Retrocomics 13 - Intervista a Clara Scarafia

Un dialogo sulla traduzione e sul processo di pubblicazione di un’opera nata in un’altra lingua


Nuovo appuntamento con Retrocomics. Questa volta si parla di traduzione, uno dei momenti più delicati dell’intero processo di pubblicazione di un’opera nata in un’altra lingua.

Parlo di questo e molto altro con Clara Scarafia, una traduttrice che ho “incontrato” nella lettura di Qualcuno in cui fare il nido, scritto da John Wiswell e pubblicato da Ne/oN Libri (qui il link).

Come sempre ho editato pochissimo le risposte di Clara per cercare di trasmettervi la sua voce. Iniziamo?
Iniziamo.

Partiamo dall’inizio: come si diventa traduttrici?
Quello della traduzione è uno di quei mestieri in cui non esiste un percorso univoco, purtroppo o per fortuna. Il mio è cominciato all’incirca due anni fa, quando ho conosciuto Chiara Reali a un evento letterario. In quel periodo avevo all’attivo diversi lavori di editing e copywriting e mi ero approcciata alla traduzione di brevi testi, soprattutto a fini commerciali. Avevo anche una discreta presenza sul web, Chiara mi aveva conosciuta per questo e vedendo la mia conoscenza dell’inglese e la passione per la scrittura, mi ha proposto di fare una prova di traduzione. Non partivo quindi del tutto digiuna, ma la collaborazione con Chiara e Zona42 è stata la mia prima esperienza nel mondo della traduzione di narrativa. La provenienza nel mondo della traduzione è la più disparata, in questi anni ho conosciuto moltissime persone che hanno studiato lingue e traduzione editoriale e sono poi approdate a una carriera a cui avevano già pensato per sé e chi come me viene da una buona conoscenza della lingua e una passione enorme per i libri e la lettura.
Quindi non c’è una risposta univoca, ma almeno per quanto riguarda la traduzione di narrativa per diventare traduttrici, oltre a conoscere la lingua, è fondamentale leggere tanto. Sembrerà banale, ma è la prima cosa che mi viene in mente quando si parla di traduzione; leggere tanto (e con tanto intendo il più possibile, compatibilmente con la propria quotidianità) nel tempo permette di assimilare una serie di elementi che mentre lavori a una traduzione ti si palesano quando ne hai più bisogno, oltre a semplificare il reperimento della “parola giusta”, quella che magari cerchi per giorni e all’improvviso ti colpisce in fronte perché l’hai letta una volta e in qualche modo la tua mente è riuscita a custodirla da qualche parte, pronta all’occorrenza.


Cosa ti piace del tuo lavoro e cosa non ti piace?
Sono molte le cose che mi piacciono e quelle che non mi piacciono hanno più a che fare con il sistema del lavoro freelance (oltre che con il sistema lavorativo tutto) che non con quello che faccio. Ovviamente mi piace il poter scendere direttamente all’interno del testo, trovare il modo di trasportarlo e renderlo fruibile, mi piace anche la pazienza e l’attenzione della ricerca dei vocaboli, il fatto che sia un lavoro all’interno del quale è possibile imparare continuamente (in autonomia ma anche lavorando con gli altri, ho imparato più da chi fa revisione che a scuola). Dal punto di vista puramente pratico trovo ottimo poter organizzare liberamente gli orari di lavoro, affinare progressivamente un programma che si incastri con gli altri lavori che porto avanti. Questo si unisce anche al poter lavorare in luoghi e tempi particolari, dato che necessito solo di un pc e di una connessione (poi arriva sempre un momento in cui cominci a desiderare alcuni supporti estremamente utili tipo una sedia che non ti distrugga la schiena quando stai ferma nello stesso posto diverse ore, ma potenzialmente il posto in cui sono non costituisce un impedimento).
I lati negativi li riscontro nella precarietà del mestiere, che coinvolge tutto ciò che fa parte della libera professione e dà poche garanzie. La libertà organizzativa a tratti è un’arma a doppio taglio, bisogna trovare un equilibrio, perché è un tipo di lavoro che porta con sé l’eventualità di non staccare mai, oltre che se hai tempistiche piuttosto strette devi sperare di non avere imprevisti che vadano a dilatare i tempi.
Dal punto di vista della traduzione editoriale ho avuto la fortuna di lavorare con realtà virtuose come Ne/oN e Zona42, dove non ho trovato la competizione spietata che ho sempre associato agli ambienti lavorativi, ma solo una grande cura e attenzione verso i libri pubblicati, e grazie a Chiara Reali ho preso parte a due gruppi di traduzione attivi su Discord dove è possibile trovare un costante confronto su tutte le questioni che ruotano attorno alla traduzione. Questo di certo aiuta a non sentirsi soli in un lavoro che solitario lo è per natura.


