Il luccicante e solare ritorno di Superman
James Gunn pone la prima pietra del suo DC Universe con il suo eroe più iconico e difficile da dirigere, trovando un equilibrio tra il suo stile e il mito
Sin dall’annuncio del passaggio nel 2022 di James Gunn in DC Comics, dove insieme a Peter Safran avrebbe gestito la ripartenza del DC Cinematic Universe (DCCU), gli appassionati hanno iniziato ad avere grandi aspettative ma anche timori, visti i problemi che la Warner aveva avuto nei dieci anni precedenti a costruire un universo cinematografico condiviso e dei film che avessero una qualità media tale da permettere una programmazione. L’annuncio poi nel 2023 che sarebbe stato Gunn stesso a rilanciare il progetto dirigendo un nuovo film di Superman ha decuplicato questa attesa e questi dubbi (e non parliamo qui delle sterili polemiche su internet di chi vede tutto come una guerra tra fazioni), perché Superman è il supereroe per eccellenza, icona difficile da trattare, che ha avuto già adattamenti molto diversi per toni e per aspettative, ripartenze difficili, e che forse negli anni ha perso quella centralità che per lungo tempo ha avuto, seguendo forse la crisi stessa del Paese che rappresenta, gli USA, nonostante la sua universalità simbolica.
Dopo trailer e teaser molto discussi sui social e fuori, tra appassionati e neofiti divisi tra versioni diverse del personaggio (con una frangia particolarmente ostile tra i pro-Snyder), siamo finalmente arrivati all’estate 2025, l’estate della grande sfida, quella del Superman di James Gunn.
Finita l’attesa, dopo la visione possiamo dire senza problemi che la sfida sia stata sostanzialmente vinta, anzi doppiamente vinta se si analizza il film attraverso due prospettive, ovvero quella del cinecomic e quella del film di James Gunn. Prima di soffermarmi sulla prima, sul personaggio e su come sia reso questo e la sua storia, vorrei partire proprio dal secondo punto.
Il cinecomic secondo James Gunn
Nella sua carriera Gunn ha lavorato abbondantemente con i supereroi, dal demenziale Super - Attento al Crimine fino a Guardiani della Galassia, di gran lunga la più apprezzata trilogia del Marvel Cinemantic Universe, passando per Suicide Squad e Peacemaker, diventando un regista di riferimento del genere: ha fatto questo dimostrando di poter uscire dalle logiche delle produzioni simili tra loro dell’MCU per portare il suo bagaglio iconoclasta, con un gusto per il weird e l’horror nato dalle produzioni indipendenti del periodo Troma, ma anche un occhio particolare per il cinema, fatto di momenti grotteschi, di scene anche volutamente patetiche, di cuore e di viscere al tempo stesso, spesso non badando a sottigliezze e osservando tutto con una lente particolarmente ironica. Ma un conto è sbizzarrirsi con personaggi sostanzialmente sconosciuti ai più, come i Guardiani o la Suicide Squad, un conto è realizzare un film di Superman, con tutto il bagaglio di cui parlavamo sopra. E in questo Gunn ha dimostrato una bravura e un’intelligenza creativa su cui in molti avevano avanzato quei dubbi e timori accennati prima: pur non disconoscendo quel gusto per l’ironia e lo strambo, una sana dose di eccesso sopra le righe e di camp da pura Silver Age (ma anche da puri Superman 2 e 3), il regista ha scelto dei momenti ben precisi e giusti nel film per rilasciare la sua vena più “punk”, facendo poi un passo indietro nel momento in cui era il personaggio e il mondo che gli gira intorno, con tutta la sua mitologia, a doversi prendere il centro della scena. Una scena che è sempre costruita con sapienza registica che sa unire il piccolo con il grande, l’azione con l’emotività, il messaggio con lo scherzo, grazie a scene girate con tenerezza e intimità ad altre piene di azione (alcune più riuscite di altre, soprattutto quelle in pieno giorno, credibili e coinvolgenti). Insomma, un sano cazzeggio alla James Gunn ma fatto nel rispetto del personaggio.
Tutti i dettagli più cari a Gunn confluiscono in questo Superman, che rinasce con l’obbiettivo di tornare a un’atmosfera più solare, più speranzoso e più umano. Il risultato è uno dei film più squisitamente fumettistici del genere, capace di attingere tanto a grandi saghe del genere (da All-Star Superman a Superman: Diritto di Nascita, due delle ispirazioni più chiare) quanto al prototipo di cinecomic, quel Superman di Richard Donner a cui Gunn guarda in più di un momento, sia come intensità che come atmosfere, senza parlare della ripresa del tema principale, una colonna sonora che sembrava potesse essere invadente e che invece viene usata in maniera epica, evocativa e rassicurante.
