Letture seriali: perché rileggere Ken Parker è necessario
La poetica storia di un viaggiatore in perenne conflitto col Destino
«Giovedì 28 Marzo 1974, S. Sisto papa. Ivo iniziato racconto: "L'Uomo dal Lungo Fucile". Se avessi avuto, anche minimamente, sentore di un avvenimento importante, avrei speso qualche parola in più sulla mia agendina da tasca. [...] Di sicuro, non avevo idea che quel titolo avrebbe influenzato il resto della mia vita. Un titolo sbagliato, eroticamente allusivo, che in corso d'opera corressi in "Lungo Fucile", e che dimostra la mia ingenuità di quegli anni»
Giancarlo Berardi
Inizialmente, parlando con il Sommo Audace di questo pezzo su Ken Parker, in occasione della nuova edizione della Sergio Bonelli Editore, l'idea era quella di una sorta di "coda" delle mie recenti Letture Seriali a tema Western, con una recensione del primo numero di quella mitica - mi spingo a dire immortale - prima avventura del personaggio di Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo.
Ma poi, complice il fatto che c'è tra gli Audaci chi avrà il coraggio di lanciarsi in un'impresa di cui vi parlerò in coda al pezzo, la cosa è mutata in un excursus storico, una sorta di lunga presentazione di chi è Ken, di cosa ha significato per il Fumetto Italiano e di come ancora oggi sia un personaggio attualissimo, nato figlio del suo tempo e in qualche modo quel tempo capace di travalicarlo e parlarci con voce chiara anche adesso.
E d'altronde, l'idea di quelle Letture Seriali era arrivata dopo un articolo simile su Magico Vento, quindi è come un cerchio che si chiude perfettamente.
Ritorniamo perciò a quella data iniziale, a quel Marzo 1974. Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo sono amici da una vita, sin dalle superiori. In quel periodo, il primo sta scrivendo Wyatt Doyle su incarico di Sergio Bonelli e il secondo è finito a disegnare fumetti erotici.
«Una sera Ivo mi lesse per telefono uno stralcio della sceneggiatura che stava disegnando. C'intristimmo. Lui mi disse che aveva fatto domanda di assunzione alla società dei telefoni, io gli proposi di disegnare un racconto breve da mostrare a Bonelli», ricorda ancora Berardi.
Già, ma che tipo di fumetto? Ironicamente, il proposito dei due era proprio quello di tenersi lontano dal Western, argomento sul quale si era detto di tutto, senza contare che parliamo pur sempre della casa editrice di Tex, icona del genere per eccellenza e antonomasia.
Ma Sergio Bonelli gli chiede proprio quello, un racconto Western da pubblicare sulla Collana Rodeo e loro gli portano una storia con protagonista un trapper barbuto, emulo del Robert Redford/Jeremiah Johnson di Corvo Rosso non avrai il mio scalpo!.
Il racconto conquista l'editore che decide di farlo diventare il primo numero di una nuova serie, ovvero Ken Parker, con Berardi e Milazzo che riprendono in mano e sistemano tutta una serie di dettagli, costruendo la narrazione vera e propria, incluso il nome del protagonista, che in origine, in omaggio al succitato film, si chiamava Jedediah Baker.
Così nel giugno 1977 questa nuova testata fa capolino nelle edicole italiane, edita dalla allora Cepim, e sin dal quel primo numero si capisce che Ken Parker è un personaggio diverso, dotato di una forte autorialità, lontano dalle convenzioni di altre pubblicazioni simili di Bonelli, a partire da quella particolare arma che lo contraddistingue, quel "Lungo Fucile", un Kentucky Rifle ottimo per procurarsi selvaggina più che per combattere, e da ciò che gli accade di lì a poche pagine dall'incipit. Ne consegue una caccia all'uomo che è una vicenda tesa e drammatica, per un racconto, in primis umano, in continuo divenire, lontano dalle rocciose certezze texiane e più vicino al disincanto di un Corto Maltese, seguendo la corrente di quel revisionismo della "New Hollywood", portato sul grande schermo da film come Un Uomo chiamato Cavallo e Soldato Blu.
Non è un caso che, nello stesso periodo, i due autori pubblicano anche Tiki, storia di un giovane indio dell'Amazzonia, sulle pagine de Il Giornalino della San Paolo.
D'altronde, quello di Ken Parker è l'ideale traguardo di un percorso, all'interno dello stesso Fumetto Italiano, i cui primi passi sono stati mossi da testate come I Protagonisti di Rino Albertarelli e Storia del West di Gino d'Antonio, dove al piacere della lettura popolare si affiancava la ricerca di un rigore storico maggiore, per guardare oltre la cortina del romanzo.
Non dimentichiamo poi il periodo in cui vivono i suoi autori, quel 1968 che è una data simbolo di cambiamenti e sommovimenti culturali e, sempre non a caso, nella prima storia di Ken, quella prima didascalia nella prima tavola recita "Montana, 29 Dicembre 1868", esattamente un secolo prima, come una voluta dichiarazione d'intenti.
