“Alla fine l'erba cresce e si porta via tutto” - Intervista a Daniele Kong
Chi sono le Bestie in fuga di Daniele Kong? Da cosa scappano? Ce lo racconta l’autore in una lunga intervista
Anni '50. A Dieci, una sperduta isola del Tirreno, la vita continua a scorrere come ha sempre fatto. Questo, almeno, fino all'arrivo di Augusto e della sua troupe cinematografica. Non sono gli unici, però, a sbarcare sull'isola. Assieme a loro il “progresso”, o almeno quello che ci è sempre piaciuto definire tale. Tutto è destinato a cambiare, e in peggio. È l’inizio di quel processo che ha snaturato il nostro Paese. È l’inizio della società dei desideri.
Daniele Kong dipinge, con Dieci, un affresco dell’Italia di allora come di oggi, pescando a piene mani da quel cinema che tanto fu capace non solo di fotografare un Paese, ma anche, purtroppo, di predirne il futuro.
Nel candidarlo all’edizione 2025 del Premio Strega, Simonetta Sciandivasci (scrittrice e giornalista per il quotidiano La Stampa) usa queste parole:
«Ci chiediamo come mai nelle società del benessere si soffra così tanto, e questo è un romanzo che risponde, e nel rispondere racconta una storia seppellita, che è di tutti, è nelle nostre famiglie, nel DNA di questo Paese che è un collage di soprusi e di dialetti, che in questa storia sono centrali, e sono tre, anzi quattro: c'è anche l'italiano.»
Come non essere d'accordo?
Ciao Daniele, grazie mille per essere qui. Partirei con una domanda semplice: raccontami la genesi di Bestie in fuga e come sei arrivato a proporre il tuo lavoro a Coconino Press mediante la loro call per i nuovi progetti.
Dietro Bestie in fuga c’è effettivamente una storia molto lunga. L’arrivo a Coconino Press è lo step finale di un lavoro cominciato molti anni fa. Devi sapere che io sono un architetto e, dunque, ho realizzato il libro nei ritagli di tempo: la sera dopo le sei e mezza, nel fine settimana, in estate. Più precisamente: quando i cantieri si fermavano. Inizialmente ci sono stati contatti con altre case editrici, assieme alle quali avevo cominciato a lavorare sul fumetto, ma la storia era decisamente diversa da quella che hai avuto modo di leggere. Avevo appena cominciato a capire di cosa avrei voluto veramente parlare. Tutto era ancora in divenire, in costruzione: dovevo capirmi meglio, soprattutto dal punto di vista del linguaggio da adottare. Ho avuto bisogno di lavorare, sbagliare e buttare tanto, di ricominciare molte volte per riuscire, finalmente, a trovare la quadra. Questo perché, se è vero che mi sono sempre divertito a disegnare, a realizzare fumetti brevi senza pretese, non l’ho mai fatto con una frequenza tale che mi permettesse di avere un linguaggio già rodato, profondo, che mi lasciasse soddisfatto. Prima di Bestie in fuga avevo lavorato principalmente come illustratore per band, piuttosto che come fumettista. Quando però uscì la prima call di Coconino Press, essendo la mia casa editrice di riferimento per quanto concerne i fumetti, ho deciso di proporre il progetto. Nonostante fosse un periodo in cui ero pieno di lavoro, sono riuscito a mettere insieme tutti i pezzi e, proprio l’ultimo giorno disponibile, a venti minuti dalla mezzanotte, a inviare la cartella con quanto richiesto. Un'operazione last minute che, fortunatamente, è andata bene. Loro mi hanno poi richiamato: erano molto entusiasti e desiderosi di fare questo libro. Da quel momento è cominciata una cavalcata che è durata altri tre anni, un periodo in cui sono cresciuto molto e che per me è stato quasi come frequentare un’accademia. Posso dire di aver imparato a scrivere e disegnare fumetti proprio facendo questo libro assieme a loro: è stata un’occasione importantissima, anche come esperienza formativa, la più importante della mia vita, che non è arrivata in tenera età, ma per fortuna è arrivata.
Riguardo alla tua professione, colgo l’occasione per farti una domanda che ho in testa da tempo, ormai. Trovo veramente curioso quanti fumettisti siano (o siano stati) architetti. Tu sei solo l’ultimo di una lunga serie, che è sicuramente destinata ad aumentare. Perché, secondo te, il mondo dell’architettura è così affine a quello della nona arte?