Superman e il suo mondo: tra storia e personaggi
Nel costruire il suo Superman, Gunn sceglie di partire in medias res, saltando origini e quant’altro. Dando per assodato che l’eroe esista da tre anni (e che gli altri superumani esistano da 300), siamo subito trascinati in un’avventura prettamente fumettistica, fatta di scontri in volo, esplosioni e superpoteri, un intrigo internazionale tanto esagerato quanto credibile, un’indagine giornalistica che si muove in parallelo e un eroe che viene gettato nel fango e che cerca di ristabilire verità e giustizia. E si comincia subito con il supereroe sconfitto e abbattuto, che cerca aiuto per superare le sfide che incontra, che si professa fin da subito fallibile, e per questo umano. Il regista, con la sua sensibilità a volte grossolana ma anche molto sentita ed emotivamente coinvolgente, dice così senza mezzi termini che il film metterà al centro il “man” di Superman, l’uomo prima di tutto: non solo nelle vesti di Clark Kent, che nel film si vede in pochi momenti (chiave) nei quali dimostra debolezze tipiche maschili - come la difficoltà nel confronto con una fidanzata - ma anche e soprattutto nella sua identità metaumana, invincibile eppure fallibile, che le prende anche di santa ragione eppure si rialza sempre, spinto dalla sostanziale e semplice voglia di fare bene, di prendersi le proprie responsabilità, di intervenire per proteggere i più deboli. Insomma, uno spirito molto “punk” per i tempi che corrono.
In questo, l’interpretazione di David Corenswet è sempre efficace sia come presenza fisica che nella sua espressività: il suo volto è infatti la quintessenza dell’americanità, mantenendo una certa “goofiness” anche nei momenti più intensi così come in quelli più scemi, senza mai assurgere a simbolo cristologico, a essere imperscrutabile nella sua quasi divinità, come nell’interpretazione di Henry Cavill in linea con le idee di Zack Snyder.
A convincere è in generale l’intero cast, a partire dai due principali comprimari, ovvero Lois Lane e Lex Luthor, interpretati rispettivamente da Rachel Brosnahan e Nicholas Hoult. La prima interpreta con brillantezza la giornalista investigativa del Daily Planet, una donna forte e sicura, che si lancia in una missione rischiosa per salvare Superman senza pensarci due volte, ma che dimostra anche le sue fragilità nei rapporti interpersonali, nella sua relazione con Clark/Superman, di cui già conosce il segreto: in questo caso Gunn mette al centro il rapporto tra i due personaggi recuperando le atmosfere del film di Donner, ma attualizzandole nel presente, e al resto ci pensa l’ottima chimica dei due interpreti, bravi nell'interpretare vari livelli della loro relazione. Il Luthor di Nicholas Hoult accorpa in sé molte incarnazioni del personaggio: pur non raggiungendo il carisma magnetico di Gene Hackman, Hoult ne riprende in alcuni momenti quella vena camp, salvo poi calarsi in un personaggio che è la quintessenza del magnate tecnocrate assetato di potere e soprattutto attenzioni, fornendo una prova convincente che dà vita a un cattivo arrogante, fasullo, arrivista, ma anche meschino e patetico sul finale, e in alcuni momenti terribilmente crudele e brutale, un’interpretazione a tutto tondo che pesca tanto dal genio pazzo dei primi fumetti di Superman, quanto dai già citati All-Star Superman e Diritto di Nascita. Lo stesso non si può dire degli altri antagonisti, gli sgherri che qui come in tanti altri film di genere sono solo carne da cannone (e anche la rivelazione su Ultraman è abbastanza telefonata).
