Essentials: Superman Birthright di Mark Waid e Leinil Francis Yu
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Prima della nascita del comic book, negli USA c'erano le strisce a fumetti pubblicate ogni giorno sui quotidiani, una serie di vignette dove accadevano cose più o meno bizzarre ma che tenevano sempre conto del fatto che qualcuno poteva essersi perso un pezzo della storia, e quindi usavano parte del loro (limitato) spazio per riassumere la situazione, prima di continuare la narrazione.
Questo, non solo è un'accortezza di puro e semplice mercato, ma è anche una mossa tutto sommato inclusiva che fa sì che nessuno venga lasciato indietro, almeno nei limiti del possibile.
E quindi, se questa fosse la prima volta che leggete un mio pezzo qui sull'internet, o se il numero raggiunga le quattro cifre, dovete sapere che prima di essere un membro degli Audaci, scrivevo in altri posti, che vanno dal blog personale alle testate giornalistiche.
E, in ognuno di questi posti, una volta o l'altra, ho scritto, od ho provato a scrivere, qualcosa su Superman: Birthright.
Ovviamente la prima domanda che potrebbe sorgere è “perché”, e la risposta più politica sarebbe “credo sia la storia più bella mai scritta su Superman, e sono convinto di essere migliorato abbastanza come omino che parla di fumetti da dare un'opinione sempre migliore di questa storia”. Quella più pragmatica sarebbe che tutti i miei pezzi a riguardo sono spariti dall'internet. Quella più meta sarebbe che è importante parlare più volte di una storia di cui si è parlato più volte, ma quella più vera sarebbe che ogni volta che leggo il numero 11 di questa serie di 12 numeri piango come un vitello dalla commozione che questa storia mi genera. E a fanculo il non dire troppo di me nei pezzi di critica.
Ma partiamo dal principio: negli anni 30 del Novecento, un giovanotto americano, tale Jerry Siegel, conosce un giovanotto canadese chiamato Joe Shuster, con il quale crea un personaggio che vorrebbe vendere ai quotidiani per essere pubblicato, e lo avrete già capito, sulle famose strisce a fumetti.
La creatura di Joe e Jerry viene però dirottata verso un nuovo albo a fumetti chiamato Action Comics, rimontata nel formato e lanciata nella stratosfera come una delle più grandi creazioni del mondo del fumetto mondiale. Era nato Superman.
Sì, ma come era nato? Di sicuro il nostro era un alieno proveniente da un pianeta lontano da cui si era salvato grazie ad un'astronave costruita dal padre, ma nel corso degli anni a questa allusione molto evidente alla storia del biblico Mosè verrà aggiunto più di un particolare. Così come verranno aggiunti ulteriori dettagli alle storie di tutti i vari supereroi che nascevano in parallelo alla creatura di Jerry e Joe, nella speranza di carpire almeno qualche scintilla dell'incendio di fama che aveva questo superuomo.
Piano piano, le avventure di Superman si intersecavano con quelle di altri personaggi, come Batman, Lanterna Verde, Flash e molti altri, e tutto diventava sempre più complicato, tanto che la casa editrice (che aveva avuto molti nomi, fra cui “Superman Dc” giusto per ricordare a tutti chi era il capo quando si parlava di storie a fumetti) deciderà di stampare una storia che avrebbe cancellato tutte le altre, per dare la possibilità ai nuovi arrivati di non restare indietro. E poi ne farà un'altra. E un'altra. E un'altra, ma non siamo qui per parlare di questo.
Fatto sta che, negli anni 2000, serviva che qualcuno scrivesse le origini di Superman per il nuovo millennio, la storia che tutti gli autori DC Comics avrebbero dovuto seguire quando si parlava dell'Uomo d'acciaio, e per metterla in scena si chiameranno due personaggi particolari: un ragazzo che si era fatto le ossa principalmente lavorando per la concorrenza e che aveva fatto pochissimo per la DC, il disegnatore Leinil Francis Yu, ed un uomo che aveva letto tutte le storie mai scritte di Superman, lo sceneggiatore Mark Waid.
Assieme all'inchiostratore Gerry Alangulian, al colorista David Craig e allo studio di letteristi Comicraft, i due uomini avrebbero dovuto creare una storia che tutti avrebbero dovuto capire, anche se non avevano mai letto un fumetto, e per farlo avevano a disposizione 12 numeri, che verranno pubblicati fra il 2003 ed il 2004 in una miniserie che si chiamava appunto Superman: Birthright.
E qui, però, salta fuori un annoso problema logico, che i lettori più sgamati avranno notato subito: l'origine di Superman, più o meno, la sappiamo tutti. Non solo perché è presa paro paro da uno dei racconti più conosciuti del mondo, ma anche perché, insomma... parliamo di Superman.