Mi è capitato di parlarne diverse volte durante la presentazione del mio libro, perché è una cosa che incuriosisce e diverte noi in primis. Con Ratigher, scherzando, si discuteva che forse converrebbe fare il recruiting dei fumettisti nelle facoltà di architettura. Effettivamente, anche solo guardando gli autori editi da Coconino Press, siamo tanti: io, Roberto Grossi, Manuele Fior, Enrico Pinto…
Sì, infatti stavo proprio pensando a quanto sia curioso che, anche solo concentrandosi sulla prima call di Coconino Press, tra i selezionati che hanno visto il proprio fumetto pubblicato, ci siano proprio due architetti: tu ed Enrico Pinto, con Lo Schermo Bianco.
Potremmo pensare di aprire uno studio di architettura associato alla Coconino Press (ride, ndr). A parte gli scherzi, dopo averci pensato, sono arrivato a una conclusione: l’architettura, così come il fumetto, sono arti di frontiera, in cui convergono sia aspetti umanistici che tecnico-scientifici. Nello specifico, la progettualità architettonica, sotto diversi aspetti, ricorda molto quella di un fumetto, per quanto le premesse e i traguardi siano, ovviamente, totalmente differenti. Nell’architettura c’è una dimensione strutturale e funzionale, che potremmo paragonare all’aspetto puramente tecnico delle impalcature grafiche che permettono la comunicabilità di un fumetto. Allo stesso modo, però, c’è anche un attento studio sul linguaggio delle forme, anche, se non soprattutto, in base al luogo in cui poi si andrà a lavorare, che si porta dietro un suo bagaglio storico e culturale. Allo stesso modo, la tecnica grafica nel fumetto deve “piegarsi” alla narrazione, a cosa, e a come, si decide di raccontare. Credo che sia questa commistione di componenti, che dall’esterno potrebbe quasi sembrare una contraddizione, a rendere così affini questi mondi.
Bestie in fuga è stato candidato alla 78esima edizione del Premio Strega. Si tratta di una notizia, senza mezzi termini, incredibile, sia perché si tratta di un esordio, sia perché, soprattutto, è un fumetto. Il tuo nome si aggiunge a una cerchia ristrettissima di fumettisti candidati che include Gipi, Zerocalcare, Zuzu e la coppia composta da Fabio Izzo e Valerio Gaglione. Quella che ti sto per fare è una domanda banale, ma credo sia giusto farla. Come ti sei sentito quando hai appreso la notizia? L'hai scoperta assieme a tutti noi oppure sei stato informato in precedenza?
Sono stato informato qualche settimana prima rispetto all’annuncio. Ricordo molto bene il momento: stavo decalcificando la macchinetta del caffè! Ti spiego: quando chi di dovere decide di proporre un titolo per il Premio Strega, vieni chiamato proprio dalla persona che ha intenzione di candidarti per sapere se sei disposto ad accettare o meno. Così mi è arrivata la telefonata di Simonetta in cui mi ha comunicato come, secondo lei, Bestie in fuga fosse meritorio. Come ci sono rimasto? Come un autore che esordisce a 40 anni e a cui, dopo tre mesi, viene proposta una cosa del genere! È stato tutto così assurdo che faccio ancora fatica a realizzarlo. Non smetterò mai di ringraziarla, sia per l’apprezzamento che per il coraggio di proporre qualcosa decisamente fuori dalle logiche del Premio Strega.
Parliamo dunque di Bestie in fuga. Partirei da Dieci, l’isola in cui ambienti la storia e, a mio parere, protagonista assoluta del tuo libro: uno specchio, uno spaccato dell'Italia e della sua storia, dal dopoguerra al boom economico, fino ai giorni nostri, passando per gli anni di piombo. Raccontami come e dove nasce Dieci, se viene prima lei o i personaggi della tua storia.