Tra gli altri comprimari, nel cast piuttosto abbozzato del Daily Planet si ritaglia un ruolo abbastanza importante e simpatico Skyler Gisondo, che con il suo Jimmy Olsen “donnaiolo” oltre a risolvere parte delle trama con una trovata ingenua e ancora totalmente Silver Age, porta su schermo un personaggio mai pienamente valorizzato ma ricco di potenziale, comico e non. La cosa che più aveva preoccupato dal trailer, ovvero la presenza di troppi supereroi, si rivela una tra le più riuscite, dato che i personaggi si integrano perfettamente con la trama e con il protagonista senza creare mal di testa, e danno sostanza a un mondo in cui i metaumani sono la norma: Nathan Fillion nei panni di Guy Gardner è il personaggio più “gunniano” dell’intera pellicola, spaccone come solo la controparte fumettistica o un Peacemaker di Suicide Squad potrebbero essere; Hawkgirl fa due scene senza infamia né lode; il Mr. Terrific di Edi Gathegi si prende la scena ogni volta che compare (sua la sequenza d’azione più risuscita del film, quella con musica sparata e azione caotica in piano sequenza che è ormai un marchio di fabbrica). A questi si aggiunge Krypto che dà un ulteriore senso di familiarità ma anche di goffaggine a Superman, con il suo essere un cane totalmente disordinato e senza freni, ma anche fedele e sempre presente, tanto da rubare la scena ogni volta che si presenta (con qualche invadenza di troppo, in un paio di momenti).
Restano infine alcuni personaggi che, pur comparendo poco, sono fondamentali per la definizione del personaggio: i genitori Jor-El e Lara Lor-Van (Bradley Cooper e Angela Sarafyan) con il loro messaggio al figlio lo ispirano a diventare un supereroe, ma quando si scopre la parte mancante del messaggio - unica svolta davvero inaspettata -, è ai Kent che Clark si rivolge. Come dice giustamente Nanni Cobretti nella sua recensione su i400calci, la scelta di questi interpreti è forse la più innovativa, e ancora in linea con la riscrittura di Gunn: Pruitt Taylor Vince e Neva Howell mettono in scena un Jonathan e una Martha Kent non glamour, bensì totalmente in linea con un immaginario di campagna, con un forte accento e uno stile di vita semplice. Ma è in questa semplicità e nel breve ma intenso dialogo tra lui e Pa’ Kent, un perfetto dialogo tra padre e figlio, che Superman (e Clark) ritrova la sua essenza e la voglia di combattere per quello che lui ritiene giusto.
È un uccello? È un aereo? No, è un Superman (anche) politico
Parlando ancora della trama, al di là della costruzione del personaggio e del mondo in cui si muove per porre le basi di un futuro DCCU, James Gunn sceglie di parlare dell’attualità del nostro mondo in maniera molto schietta e diretta come nel suo stile che non va per il sottile. Lasciando perdere tutto il discorso sul Superman “immigrato” - perché per quello basta leggersi il primo numero del 1938 e chiudere la questione -, il regista cala il personaggio nell’attualità più scottante, nella politica, facendolo intervenire direttamente per fermare l’invasione del Jarhanpur (uno stato immaginario del medio oriente) da parte della Boravia, alleata degli Stati Uniti ma guidata da un dittatore (il cui accento non lascia dubbi sull’area geografica) e supportata nell’ombra da un magnate tecnocrate che ha mire sul paese invaso, il quale distorce e manipola i mezzi di informazione per il proprio tornaconto, con tanto di scimmie addestrate a diffondere odio sui social: una metafora tagliata con l’accetta e ricca di ingenuità (con alcune svolte di trama in cui la sospensione dell'incredulità viene messa a dura prova, soprattutto nell’indagine giornalistica che resta la parte più debole di tutto il film), ma che in un film del genere con questo protagonista serve a ribadire, senza troppi giri di parole, dove sia il bene e dove il male, o quantomeno a spingere a domandarsi quando sia necessario prendere una posizione. E che ribadisce anche il ruolo dell’informazione quale mezzo per ristabilire la verità e la giustizia. In tutto questo, pur rimanendo nella semplicità del cinecomic duro e puro, l’immagine dei bambini che issano la bandiera di Superman e ne invocano l’aiuto durante una guerra resta di potenza rara e commovente.
In definitiva, il Superman di James Gunn è un film che, pur nei suoi limiti (che sono molti di quelli del genere, oltre a quelli del regista e del suo gusto), diverte e illumina con la sua ricerca di solarità, leggerezza e buoni sentimenti, che non ha paura ad essere extrafumettoso, come ben detto da Alison Willmore su Vulture, riportando il personaggio nuovamente al centro del discorso, dove si merita di stare.
Lo scopo è quello di riscoprire i passi del Big Blue Boy Scout sul grande schermo e la filmografia di James Gunn in occasione del film che fonde i loro mondi, nonché secondo tassello del neonato DCU, Superman, dal 9 Luglio, al cinema. Il progetto si compone di 40 illustrazioni originali, 13 articoli e una live di presentazione.
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