Parliamo di un personaggio che per sua stessa natura trascende il fumetto, di un'opera culturale che tutti conoscono anche solo di vista. Cosa mi puoi dire di nuovo? Beh, un mucchio di cose in verità. Il trucco è aver capito quale sia la vera forza di Superman. Che non è la vista laser, anche se, ammettiamolo, è effettivamente una cosa molto ganza.
Anche perché, diciamolo... raccontare le origini di Superman in 12 numeri? Una storia che famosamente si può (e ed è stato fatto plurime volte) raccontare in una pagina sola? Dove posso scavare? Posso scavare nel dare sempre più corpo a chi sta attorno a Superman. Dalle due coppie che lo hanno amato come un figlio al magnate che lo invidia più di ogni altro essere sulla faccia dell'universo, dalla donna che gli ha rubato il cuore ad un giovane fotografo che assieme a lui impara che cosa sia il coraggio.
Birthright gioca moltissimo su tanti aspetti mondani del mito dell'Uomo d'acciaio, ci mostra la sua famiglia kryptoniana distrutta dal dolore, ci mostra la sua famiglia terrestre tenere così tanto a lui da diventare da un lato esperta di ufologia e dall'altro quasi disgustata da un mondo sconosciuto che vuole portargli via quel figlio che il destino gli aveva donato.
Waid ci immerge in questo mondo dove tutte le strategie usate dai personaggi per venire a patti con una premessa tutto sommato folle sono terribilmente reali, dove il sottotesto è così impalpabile da sembrare quasi inesistente.
Quante madri diventano più esperte degli esperti se l'argomento tocca loro figlio? Quanti padri non si sentono a loro agio con il loro ruolo?
Domande che s'incastrano in altre domande, in una storia fatta di interrogativi, perfetta per raccontare il mondo di quello che è fondamentalmente il secondo più grande giornalista del mondo, un uomo che ha fatto della ricerca della verità una missione di vita, eppure che porta con sé IL segreto per eccellenza: “chi è Superman?”.
Ed anche questo interrogativo viene sviscerato da Waid, che ci racconta le varie identità del nostro eroe, che sia il vero Clark Kent, che sia il Clark Kent di Metropolis, che sia Kal-El o sia Superman, in un processo molto più complesso di quello che sembra.
Perché è facile, facilissimo vedere Superman come una maschera noiosa, come un qualcosa che si erge sopra di noi come un Dio, e il Clark di Metropolis come un modo per dimostrare che l'umanità è piccola e paurosa.
Eppure, in ogni gesto di Superman c'è quel bisogno quasi fisiologico del voler aiutare, in ogni parola scritta da Clark Kent c'è un punto di vista sull'umanità che va raccontato, quella punta di speranza che le cose cambino, mentre si fa qualcosa per cambiarle, nei limiti delle nostre possibilità.
Scrivere, il talento più umano, di quell'uomo che ci ha fatto credere che si può volare.
E al contempo Waid si impegna anche a mettere dei paletti, dei limiti a questa storia, limiti che vanno dall'impotenza legata all'impossibilità di conoscere tutto, e di avere sempre gli strumenti per capire la verità, fino al fatto che per quanto ci si possa sforzare, forse dovremmo lottare per sempre, per ottenere quello che vogliamo.
Ovviamente, in alcuni punti la storia risulta essere un poco ingenua, ma ne è consapevole, e ne fa uno dei suoi punti di forza, cercando, di nuovo, di rendere il concetto inflazionato e vacuo di speranza qualcosa di più declinabile per un pubblico più esigente.
Dal lato artistico, Yu fa del suo meglio dando vita ad una sequenza di pagine che ondeggia sempre di più fra il sintetico e l'iconico. Sfoggiando un tratto quasi trattenuto in moltissime pagine, potremmo dire nervoso a tratti, e geometrico nella composizione di alcune splash page particolarmente d'impatto, l'artista riesce con grande bravura a catturare l'essenza della serie e della narrazione, raccogliendo la sfida di dover illustrare una storia che è più di una storia.
Certo, in alcune vignette lo stile schizzato dell'autore sembra un poco fuori posto in alcuni dettagli realizzati forse troppo frettolosamente, ma gli si persona tutto per un gioco di luci ed ombre che incapsula perfettamente il senso di che cosa sia Superman e del perché ha senso raccontare ancora la sua storia.
Alanguilan fa un lavoro eccelso nell'accentuare questi contrasti, anche grazie ai colori di Craig, che catturano sia il senso di ansia e di paura che può dare lo sbrilluccichìo di due occhi azzurri che diventano rosso fuoco, mentre il viso del nostro eroe è in ombra, sia quello di pura gioia che dà la luce che splende attorno a questa figura amica che si staglia nel cielo terso della città.