Quando ero piccolo, a dieci o undici anni, ho passato un’estate intera in un faro, a Procida. Tre mesi che, nella testa di un bambino, diventano un'avventura, un'epopea. Vivere su un’isola, per me che venivo dalla città, è stata un'esperienza magica. Non saprei come altro descrivere quel luogo. Da quel momento in poi, sono sempre stato affascinato dalle isole. Isole che, riflettendo molto, sono giunto a considerare come una metafora perfetta per la condizione umana. Se ci pensi bene, dopotutto, altro non sono che una versione della Terra in piccolo, in miniatura. Così, piano piano che la storia prendeva forma, assieme alle tematiche che volevo raccontare, mi sono reso conto che avevo bisogno di un sistema chiuso, isolato. Cosa, dunque, meglio di un’isola, soprattutto per quegli anni, legata alle sue tradizioni secolari? Era il luogo perfetto per raccontare i miei personaggi, per fare prendere forma agli eventi.
Dieci viene dopo, dunque, come necessità.
Sì, esattamente. Quando scrivo, parto sempre dai personaggi. Anche ora che sono al lavoro su nuovi progetti, mi sto focalizzando prima di tutto sul delinearli al meglio. Questo perché sono da sempre legato alle storie che raccontano spaccati di vita, che analizzano la natura umana in profondità, prima di tutto, come lettore e spettatore. Mi piacciono le storie non tanto ricche di eventi e di azione, ma quelle in cui l’umanità viene sviscerata, scandagliata a fondo. Proprio per questo, quando scrivo, parto innanzitutto da una pianificazione molto approfondita dei personaggi. Considera che in Bestie in fuga non sono nemmeno riuscito a raccontare tutto ciò che avevo in mente su di loro, non essendoci stata l’occasione. Erano stati approfonditi molto anche nelle parti di vita precedenti e successive rispetto a ciò che si vede nel libro. Solo in secondo luogo inizio a concepire e assemblare gli eventi, a costruire la storia, e lo faccio con un obiettivo in mente: stuzzicare le singole caratteristiche dei miei personaggi.
Proprio riguardo ai personaggi, ho diverse cose da chiederti. Bestie in fuga, per essere un esordio, è decisamente un fumetto complesso e articolato. Ciò che stupisce maggiormente non è tanto la quantità di personaggi in gioco, quanto la maestria con cui li gestisci, li orchestri. Ognuno ha un suo peso e si fa portavoce di un'idea, un'ideologia o comunque di un modo di vivere e di pensare. Come sei arrivato a definire il “cast” della tua storia? Ma soprattutto: da chi sei partito? Quali sono quelli che hai delineato prima e attorno ai quali hai costruito gli altri?
Avrei molta difficoltà a costruire una scansione temporale della stesura dei personaggi di Bestie in fuga. Francamente, sono venuti coralmente. Questo perché avevo intenzione, fin da subito, di raccontare determinate personalità. Detto ciò, i due fratellastri, Franco e Marcello, sono i primi personaggi a cui ho pensato. Tra l’altro, a proposito di come le cose siano cambiate radicalmente nel corso della realizzazione del fumetto, li avevo inizialmente concepiti come adulti, e il tutto doveva partire con loro che, dopo essersi rincontrati, iniziavano a ricordare la loro infanzia sull’isola. A parte questo, mano a mano che scrivevo le varie personalità e gli eventi, mi rendevo conto che ci sarebbe stato bisogno di un alleato, di una controparte e così via, per rappresentare al meglio le tematiche che stavo affrontando all’interno della narrazione. In questo modo, coralmente, ho creato tutti i personaggi di Bestie in fuga.
Tra tutti gli abitanti di Dieci, i miei preferiti sono il postino, Aucelluzz’, e la sorellina di Franco e Marcello, Ninetta. Il primo l'ho trovato una splendida rappresentazione di un “sogno mai concretizzato”, mentre la seconda, nel suo essere tagliente e diretta, si fa spesso quasi portavoce di verità troppo scomode per poter essere dette dagli adulti. Mi racconti qualcosa in più di loro?
