo distingue nella massa di disegnatori orientali, un tratto tremolato quando si tratta di scene statiche e ultra preciso quando il gioco della trama si fa duro e richiede particolare forza espressiva. La regia è semplicemente meravigliosa. Il mangaka gestisce i tempi della narrazione come un vero maestro, alternando momenti lenti e stagnanti in cui il lettore riesce a godere della vita del protagonista e a immergersi in quel senso di dolcezza che solo l’immersione nella natura sa dare, a momenti forsennati e veloci, quando la trama lo richiede, senza però perdere mai un certo ordine formale che rende la storia comprensibile ed emozionante attraverso un crescendo ritmico ben gestito.
Takaichi è un lavoratore part-time in una compagnia di trasporti spaziali. Quando la sua nave spaziale va in avaria, egli non può far altro che tentare l’atterraggio d’emergenza sul pianeta più vicino.
Questo potrebbe essere l’inizio di centinaia di opere di fantascienza, ma anche di storie marinaresche: non a caso i due generi condividono da sempre molte similitudini. Ci si accorge invece immediatamente di essere in una storia ideata da Keigo Shinzo quando giriamo pagina e Il pianeta verde, in Italia per Dynit Manga, ci investe con la poetica tipica dell'autore di Tokyo Alien Bros., Randagi e Hirayasumi.
Seguiamo la vicenda del nostro protagonista e il suo integrarsi all’interno della società aliena che lo ospita. Queste “rane”, come le chiama il protagonista, sembrano averlo accolto con grande facilità, attribuendo al nostro la stessa inoffensività e ingenuità che egli attribuisce a queste ultime. Sulla base di un riconoscimento con l’altro, per quanto alieno, la vita di Takaichi scorre lenta e, nonostante sia un naufrago, piuttosto serena.
La tranquillità verrà spezzata nel momento in cui il nostro verrà a conoscenza del fatto che ci sono altri umani sul pianeta, ma le cose non andranno esattamente come lui si aspetta.
Keigo Shinzo pone in essere una profonda riflessione in cui non sono tanto l’alieno e l’umano a essere messi in discussione ma, piuttosto, ad entrare in conflitto sono due stili di vita, quello della società industrializzata e moderna da una parte e quello della vita naturale dall’altra. La prigionia che può rappresentare, in senso simbolico e reale nel caso del racconto, una società preordinata in cui tutto va esattamente come deve, secondo gli uomini, e una società naturale in cui gli esseri che la vivono appartengono al contesto alla pari osservando e rispettando ciò che li circonda.
Shinzo imbastisce una storia zuccherina ma mai melensa, profumata di nostalgia, di sentimento puro, che traspare non tanto dalla trama, ma dalla costellazione di particolari che la compongono. La libertà è il personaggio principale di questa narrazione: non una libertà sociale o politica, ma una libertà che si lega alla volontà di legarsi al naturale. È così che il nostro protagonista, dotato di nuovi alleati, scappa dagli umani una volta trovati, lontano da una nuova forma di schiavitù e verso la libertà che quel mondo verde che lo circonda rappresenta.
Anche se quest'opera risale originariamente a più di dieci anni fa, l'autore accompagna la storia già con lo stile grafico che lo caratterizza e lo distingue nella massa di disegnatori orientali, un tratto tremolato quando si tratta di scene statiche e ultra preciso quando il gioco della trama si fa duro e richiede particolare forza espressiva. La regia è semplicemente meravigliosa. Il mangaka gestisce i tempi della narrazione come un vero maestro, alternando momenti lenti e stagnanti in cui il lettore riesce a godere della vita del protagonista e a immergersi in quel senso di dolcezza che solo l’immersione nella natura sa dare, a momenti forsennati e veloci, quando la trama lo richiede, senza però perdere mai un certo ordine formale che rende la storia comprensibile ed emozionante attraverso un crescendo ritmico ben gestito.
Il mangaka si conferma come il depositario di un certo tipo di narrazione giapponese la cui tradizione rischia di perdersi e di cui egli è detentore, una strana fusione fra Leiji Matsumoto e Jiro Taniguchi, che non può non appassionare i lettori di un certo tipo di fumetto.
Lo spirito umano permea da sempre le opere di Shinzo che non sono mai, né vogliono essere, storie grandi, fatte di cosmogonie profonde. Sono storie piccole, invece, che delicatamente raccontano un tratto profondo dell’umanità che sempre di più proviamo a sopprimere, e per questo sono storie preziose, da proteggere come animali rari, custodi di ciò che siamo ancora, e spesso ci dimentichiamo di essere.








