Valerio Schiti - Divertirsi cambiando le cose
Gli abbiamo chiesto di raccontarci il rapporto con lo sceneggiatore, con il quale aveva già collaborato, di raccontarci del processo per dare nuova vita ai costumi dei personaggi che disegna, e di come possa essere complesso narrare un personaggio così pieno di contraddizioni come la personificazione del sogno americano (che forse tanto sogno non è).
Una chiaccherata concentrata, che ha toccato punti sia più leggeri sia complessi, dimostrando sempre di più come il fumetto sia foriero di storie, anche se viene solo raccontato.
Ciao, piacere, prima di tutto grazie del tuo tempo Valerio, siamo gli Audaci e Fumettocrazia in combo!
Che figata! (ride)
Un podcast ed un sito, guarda dove arriva la tecnologia! Grazie per il tuo tempo, quindi partiamo subito con la prima domanda: ascolti sempre il nostro podcast? Non mentire!
Ovvio. Voi dovete capire, io lo dico sempre, che il lavoro del disegnatore è un lavoro triste e solitario, per cui avere qualcosa che ti accompagna, ad esempio anche il fatto che il podcast sia lungo, e che quindi ti accompagni per molto tempo mentre disegni, è una grande cosa. Hai voglia, certo, seguo.
Lo segno, che il caporedattore ci sgrida quando andiamo troppo lunghi.
No no, dovete essere lunghi!
Dopo gli ultimi anni, dove ti sei impegnato con temi più particolari come la fantascienza, adesso stai tornando ad uno stile un po' più morbido. Quale sono le influenze che ti hanno portato a questo cambiamento?
Artistiche o...?
Artistiche, ma anche esterne.
Allora... alle volte è casuale, cioè nel senso, un po' è la noia. Fai conto, sembra strano, però è la voglia di sperimentare, di fare cose un po' nuove, di cambiare stile di disegno eccetera. A volte, per esempio, è stato anche per cambi di tecnologia, cioè son passato da uno strumento all'altro e quindi ti cambia il modo di disegnare. A volte sono le letture che fai (ride), magari in quel periodo stai leggendo qualcosa che ti ha colpito, vuoi provare a rifarlo tu sulla tavola. Quindi in genere se cambia lo stile, se cambia un po' l'approccio alla tavola è per questi motivi qui. Cioè: per divertirmi un po', perchè sto leggendo qualcosa che mi ha colpito e voglio provare, oppure perché ho cambiato strumenti. A volte tutte e tre le ragioni assieme.
Perfetto. Parliamo di redesign: è uscito da poco anche in Italia il tuo Capitan America, ci sono un sacco di redesign, parlaci un po' del processo che usi, cosa ti piace di reinventare queste cose “classiche”?
Allora, io lo faccio da SEMPRE, faccio tipo “Barbie gira la moda”, cioè nel senso da quando ero ragazzino mi divertivo già da piccolo a cambiare i costumi di Spider-Man, non lo so perché è una mia diciamo pulsione, è più forte di me, mi diverto tantissimo. La fortuna mia è stata che poi ho potuto anche farlo per lavoro. Da quando poi dal primo lavoro in Marvel ho proposto subito un cambio di costume del personaggio che dovevo disegnare (all'epoca era Lady Sif), piano piano è diventata una cosa che succede. Quindi se ogni tanto c'è qualche lavoro di redesign da fare, lo chiedono a me. A volte è capitato anche su cose che non dovevo fare io, quindi...
In questo caso, in due occasioni la cosa si è fatta interessante: nella run di Iron Man, dove il core della serie era “Tony Stark ha tantissime armature” quindi lì me le dovevo inventare, e adesso con Capitan America perché stiamo raccontando cose mai viste quindi abbiamo un nuovo costume stealth, poi c'è l'altro Capi... vabbe', spoiler, non so se l'avete letto, comunque c'è un altro Capitan America, poi ritorna il costume più o meno classico ma modificato per renderlo più attuale, personaggi nuovi... quindi c'è stata la possibilità di fare un vero e proprio worldbuilding cioè di mettere in piedi un cast intero di personaggi da disegnare. A me 'sta cosa mi piace da morire, mi diverto tantissimo.
Pazzesco. Parlando di classico, in uno dei numeri che deve ancora uscire di Capitan America c'è una versione del Dottor Destino con una faccia un po' particolare. Io ci ho visto una citazione a Jack Kirby...