Assolutamente. Come ti raccontavo prima, la scrittura dei personaggi è stata un’epopea. La nascita di Ninetta, per come poi è caratterizzata nel libro, è stata una svolta che ho percepito a narrazione già avanzata. Questi accenni di comprensione così assoluta delle cose che le succedevano intorno sono una cosa che ho messo a fuoco col tempo. Quando poi ho sentito che continuava a parlarmi in testa in quella maniera, sono andato a modificare il personaggio, che inizialmente era una bambina, come dire, più canonica. Mi interessava molto farla apparire quasi come una creatura soprannaturale, come se fosse colei a “essere uscita per prima dalla caverna di Platone”. Sotto certi aspetti, è un personaggio insopportabile. D’altro canto, non si può fare a meno di affezionarsi a lei, perché, dopo tutto, è anche una bambina che abbraccia quella grande solitudine che la sua intelligenza porta. Mi sembrava molto divertente creare questa contraddizione: un personaggio che risulta assolutamente antipatico agli isolani ma che, tendenzialmente, è molto apprezzato dal lettore. Per quanto riguarda invece Aucelluzz’, chiaramente, non si può che volergli un gran bene. Anarchico, utopista, passa la sua vita all’opposizione, senza venire mai accettato e compreso da nessuno. Un tema assolutamente contemporaneo, dove l'ideologia viene considerata un retaggio del passato, in un mondo dominato da una pseudo ragion pratica, quella che Mark Fisher chiamava “il realismo capitalista”. Aucelluzz’ rappresenta, se vogliamo, il tentativo di tenere viva l’ideologia.
Un tentativo che, nonostante tutto, si rivelerà fallimentare. In questo, nel suo rimanere sempre all'opposizione, come hai ben detto tu, è impossibile non vedere nel personaggio di Aucelluzz’ uno specchio di tutta quella parte politica facente capo al PCI, che mai riuscì a governare durante il periodo della Prima Repubblica.
Si, assolutamente.
Sempre parlando di questi due personaggi, Aucelluzz’ e Ninetta, ho trovato molto curioso come tu li abbia scelti per interpretare il ruolo di Gesù nel film che Augusto, regista neorealista fallito, finisce per girare a Dieci, dal titolo Un Giuda dalla Volta. Ti voglio chiedere, innanzitutto, perché hai scelto di far dirigere ad Augusto un film su Gesù in un'isola che, tra l'altro, quasi si potrebbe definire tribale, dove la religione stessa sembra essere importata da fuori assieme ai lustrini del boom economico. In secondo luogo, perché hai scelto proprio Aucelluzz’ e Ninetta per interpretare il Messia?
Ciò che dici è la conseguenza di quello che ti ho raccontato prima su come ho concepito il libro a partire dai personaggi. Avendo scritto Augusto come un regista neorealista, ex comunista, in piena crisi lavorativa, credo che non ci sia niente di più avvilente, per un personaggio del genere, che essere costretto a girare un film a sfondo religioso. Un qualcosa che, per un comunista in quegli anni, sarebbe stato deprecabile. Non devi, ovviamente, immaginarti un film imponente come La Passione di Cristo di Mel Gibson. Quella di Augusto sarebbe stata, sì, una pellicola sulla vita di Gesù, ma comunque girata in Italia negli anni '50, in piena era democristiana. Per esaltare la tragicità del personaggio, ho dunque pensato che non ci fosse niente di meglio che costringerlo a girare un film di cui non era assolutamente convinto, non solo per quanto riguarda la realizzazione, ma anche per il tema, per quello che sarebbe stato il prodotto finale. Per quanto riguarda invece la scelta di Aucelluzz’ e Ninetta per interpretare Gesù, lei da bambina e lui da adulto, è una decisione che è venuta fuori in maniera naturale mentre scrivevo la storia. Inizialmente avevo chiaro in testa che avrei voluto un partigiano, un personaggio con una storia di resistenza, anche di violenza, alle spalle, per interpretare il Messia. Quando ho finito di scrivere il personaggio di Aucelluzz’, mi è sembrato inevitabile che sarebbe stato lui a interpretare il Gesù del film di Augusto, che in realtà si rivelerà essere un messia particolare, visto che non muore. È un Gesù che non viene ascoltato, perdente proprio perché non morente. Tutti questi participi presenti (ride, ndr) per dirti che il Gesù di Augusto mi sembrava la perfetta personificazione di tutto quello che Aucelluzz’ già rappresentava. Una scelta, dunque, che mi è tornata utile sia banalmente per ragioni di racconto, sia per rendere ancora più evidente ciò che il personaggio di Aucelluzz’ incarna all’interno del libro.