Le sorprese non mancheranno nella lunga saga del personaggio, in primis quel taglio di capelli e barba che ne ridefinisce il look "ringiovanendolo" e portandolo ancora di più a somigliare a Redford. Ma in qualche modo, perché no, anche le contraddizioni.
Non ama uccidere, Ken, in Lungo Fucile si mostra palesemente disgustato dalla violenza, eppure nel secondo numero, Mine Town, quando ancora Berardi e Milazzo stanno di vignetta in vignetta definendone il carattere, non esiterà a mettere mano alle armi con efficacia e risolutezza, strizzando l'occhio al cinema di Sergio Leone.
E la Settima Arte non lascerà mai il fianco del personaggio, sia come impronta di stile - come ad esempio la scansione dell'azione all'interno di alcune storie da parte di Milazzo - che come citazioni, portandolo anche ad incontrare, nel suo peregrinare, una Norma che tanto assomiglia alla sua omonima dal nome d'arte di Marilyn Monroe.
Non ama battersi o venire alle mani, se non necessario, e quando questo avviene, Ken si dimostra furbo, intelligente e capace di coniugare la sua esperienza con l'emergenza del momento, i metodi dei bianchi con quelli degli indiani, guadagnandosi sia rispetto che ammirazione da parte di entrambi "gli schieramenti".
È un uomo il cui sguardo sa andare oltre la Frontiera, vedere oltre le differenze tra gli uomini e i suoi occhi e mente non smettono mai di interrogarsi, di cercare risposte, di mettersi in discussione, conscio dei propri limiti come essere umano, e per questo sapendo travalicare la stessa carta in cui è stampato, portando il lettore stesso a riflettere, conoscere e studiare.
Non è un letterato, Ken, tantomeno un uomo di cultura, eppure è consapevole di quanto questi strumenti siano importanti, per evolvere, progredire, crescere e maturare. Sarà anche un analfabeta, ma non è un ignorante e anzi, sa che i libri sono potenti quanto le pistole, portandolo a guardare oltre, appunto.
Parla attraverso nuvolette, ma i suoi pensieri sono solidi come roccia, rendendolo "reale" agli occhi dei lettori più di tanti altri protagonisti dei fumetti. Il suo è un viaggiare perenne, un continuo muoversi lontano da casa, un peregrinare che lo avvolge in una cappa di solitudine, figura tragica della sua stessa storia.
Ken, nel corso della sua epopea, si risolve a svolgere diversi mestieri, ad assumere ruoli diversi ingegnandosi a fare di tutto, persino l'attore dell'Amleto, nella succitata storia Un Principe per Norma, anche questo un simbolo di quella ricercatezza di Berardi e Milazzo, dove il Western è solo "convenzione per, attraverso il passato, parlare del presente".
Non mancano così riferimenti storici, come tacche su un'invisibile calendario della vita del personaggio, date che segnano il corso del tempo per lui e per noi, perché Ken non vive in un immoto adesso ma, passo dopo passo, impresa dopo impresa, invecchia e muta, non rimane mai uguale a sé stesso ma è pronto ad abbracciare gli altri e il cambiamento.
Una Storia rappresentata da figure come Ely Donehogawa o Custer, con Ken che si ritrova sul campo di battaglia o coinvolto suo deciso malgrado nei corridoi della politica, arrivando, in un episodio memorabile, a scandire a chiare parole "Io mi vergogno di essere americano", dopo aver capito che i "migliori" a Washington perseguono ben altri interessi che non quelli del popolo : «Credevo che in quest'aula ci fosse posto solo per uomini migliori degli altri... ma vedo solo lupi e sciacalli. Lo so, non ho istruzione e non parlo forbito, ma se questa gente rappresenta l'America, io mi vergogno di essere americano» (dal #4, Omicidio a Washington).
Berardi e Milazzo intingono penna e pennino nel tessuto sociale, in argomenti altrimenti spinosi o difficili, e attraverso quella "convenzione", attraverso quel loro protagonista, veicolano messaggi che non sono, purtroppo, mai veramente passati di moda, ma anzi, adesso più che mai, filtrano potenti dagli spazi bianchi, rendendo Ken Parker una lettura importante, oso dire necessaria, tanto quanto alla sua prima pubblicazione.
Anche qui, dovere impone di segnalare due storie cardine in questo senso, dove a spiccare è l'animo di un uomo comune, che vede negli altri la stessa voglia di uguaglianza e diritti, con la prospettiva alla stessa altezza, mai dall'alto in basso: Diritto e Rovescio e Sciopero.
Un eroe controvoglia, solo ma perché la vita ha scelto così per lui, il cui "potere" è quello di avere il cuore al posto giusto, che gli permette di avere una sua morale e di cedere, con umanità, al sentimento, senza per questo suonare mai melenso o melodrammatico.