Sì sì, hai voglia. Certo, ma allora io questo lo faccio sempre. I design che faccio chiaramente sono ispirati a cose contemporanee, ma una cosa che mi piace è anche prendere un look consolidato classico, noto magari... adesso non dico dimenticato, perchè Kirby è Kirby, però adesso magari non si è usato più per un po' di tempo e magari reintrodurlo in qualche modo e renderlo mio. Cioè, questa cosa è sempre bella: andare a pescare agli artisti degli anni 70, 60 e rimettere in circolo quel tipo di idea, quel tipo di look, magari con un piccolo cambiamento e qualche aggiustamento contemporaneo. Poi diventa un gioco, cioè è divertente così.
Assolutamente. Questa è una run di Capitan America particolare. Perché parla dell'America ma non è fatta da americani.
No, ma nemmeno il colorista (ride).
Quest'occhio esterno che avete... perché è anche un Capitan America... a parte le ultime pagine (che non spoileriamo per chi deve ancora leggerle) sono fortissime.
Grazie.
Un paio di vignette che ho visto mi hanno aperto il cuore... Come si è deciso di affrontare questa visione appunto strana di questo personaggio che è un po' una contraddizione in sé, cioè l'idea di questa America come Melting Pot, però Capitan America è un po' un simbolo fuori posto. Com'è essere fuori posto, nel parlare di un fuori posto?
Sì, esatto. Bravo, forse è vero, te lo volevo dire. Questa forse è la cosa che ci aiuta. Allora, tutto nasce da un'idea di Chip (Zdarsky, n.d.r.), ovviamente, cioè la serie prende il via perché Chip lo ha proposto a Marvel, ha detto che lui ama il personaggio, voleva fare una run di Capitan America: ha sottoposto un'idea e gliel'hanno approvata.
Come ha raccontato già in altre interviste (quindi non dico niente di nuovo) lui attraverso il personaggio di Capitan America sta cercando di raccontare una storia che non è strettamente legata all'oggi: è una storia più grande su quello che fa l'America in America e nel mondo, diciamo quali sono i tratti identificativi della loro politica, della loro società eccetera eccetera.
Capitan America è un personaggio utile per fare questo perché appunto è colui che indossa la bandiera americana. Forse, quel po' di distacco che ha lui, che comunque è confinante (Chip è canadese), e quel distacco più grande che abbiamo io e il colorista, ci aiuta a vedere la cosa da una prospettiva diversa e quindi a fare un racconto che magari è più interessante anche per gli americani stessi. Cioè: è fuori posto Capitan America come dici tu perché è, soprattutto nella nostra run, l'uomo che si è appena risvegliato nella nostra società e la deve capire, la deve interpretare, la legge con gli occhi di Capitan America. E siamo fuori posto noi. In più io e Chip non siamo coetanei però insomma lo siamo quasi e raccontiamo un periodo storico che ricordiamo di quando eravamo giovani in un certo senso, perché.... è roba passata di vent'anni. E abbiamo la stessa età del Capitan America che stiamo raccontando, quindi c'è anche un'immedesimazione nel personaggio in un certo senso, e nel modo in cui lui vede la società di quegli anni lì che ci aiuta magari invece a raccontarla non dico meglio degli americani, ma sicuramente da un angolo che magari non si aspettano. E questa forse è la cosa che rende la run più interessante anche per loro, penso, alla fine.
Certo. Comunque parliamo di un personaggio con cui, forse, si rischia anche un po' di fare della propaganda. Questo è un aspetto che ti tocca, oppure è solo una questione diciamo creativa per fare la storia migliore che si può fare?
Allora, no, cioè c'è questo rischio. Più che altro c'è il rischio di scadere nel retorico, quella è la cosa su cui bisogna un po' restare in equilibrio. Perché Capitan America, almeno per come lo vedo io, e per come mi sembra lo veda Chip - non ne abbiamo parlato esplicitamente così, perché adesso la domanda me la fai tu (ride), quindi non è una cosa esplicita ma una cosa che sentiamo. Alla fine il siero del supersoldato che dà i poteri a Capitan America forse non è il suo vero superpotere, è l'essere Steve Rogers il vero potere di Capitan America: vedere quello che ha visto, fare quello che ha fatto, insomma l'occhio che ha sul mondo. Quindi poi far parlare un personaggio così è pericoloso perché può diventare pedante, può diventare eccessivamente retorico tipo: “Ecco, ora Capitan America sale in cattedra è dà a tutti la lezione su come ci si deve comportare” (ride). Quindi serve un bravo scrittore. Io come disegnatore devo dare una faccia, un corpo a queste frasi e quindi cercare di renderlo, appunto, il meno retorico possibile... e speriamo di farcela insomma (ride). Non vogliamo fare propoganda, non vogliamo nemmeno salire in cattedra e insegnare a campare ai lettori, cioè nel senso metterci lì col ditino da autori (gesticola col dito) “Voi dovete capire che l'America sbaglia...”, no, non è quello, anzi. Abbiamo pure un grande affetto per le cose che raccontiamo, anzi, pure di quelle più controverse, cerchiamo di essere un po' sensibili in un certo senso.