Rimanendo sul film in questione, o meglio, sul cinema, è proprio quest'ultimo che travolge e stravolge la vita degli abitanti di Dieci. L'arrivo di Augusto, degli attori, delle maestranze, cambia tutto, perché col cinema sbarca sull'isola anche la speranza di un futuro più prospero, più ricco. C'è qualcuno che addirittura sogna di fare di Dieci la nuova Capri. Voglio chiederti: perché hai scelto proprio il cinema come mezzo per far scoprire Dieci al mondo e per far arrivare sull’isola i lustrini del boom economico?
Ho scelto il cinema perché lo considero uno dei pochi linguaggi in grado di scombussolare radicalmente l’economia di una comunità. Oggi come ieri, il mercato dell’intrattenimento è capace di sconvolgere totalmente contesti che non sono pronti a riceverlo. Basta guardare i recenti avvenimenti in cui influencer con grande seguito riescono, anche solo con un paio di post su una location turistica, a creare un putiferio. Non mi riferisco solo a ciò che è accaduto a Roccaraso, che poi, tra l’altro, è stato strumentalizzato per alimentare un regionalismo becero che, francamente, non comprendo. Cose del genere capitano ovunque, anche sulle Dolomiti. L'intrattenimento, ancora oggi, è un linguaggio che ha la possibilità di entrare immediatamente nella vita delle persone, di influire e modificare la quotidianità. All'epoca, ovviamente, non c'erano i social network, ma c'era il cinema. Era la settima arte il linguaggio per eccellenza che riusciva a spostare le masse, i gusti, i pensieri. Io volevo che Dieci andasse incontro a un cambiamento radicale. Per ottenere ciò, mi serviva un evento in grado di generare un’attenzione sufficiente a modificare un’isola intera, non una sola famiglia o, comunque, un piccolo contesto umano. Per fare questo, il cinema mi è sembrato il linguaggio più adatto.
Volendo chiudere sui personaggi, non posso non farti una domanda sui pescatori. Tra le tante intuizioni narrative che Bestie in fuga contiene, quella di tenerne all’oscuro il volto, fino alla fine almeno, disegnandoli in silhouette nera, l’ho trovata geniale. Come ti è venuta in mente e perché hai optato per tale scelta? L’avevi ben chiara fin da subito? A quale esigenza narrativa ha risposto?
L’avevo ben chiara fin da subito. Ho pensato che fosse una scelta interessante, soprattutto tenendo conto da che punto di vista viene raccontata la storia: quello di Franco. Un outsider dell’isola, una persona che si sente scollegata dall’ambiente e dalla società in cui cresce, di cui i pescatori sono la rappresentazione ultima. In Franco loro vedono un reietto, un privilegiato, incapace e inadatto al lavoro pesante in mare. Un ragazzo taciturno, solitario, ossessionato da libri, fogli e penne: un mondo che i pescatori non capiscono e che, di conseguenza, guardano con pregiudizio. Allo stesso modo, però, mi sembrava interessante anche mostrare il pregiudizio con cui Franco guarda il mondo dei pescatori. Quale miglior modo per rappresentarlo, se non quello di non mostrare i loro volti? Facendoli, di fatto, tutti uguali? Sagome nere, senza vere e proprie personalità distinte. Tutti condannati allo stesso destino, tagliati con l’accetta secondo credi e tradizioni familiari, legati a doppio filo a quella vita e quel lavoro. Ciò che mi interessava era mostrare le due facce del pregiudizio.
Bestie in fuga affronta tanti temi scottanti: dal turismo di massa alla critica di una società che crea sogni e modelli insostenibili. Nel farlo, non ha nessuna morale da imporre, ed è questo, secondo me, il principale pregio del tuo libro. Ciò che c’era prima del boom economico viene mostrato anche nei suoi lati più oscuri, più ingiusti. D’altro canto, anche il “progresso” ha le sue ombre, ma soprattutto sembra inarrestabile: nemmeno il terrorismo, seppur rallentandolo, lo fermerà. Un progresso che lascia indietro chi non vive per progredire. Soluzioni, ieri come oggi, a tutto questo non ne abbiamo, anche perché, citando la fine del tuo libro, “alla fine l’erba cresce e si porta via tutto”. C’è però, tra tutti, un personaggio che incarna al meglio la tua visione del mondo? E se sì, chi è?