Due delle mie storie preferite sono Lily e il Cacciatore, il 25° numero, in cui i due fumettisti riescono a mischiare, con una poesia che ti si piazza nell'anima come solo i Capolavori sanno fare, "Il Richiamo della Foresta" con il mito Arturiano, sull'onda della dolcezza di una tenace cagnolina e di amarcord onirici per via della febbre e del dolore.
E l'altra è Casa Dolce Casa, il #30, dove dopo otto lunghi anni di assenza, e con il cuore gonfio di dolore e rimorso, il Nostro ritorna a trovare i genitori.
Già, una casa: Ken non ne ha mai avuto una, lui perennemente "on the road", un cowboy solitario lungo le strade di una nazione che gli ha insegnato che esiste più di una Legge. A quella degli Uomini corre in parallelo quella della Natura, a quella della Civiltà si affianca quella della Solitudine, in qualche modo "necessaria" per comprendere lo spirito di Ken.
Occasionalmente, gli autori gli regalano dei comprimari, dei "compagni di viaggio" che finiscono per rubargli il cuore, e altrettanto accade a noi che leggiamo, così come il palcoscenico, e lui felice di lasciarglielo calcare. Ken è quella figura che appare ai margini, non indossa nulla di sgargiante, eppure per noi diventa riconoscibile tra mille, lui che, sempre con immensa poesia (so che ho già usato questo termine, ma Ken Parker è proprio questo, un'ode peregrina lungo i sentieri del Western), vive nel suo Tempo e allo stesso momento se ne affranca, viaggiatore in perenne conflitto col Destino.
In fondo, il viaggio appartiene anche alla sua storia editoriale: dopo 59 numeri, infatti, la serie originale chiude. Non per mancanza di affetto da parte dei lettori, quanto piuttosto per volontà di chi lo ha creato, che preferisce una visione più autoriale per il personaggio, cosa che inevitabilmente la serrata periodicità non gli consente (difatti, a Milazzo, lungo la prima serie si avvicendano nomi come Carlo Ambrosini, Bruno Marraffa, Giancarlo Alessandrini, Renzo Calegari, Giovanni Cianti e Giorgio Trevisan, mentre Berardi potrà contare sul contributo di penne eccellenti come quelle di Alfredo Castelli e Maurizio Mantero).
Nuove storie di Ken arriveranno sulle pagine di Orient Express e Comic Art, per poi veder spuntare sugli scaffali la rivista Ken Parker Magazine, edita inizialmente da Parker Editore e poi "riportata all'ovile" da Sergio Bonelli.
Non mancano, nel corso degli anni, varie riedizioni delle storie di "Lungo Fucile", e qui ne segnalo, per ricordo personale e comodità, due in particolare: la "Collection" di Panini Comics, in un pratico formato tascabile, e l'era Mondadori Comics dove, tra ristampe in singoli albetti dei primi 59 numeri e riproposta a colori in volumoni di pregio delle avventure d'esordio, si impose la ristampa in 50 uscite di tutta la saga, con l'epilogo inedito.
Quella Fin Dove Arriva il Mattino, che segna la struggente, feroce e dolce conclusione dell'epopea di un personaggio dalle mille emozioni (e che di recente, Bonelli ha mandato in libreria e fumetteria in un tomo di pregio), con quel titolo preso da una poesia (vedete come questo termine non ci abbandona davvero mai?) di Emily Dickinson.
Prima di scrivere questo pezzo, mi son riletto quella storia, e mi è tornata alla mente una battuta dello stesso Ken, pronunciata in Casa Dolce Casa: «È un gran privilegio poter morire come si è vissuto, e lui lo meritava...».
E la storia, in autentico umano divenire, di Ken si chiude proprio così, con l'eroe che ci lascia così come ha vissuto, contemplando un mattino che ci appare infinito come l'orizzonte.
Son tempi in cui il digitale predomina, in cui i social fagocitano ogni nostro pensiero e lo intrappolano in hashtag, video di poco più di un sospiro e un desiderio malsano di urlarci sempre contro, come se il web fosse un vaso di Pandora di ogni nostra acrimonia.
Forse anche per questo ho scritto che rileggere Ken Parker oggi è qualcosa di necessario, qualcosa che ti rimette in pace con la voglia di non smettere mai di pensare e cercare.
Una necessità che immagino abbia colto anche il Sommo Audace e Rolando Veloci, che a partire proprio da quel primo albo, Lungo Fucile, e approfittando del nuovo appuntamento mensile in edicola con la ristampa di SBE, hanno deciso di dare vita ad una rubrica che, di volta in volta, analizzerà nel dettaglio l'episodio di turno, per riscoprire un personaggio meraviglioso: il titolo sarà Umana avventura.
Come si dice in questi casi: Non mancate!