Bene, fino ad ora vi ho parlato degli aspetti emotivi, ho accennato ad una “vera forza del personaggio” nell'idea quasi banale del voler gettare due premesse per poi chiuderle nella conclusione in una classica mossa da articolo su internet scritto da appassionati, ma mi fermo un secondo, per parlarvi dell'azione.
Birthright è un fumetto a tratti molto lento,dove succede poco per molti numeri, dove succedono cose a tratti anche un poco fuori posto (tutta l'introduzione con Superman in Africa a tratti sembra indelicata, per usare un eufemismo), ma poi, tutto semplicemente, parte. Più veloce di un proiettile, più forte di una locomotiva, capace di farvi saltare il cuore dal petto con un solo balzo.
I momenti in cui questa macchia rossa e blu si getta nell'azione per provare a fermare ostacoli oltremisura tolgono il fiato, e anche nella loro ridondanza, non sembrano mai fuori posto.
Perché abbiamo imparato a conoscere questo personaggio, quest'uomo, e tutto quello che ci sta attorno. E quello che sembra folle, quello che sembra scemo non lo è più. Come quando conosciamo tanto bene un amico da saper prevedere il suo modo di fare come fosse il nostro.
Mark Waid, è una vecchia volpe del fumetto, e spesso e volentieri usa il trucco narrativo di tanti altri grandi del fumetto, ovvero il mettere un personaggio conosciuto in una situazione inedita (che se chiedete a me poi forse è il modo migliore per raccontare una storia che va avanti da quasi 100 anni), ma qui, in questi 12 numeri, nella situazione inedita ci siamo noi lettori, che ci aspettavamo una storia di Superman, e invece ci siam trovanti davanti una storia di persone.
Persone che, come noi, si devono fare un'opinione su questo alieno che vola.
Dal mercenario assetato di potere che si chiede se Superman sia nulla più che un sempliciotto di campagna, alla donna spaventata dal suo essere alieno, al bambino che non perde la speranza. Fino ad un momento che forse non è il climax della storia, ma potrebbe ben esserlo, il momento che mi distrugge talmente tanto che anche a solo scriverne mi si bagnano gli occhi, quando parte del mondo vede Superman per quello che è davvero: uno di noi.
Il “Super” è la maschera, non Clark Kent. Quello che conta, è sempre stato quel “Man”.
Vi potrei dire di tutto su questa storia. Vi potrei dire che è la più bella storia di Superman mai scritta, ma vi mentirei. Non le ho lette tutte. Ma vi potrei dire, e forse l'ho già fatto, che è una delle storie che più mi ha fatto innamorare del personaggio, e di sicuro la più rappresentativa di quelle che ho letto. Ecco, questa è forse più vera come impostazione.
Ne ho voluto parlare, in questa serie di pezzi che si chiama Essentials per un motivo: è vero, ci sono tante, tantissime origini di Superman, ma in poche c'è la giusta enfasi sul mondo intero che circonda questo personaggio, in poche c'è quel gusto per i comprimari, per queste città finte fatte di persone vere, che mi ha fatto innamorare dei supereroi americani, e che li rende così affascinanti.
Birthright è una storia che si prende i suoi tempi, lo fa con garbo e in punta di piedi un momento, per poi partire carica a pallettoni coniugando perfettamente tutti gli ingredienti del fumetto mainstream targato DC Comics, creando un qualcosa che ha lo stesso sapore di quel piatto particolare che faceva quella persona a voi cara, e che nessuno è mai riuscito a replicare, perché semplicemente non ci metteva quel tocco personale.
Quel tocco che resta sì ancorato al passato - si parla sempre di origini naturalmente - ma che in quel “diritto di nascita”, alla fine, sottintende l'unico diritto che abbiamo tutti: quello di avere un futuro.
Parliamo di una storia dove si vede chiaramente che chi l'ha scritta e disegnata ami il personaggio, e lo fa a 360 gradi, eppure non gioca a fare le strizzate d'occhio a chi c'era prima, non toglie il gusto di leggerla a chi non ha mai messo piede a Metropolis, lasciandoci carta bianca per farci la nostra opinione sul personaggio.
Insomma, Birthright, nella migliore tradizione del personaggio, coniuga il discorso delle sue stesse origini quasi ad un livello metanarrativo, e non lascia nessuno indietro. Molti, moltissimi fumetti potrebbero farlo, eppure non ci provano neanche. Questo sì. Perché? Perché farlo sembrava proprio un lavoro per Superman.