Con Chip avevate già collaborato in qualche numero di Marvel Two-In-One. Come procede questa nuova collaborazione e quanta libertà ti viene lasciata? Hai delle sceneggiature molto stringenti o ti lasciano più campo largo?
Allora no, la collaborazione è fantastica, io mi trovo benissimo con Chip. Innanzitutto è molto avanti con le sceneggiature quindi ha le idee molto chiare su quello che deve succedere, e questa cosa ci dà una bella sicurezza. Non navighiamo a vista, c'è un piano che dura anni e che andrà avanti per un bel po' e questo aiuta; a calibrare le tavole, a sapere chi resta e chi no, a capire i personaggi come si evolveranno, è una cosa che da artista ti aiuta tanto.
In più il fatto che lui sia anche un disegnatore fa sì che quando noi ci parliamo ci capiamo più che con uno sceneggiatore “canonico”, uno sceneggiatore “puro”. Per cui posso sottoporgli delle mie idee e lui le capisce e magari mi può dare qualche idea ancora migliore, insomma c'è una bella collaborazione. E poi mi fido, perché lo ammiro, lo apprezzo, quindi c'è un bel rapporto.
Per quanto riguarda la libertà, be', ce n'è tanta perché lui scrive tutto. La sceneggiatura è dettagliata ma non stringente; io ho molto chiaro quello che succede però allo stesso tempo visivamente ho campo libero. Per dire ho aggiunto delle vignette, ne ho tolta una... a un certo punto se lui ha avuto un'idea che pensavo potesse essere modificata in qualche modo l'ho fatto. Chiaramente lui vede prima i layout, vede prima le matite, e se le approva si va.
Ultimissima domanda, volevamo chiederti di Un posto al sole...
Hai voglia vai, vai tutto quello che vuoi, questa è l'intervista vera! Non la tagliate questa cosa, io sono grande fan.
Ma no, siamo venuti per questo e basta, scherzi? Ora che hanno preso Whoopi Goldberg nel cast.
Ma io non vedo l'ora!
Dai, nel momento in cui le linee più interessanti almeno da un punto di vista delle novità sono Ultimate ed Absolute, rrispettivamenteper Marvel e DC, c'è un personaggio per cui ha un'idea anche solo di un costume che vorresti vedere in questi universi?
Che manca però? Oddio, chi manca? Vabbe', dai, ci sono un po' di mutanti che si potrebbero fare fighi. Magneto c'è?
Magneto in effetti manca.
Vedi, quello. Facciamolo.
Un bel Magneto fan di Un posto al sole, così uniamo le due cose. Grazie mille della tua disponibilità!
Grazie a voi!
Intervista a cura di Giovanni Campodonico, Giorgio Ceragioli, Filo Torta, con il contributo di Giuseppe Lamola.
Valerio Schiti
Valerio Schiti è uno dei più grandi fumettisti italiani contemporanei e, senza dubbio, uno dei più prolifici. Riconosciuto a livello internazionale per il suo lavoro alla Marvel Comics, la sua bibliografia include G.O.D.S., Avengers e attualmente Captain America.Laureato in architettura, Schiti ha studiato presso la Scuola Internazionale di Comics di Roma. Il suo debutto professionale nel mercato americano è arrivato nel 2010 con una storia inclusa in Angel #37, pubblicato da IDW, seguito da titoli come Teenage Mutant Ninja Turtle Micro-Series: Donatello e Battle Beasts.
Durante questo periodo, ha incontrato C. B. Cebulski, che, impressionato dal suo dinamismo e dalla sua capacità narrativa, gli ha proposto di iniziare a collaborare con Marvel.
Nel 2012 ha esordito come artista principale su Journeyinto Mystery ed ha firmato il suo primo contratto di esclusiva con Marvel. In seguito ha lavorato su serie iconiche come Mighty Avengers, New Avengers e Guardians of the Galaxy.
Riconosciuto come uno degli All-new Young Guns nel 2014, altri titoli Marvel su cui Valerio Schiti ha lavorato negli ultimi anni includono Avengers A.I., Mighty Thor, Marvel 2 in One e, tra gli altri, Tony Stark: Iron Man.
Inoltre ha realizzato ben tre grandi eventi Marvel: Empyre (che ha vinto il GLAAD Award come Outstanding Comic Book nel 2021), X-Men: Inferno e A.X.E.: Judgment Day, oltre a G.O.D.S., la miniserie che reimmagina la mitologia Marvel.
Attualmente è al lavoro sul rilancio di Capitan America.