È una bella domanda (ride, ndr). Essendo io, fondamentalmente, un idealista, sono estremamente legato alla visione di Aucelluzz’. Detto ciò, capisco che ci sono certe dinamiche nella vita che, per quanto possano declinarsi diversamente, hanno la stessa forma. Non voglio sembrare passivo, ma il finale di Bestie in fuga l’ho scritto proprio perché, in fondo, credo anche in quello, o meglio, mi rassegno al fatto che ci sia una sorta di necessità di inseguire una sopravvivenza nella società dei consumi che impone ritmi serrati, che non concedono concezioni critiche del sistema poiché considerate sempre e comunque utopistiche. Onestamente, non saprei come esprimermi al meglio senza risultare generalista. Sono temi molto complessi e proprio per questo è difficile scriverne. Il rischio di redigere un manifesto è sempre dietro l’angolo, cosa che non era assolutamente mia intenzione, così come non volevo dare lezioni di vita a nessuno. Probabilmente, ti ripeto, visto anche il mio passato, sono inevitabilmente molto legato alla figura di Aucelluzz’ e alla sua idea di mettersi sempre in trincea per provare, quanto più possibile, a evitare che determinate forme di potere modifichino in maniera negativa la vita delle persone. Dentro di me, però, ho anche la consapevolezza che lo sviluppo delle vite può prescindere anche dalle giustizie e ingiustizie della vita.
In Bestie in fuga, seppur non sia il tema principale, dedichi del tempo anche a riflettere sull’arte e sul suo scopo. Lo fai attraverso il protagonista e due personaggi che incontra, due registi diametralmente opposti: da una parte Augusto, il neorealista, e dall’altra Sagramola, regista di soap opera. Franco sembra preferire lavorare con il primo piuttosto che con il secondo. Crede poco alla funzione “sociale” dei lavori di Sagramola. Dopotutto, “A Dieci mica lo sapevamo di essere poveri prima che Tito si comprasse il televisore”. Sei d’accordo con il tuo protagonista?
Francamente? Sì, sono d'accordo (ride, ndr). Non vorrei lanciarmi a fondo nei miei pensieri politici, anche perché non è il mio mestiere. Detto ciò, io credo molto nella generazione dei desideri e, quindi, nel senso di inadeguatezza che si crea conseguentemente nelle persone. Soprattutto in quegli anni, secondo me, non eravamo neanche pronti mentalmente. Non eravamo sufficientemente maturi per capire le lusinghe di un certo tipo di mercato e i danni a lungo termine che avrebbe poi causato. Oggigiorno c’è una coscienza diffusa a riguardo, anche se, su questo, si aprirebbero mille parentesi che qui sarebbe difficile, se non impossibile, sviscerare senza risultare banali o retorici. Tutto andrebbe sempre contestualizzato, poiché la realtà di oggi è molto più frammentata e complessa. Quantomeno abbiamo una maggiore consapevolezza della pericolosità della società dei desideri. Siamo più “sgamati”, come si dice a Roma, più strutturati per comprendere determinate dinamiche, ma non sempre, non in tutti gli ambienti e in tutte le circostanze. A volte questi pensieri generano nelle persone una coscienza politica. Altre volte, invece, generano soltanto insoddisfazione, odio e rabbia, che finiscono per essere scaricate su obiettivi che sono all’opposto di quelli che, invece, dovrebbero riceverle. Si tratta di tematiche molto complesse e difficili da sviscerare, e per questo mi sembra giusto lasciare la discussione a chi è più titolato del sottoscritto. Detto ciò, sì, credo molto nella frase di Franco, soprattutto in quel periodo storico, in cui tutto stava prendendo forma e la relazione tra le persone e le merci, gli oggetti, stava soppiantando i rapporti umani veri e propri, trasformando completamente i desideri delle persone.
Proprio riguardo al periodo storico in cui è ambientato Bestie in fuga, in questo fumetto si respira tanto cinema italiano: dal neorealismo alla commedia all’italiana. Ci ho trovato molti ragionamenti che ho potuto sentire o leggere nelle parole di Pasolini, anche se, per gli intenti, mi ha ricordato, seppur si tratti di una storia molto diversa, Il Sorpasso di Dino Risi. Un grande film in cui il regista, quasi come un profeta, aveva già perfettamente capito cosa si nascondeva dietro quel futuro che sembrava così roseo. Dal cinema al fumetto, mi racconti quali sono state le tue ispirazioni?