Come ti approcci ad ogni nuovo lavoro di traduzione?
Parto sempre da una prima lettura del testo dall’inizio alla fine. Questo per me è un momento fondamentale perché mi permette di comprendere il testo nella sua interezza, conoscere le tappe della trama e prendere appunti su varie questioni che torneranno a più riprese al suo interno. È un modo per non sentirmi disorientata e cominciare a tradurre già con il quadro generale ben in testa e per non dover fare grandi balzi avanti e indietro nel testo, rischiando di perdermi degli elementi cardine della storia. Inoltre mi capita spesso di approfondire il background dell’autor* e la sua produzione, sempre per avere delle informazioni contestuali che mi aiutino a inquadrare il testo.
Quando passo al momento di traduzione vera e propria il mio approccio diventa più tecnico, divido il lavoro in base alle tempistiche e dopo una prima stesura rileggo il testo tradotto dall’inizio alla fine e lo modifico ulteriormente.

L’avvento delle IA anche nel campo delle traduzioni ha apportato qualche cambiamento?
Nell’ambito della traduzione di narrativa al momento mi verrebbe da rispondere di no, nel senso che le IA non sono ancora in grado di generare un testo tradotto che mantenga la cura e le sfumature generate dall’intelligenza umana. È di certo un argomento abbastanza sentito e discusso nel mondo della traduzione, come in tutte quelle attività che vanno a toccare l’ambito della creatività. L’evoluzione è graduale e la minaccia concreta, essendo qualcosa che si sviluppa in relazione a quello che le viene dato in pasto però mi viene da chiedermi se effettivamente il suo sviluppo possa davvero raggiungere la capacità di elaborazione umana, anch’essa presentante dei limiti e influenzata dalla realtà in cui ha vissuto, ma che a me continua ad apparire come infinitamente più potenziale. Oltre che al di là della possibile eliminazione di una figura professionale per rendere la produzione di libri tradotti più rapida a fini di guadagno, in un’industria editoriale in cui vengono già prodotti “troppi” libri non vedo come tagliare sul fattore tempo e aumentare il fattore di stampa dei titoli possa portare a qualcosa di davvero utile e a un utile vero. Mi augurerei un taglio sulla quantità e un investimento sulla qualità, che è quello che vedo fare alle case editrici che apprezzo di più.


Visto il lavoro che fai, ti succede di leggere un libro tradotto in italiano e accorgerti che non è tradotto al meglio?
Devo dire che su questo sono fortunata, è da molti anni che non mi capita di leggere un libro e pensare che non sia tradotto nel modo migliore. Soprattutto quando ero ragazzina e cominciavo a leggere in modo consistente, acquistando libri che mi permettesse il budget limitato che avevo, mi capitava di acquistare soprattutto classici che non riuscivo a comprendere, perché le frasi mi sembravano proprio non avere senso! Quando ho letto Delitto e castigo di Dostoevskij per la prima volta continuavo a incagliarmi, all’inizio l’ho imputato alla mia scarsa conoscenza della letteratura russa e al mio probabilmente duro comprendonio, poi, acquistando un altro classico russo in un’edizione in buona traduzione, ho capito che il problema non ero io. Col tempo la capacità di valutare le traduzioni si affina, poi devo ammettere che leggendo molto in inglese negli ultimi dieci anni la maggior parte dei testi che ho letto in traduzione erano di lingue d’origine che non conosco. Mi ritengo fortunata per essere riuscita a schivare così a lungo traduzioni di scarso pregio e averne invece lette alcune che mi hanno addirittura spinta a ricercare il testo in originale perché la frase d’arrivo mi sembrava così brillante da volerne capire il ragionamento.

