Essere Gatto Pernucci

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Cos’è Gatto Pernucci? 

Un fumetto. Ma Gatto Pernucci o Gatto Pernucci fumetto? Razionalmente, Gatto Pernucci fumetto. E allora Gatto Pernucci cos’è? Come fa a non essere il fumetto che stiamo leggendo? Quindi Gatto Pernucci è un fumetto. Ma non è Gatto Pernucci fumetto. 

Dunque, che cos’è Gatto Pernucci?

Bisognerebbe parlarne per diverso tempo, perché se è appurato che Gatto Pernucci non sia una signora o una rockstar, non possiamo tuttavia escludere che sia una bestiaccia o un pomodoro; o un fumetto, naturalmente. Tutti esseri viventi, e già questa è una buona scrematura. Certo non tutti gli esseri viventi si sfogliano come Gatto Pernucci, che poi chissà se apprezza o meno il fatto di venir preso con due mani, pinzato dai polpastrelli, e aperto e chiuso, e aperto e richiuso; magari gli duole, o gli fa il solletico. 

Ma va’ a saperlo con quella espressione monocorde, senza voce, senz’arti: come ci è arrivato in libreria? Sappiamo che l’ha scritto e disegnato Juta, che l’ha pubblicato Coconino Press. Ma ciò comunque non risponde alle nostre domande.

Un’affermazione che potremmo fare con relativa sicurezza è che Gatto Pernucci sia un guscio, un contenitore. Vuoto o meno, questo è difficile da stabilire. Però in effetti qualcosa dentro c’è, peserà quanto…? 500 grammi? E vuoi che il vuoto pesi mezzo chilo? Certo, a meno che non sia un vuoto simbolico, e in questo caso la questione si complica. E se Gatto Pernucci fosse un simbolo? Da accertare.

In ogni caso, siamo abbastanza convincenti con la storia del contenitore. È in effetti coerente con le ipotesi di cui sopra: una bestiaccia contiene degli organi, un pomodoro un sacco di vitamine; un fumetto un sacco di vignette, un sacco di idee. Ed è questo che rende Gatto Pernucci speciale. Come ha detto lo stesso Ratigher (papà della collana Brick, cui Gatto Pernucci appartiene, confermandoci che non sia una collana), qui «ci sono così tante idee da farci 37 libri»: come dargli torto.

Impugnato Gatto Pernucci, è lampante come la peluria di una bestiaccia azzurra la sensazione che per le mani si abbia un qualche cosa che respira, o, piuttosto, che se volesse o potesse avrebbe il potenziale di respirare: è la dote mistica di Gatto Pernucci – fumetto o Gatto Pernucci? – quella di essere vivo senza sembrarlo, di inveterare una presenza che cammina in tralice tra la subcoscienza e il mondo reale, dentro e fuori la diegesi, com’è capace di fare un’urna, un genio nella lampada che è sia genio che lampada, un idolo.

Presenza che prende forma dentro la grammatica brillante e disinvolta delle vignette, a loro volta grammatiche delle idee che guidano sulle autostrade bianche che le collegano, come scosse sinaptiche di una materia grigia in funzione: vita, seppur latente. Certo, va detto che le idee spesso portano con sé sfoggio (non ci si poteva aspettare il contrario da Gatto Pernucci, che un po’ vanitoso lo è), e che in pochi sfuggevoli momenti l’esibizione vada un po’ oltre Gatto Pernucci; ma glielo si perdona, perché chi non lo farebbe se fosse Gatto Pernucci?

Anche perché mica dev’essere facile essere Gatto Pernucci. Tutti ti vogliono, tutti ti amano; sei circoscritto all’amore della gente, alle sue lacrime; sei costretto a guardare da fuori tutta questa vita manifesta, quest’energia confluita, mentre tu dondoli in un’ambiguità perpetua e sospesa, priva di balloon ed elusiva come l’anamnesi che l’ultima parte rimasta di un pastello consumato comporta, dentro a un limbo dove esistere a un livello inquietantemente superiore rispetto alla rassicurante oggettificazione ma comunque inferiore rispetto all’esistenza manifesta.

Detto in parole povere, a essere un feticcio.

E chi lo sa se prima Gatto Pernucci esistesse veramente o non esistesse per niente. O se esista a priori, sempre, in derivazioni infinite. Sta di fatto che ora Gatto Pernucci è Gatto Pernucci, la gente lo imbraccia e lo bacia, lo legge, lo chiama, lo sfama, lo ama.

E, giunti a questo punto, lui non può far altro che lasciare alla gente almeno questa speranza, come un eletto sacrificarsi incanalando dentro di sé l’incapacità dell’uomo di superare lo stadio inautentico della vita e – pur esistendo, pur mangiando gli spaghetti al sugo, pur guidando la moto, pur morendo – elevarsi a statuto ontico di questo mondo: esistere empiricamente, la peggiore delle maledizioni.

Ecco che allora quel corpo dalle interiora intraducibili, quel contenitore, è pieno zeppo; oppure proprio per questo è vuoto? Forse dipende da cosa vi inseriamo noi. Certo è un gioco potenzialmente infinito.

Per questo non possiamo chiederci: “Gatto Pernucci è un fumetto?”. Perché non ne avremo mai la certezza.

Possiamo dire, senza paura di smentita, per lo meno che Gatto Pernucci è? Neanche, o almeno non del tutto.

Cosa resta allora?

Gatto Pernucci.

Japo Corradini




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