Guarda, c'hai preso alla grande. Più che col neorealismo, come effettivamente hai notato, ho un legame fortissimo con la commedia all'italiana, in particolare quella degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta: Dino Risi, Ettore Scola, Mario Monicelli, per farti alcuni nomi. Quel modo di raccontare la realtà, caustico ma anche, in fondo, amorevole, mi ha influenzato molto, ma devo dire che è un qualcosa che caratterizza non solo la mia narrazione, ma proprio la mia vita. Non è che, siccome ho scelto di realizzare un fumetto ambientato in quel periodo storico, sono andato a prendere materiale dal cinema di allora. Come ti ho appena detto, fa parte di me. Ho avuto la fortuna di avere un padre che registrava tantissimi film quando ero molto giovane. Tra tutti, il modo in cui la commedia all’italiana raccontava l’umanità è quello che, negli anni, mi ha colpito e influenzato di più. Sono contento che si intraveda leggendo il libro. Per quanto riguarda i fumetti, invece, sinceramente avrei difficoltà a dirti a chi mi sono maggiormente ispirato, perché, come ti ho raccontato in precedenza, realizzare questo libro con Coconino Press è stato letteralmente un apprendistato. Nel mentre, non ho avuto molto tempo per cercare riferimenti. Ho sbattuto la testa sul tavolo, facendo e rifacendo all’infinito, fino ad arrivare al risultato che hai avuto modo di leggere. Detto ciò, la ragione per cui mi sono deciso a fare fumetti, che me li ha fatti apprezzare come mezzo di comunicazione, è da ritrovarsi nei lavori dei grandi nomi del fumetto italiano, Gipi in primis. L’aver scoperto quanto i fumetti potessero essere una porta per costruire mondi e universi paralleli, con costi veramente esigui rispetto, ad esempio, al cinema, senza dover passare per produttori, registi, direttori della fotografia, attori e via discorrendo, mi ha affascinato moltissimo. A loro va il merito di avermi fatto scoprire la potenza del medium, nonostante la sua "miseria". Devo dire che non sono mai stato un grande lettore di fumetti stranieri, ma non per motivi identitari, che proprio non avrebbero nulla a che vedere con me, quanto piuttosto perché sono affascinato da storie di persone che posso vedere con i miei occhi. I racconti di Gipi della sua periferia, seppure si parli di anni e contesti diversi, presentano lo stesso isolamento, quel tipo di amicizia, come ti posso dire, stretta quanto selvaggia, cruda, che poi è la stessa cosa che raccontava anche Pazienza, che ho vissuto anch'io. In quelle cose vedo me stesso, ciò che mi è successo e ciò che mi sta intorno. Forse è per questo che, al contrario, non sono mai stato affascinato dal fumetto fantasy o di fantascienza, anche se devo dire che conservo ancora oggi un forte legame con i primi volumi di Dylan Dog. Quelle ambientazioni notturne, quei silenzi, quelle finestre illuminate nella Londra deserta: l'indagatore dell'incubo è stato tra i primi a mostrarmi l'enorme potenziale del fumetto. Infine, non posso non menzionare l’importanza che ha avuto Altan. Sono stati loro a far nascere in me la passione per il fumetto, dalla quale poi è nata la voglia di sbattere la testa, di sbagliare e sbagliare, migliaia di volte. Il vedere cosa erano in grado di fare partendo solamente da una penna e un foglio: quella è stata la vera ispirazione. Il trucco sta tutto qua: innamorarsi di un’arte, al di là di quanto uno sia portato o meno a fare una determinata cosa. Continuare ad avere la voglia di fare e rifare, accettando i propri errori, fino ad arrivare a un risultato di cui si è minimamente soddisfatti. Questa, secondo me, è la vera ispirazione, piuttosto che tentare di copiare come utilizza l’acquerello Gipi, come fa le anatomie Pazienza, come inchiostra o lettera Altan.