Consigli per chi è interessato a questo lavoro? Qualcosa che avresti voluto che ti dicessero all’inizio.
Come affermato in precedenza, consiglio di leggere il più possibile. Ma anche studiare tanto; non venendo dal mondo delle lingue quando ho cominciato a fare questo lavoro ho sentito la necessità di “mettermi in pari” e credo che arrivarci con una preparazione solida sulla lingua sia molto importante. Cercare poi di capire che ambito della traduzione interessa di più (romanzi, poesia, fumetti, videogiochi) e cercare di parlare con chi questo lavoro lo fa già.
Una cosa che avrei voluto che mi dicessero è che probabilmente il lavoro che farai, soprattutto all’inizio, non ti sembrerà mai abbastanza buono. Ogni revisione ti farà dire: “Ma come ho fatto a non pensarci!” Fino a qualche tempo fa avrei detto che magari sono solo io a pensarla così, ma ho scoperto che è un pensiero condiviso anche da persone che hanno più esperienza di me alle spalle. A questo aggiungo il fatto che ci sono giorni sì, giorni no e giorni meh, sebbene diverso dal terrore da pagina bianca di chi scrive di professione, la paura di incomunicabilità che vivi quando ti siedi al pc e non riesci a rendere il termine o la frase o il dialogo esattamente come lo percepisci nella lingua d’origine è davvero molto frustrante, stacca un attimo e vedrai che poi migliora. Essendo un lavoro in cui c’è sempre qualcosa da imparare è impossibile sentirsi “arrivati”, ma credo sia anche il suo bello.


Dato che siamo su Gli Audaci ti chiedo i tuoi tre fumetti preferiti.
Un tipo di fumetto a cui mi sono appassionata da bambina e che ha continuato ad accompagnarmi per tutta la vita è il manga. Fullmetal Alchemist di Hiromu Harakawa è il primo a cui mi sia affezionata. Ho amato l’ambientazione, il sistema alchemico, la scrittura dei personaggi. È stato il primo fumetto che mi ha spinta ad andare in fumetteria all’uscita dei volumi, volevo sapere come proseguiva e volevo sapere come si sarebbe conclusa la parabola di Edward e Alphonse.
Un altro dei miei fumetti preferiti è di certo la saga di Scott Pilgrim di Brian Lee O’Malley, per chi è chronically online come me basterà dire una frase per far accendere una spia: “If we're gonna date, you may have to defeat my seven evil exes”. In questa storia c’è tutto quello che mi faceva impazzire da ragazzina, la musica, le botte, le storie d’amore, la sensazione che niente e nessuno possa essere permanente e l’impressione che scappare sia sempre meglio che restare (che poi sono le stesse cose che mi fanno impazzire adesso).


L’ultimo fumetto che ho da consigliare è un’aggiunta più recente ai miei preferiti, ovvero Gatto Pernucci di Juta. Un volume autoconclusivo su un gatto azzurro a forma di cocomero, molto cool e dalla fama smisurata; Gatto Pernucci vive avventure di ogni genere e nel fumetto omonimo ci viene raccontata l’estate passata in campagna con una coppia di fidanzati. Gatto Pernucci è ovunque, anche quando purtroppo non è più con noi. Un personaggio monoespressione che è riuscito a scatenarmi una serie di emozioni intrise di una nostalgia (le sedie di plastica della pizzeria di paese, il gelato che non mi piace ma lo prendo lo stesso perché è rosa) e di un’euforia (aprire i pacchetti di figurine, trovare un sassolino iridescente che tende al lilla) che mi riportano ai lati più belli della mia infanzia.

Luca Frigerio

Post più popolari