A proposito di questo, dello sbagliare, direi che è giunto il tempo di parlare proprio dello stile di disegno di Bestie in fuga. Andando a guardare i tuoi lavori precedenti come illustratore, ho notato che hai optato per uno stile diverso, dal tratto rapido, immediato, affiancato a un ampio uso delle campiture nere, che, a mio avviso, accompagna perfettamente la storia che vai a raccontare. Come sei arrivato allo stile definitivo? Quanti e quali step hai affrontato per giungere a questa sintesi, visto anche il grande lavoro di revisione di cui mi hai parlato?
Gran parte del lavoro di revisione ha riguardato proprio l’aspetto grafico. Nello scrivere i personaggi, gli eventi, i dialoghi, mi sono sempre sentito più sicuro, a mio agio, anche se, per quanto riguarda questi ultimi, ho avuto i miei periodi bui, nei quali a volte mi sono domandato, letteralmente, che cosa diavolo stessi facendo. Anche in questo caso c’è stato un processo che definirei ossessivo-compulsivo di scrittura e riscrittura, fino a quando, fortunatamente, sono riuscito a trovare la quadra. Tornando invece alla ricerca grafica, sì, come hai giustamente osservato, il mio stile sarebbe molto diverso rispetto a quello che hai avuto modo di vedere in Bestie in fuga. Ciò che più mi ha messo in difficoltà è stato riuscire a trovare il giusto equilibrio tra la quantità di linee, di neri, di bianchi e il testo scritto, soprattutto all’inizio. Non avendo alle spalle nessuna preparazione accademica, o comunque un percorso di studi artistico, non ho una mano che mi permette di fare ciò che voglio e come lo voglio. Mi ritengo un discreto disegnatore, sì, ma non ho di certo quella tecnica, quella maestria, quella pulizia che riesci ad acquisire grazie a degli studi accademici. Detto ciò, sono cresciuto nell’immaginario punk, quindi per me non è assolutamente una tragedia, anzi. Come ti ho detto prima, il mio scopo era principalmente trovare l’equilibrio giusto. Che il mio stile, i miei disegni, fossero “belli” mi interessava fino a un certo punto. La mia ricerca si è focalizzata su un disegno gestuale, all’impronta, che in realtà richiederebbe anch’esso un importante studio a monte, ma, purtroppo, il tempo nella vita non è illimitato. A un certo punto bisogna prendere il toro per le corna e fare delle scelte, adattandosi al livello qualitativo che si ha, per riuscire a tirare fuori un disegno, uno stile che sia un mezzo e non lo scopo finale del tutto. Questa, per me, era la cosa più importante: riuscire a essere chiaro, soprattutto nell’espressività dei personaggi. Non era mia intenzione cercare un realismo nel tratto, quanto nella gestualità, nello sguardo, nell’inquadratura. In questo sono stato molto attento, fiscale e, devo dire, anche parecchio autocritico. Al contrario, sono molto più di bocca buona per quanto riguarda la pulizia e l’armonia del disegno. Questo non solo come autore, ma anche come lettore. Una lunga e faticosa ricerca, a tratti frustrante, soprattutto nella fase iniziale. Non ero mai contento di quello che facevo, poi col tempo tutto è diventato più facile. Mano a mano che si inizia a capire come si vuole disegnare, l’atto stesso diventa più immediato e divertente. Parte di questo lavoro è stata proprio la scelta del bianco e nero: una necessità di natura più pratica che concettuale. Inizialmente avevo mandato a Coconino Press anche delle pagine a colori, in pastello o in acquerello, che però richiedevano molto tempo per essere realizzate. Considerando la lunghezza della storia, ho deciso prima di abbandonare il colore per passare alla scala di grigi e, infine, al bianco e nero che vedi nel libro. È stato un lavoro di sottrazione, dove ho tolto e asciugato molto il mio stile, fino ad arrivare a una sintesi quasi estrema, ma che fosse sufficientemente descrittiva per rendere ottimale e scorrevole la lettura. Come lettore, lo riconosco, ho un problema con i fumetti il cui disegno è troppo curato, particolareggiato, anche se si tratta di artisti eccezionali che stimo e invidio moltissimo. Se vogliamo, è proprio l’essere così bravi, per me, il “problema”: davanti alle loro tavole tendo a perdermi, affascinato, e così rallento e spezzo il ritmo della lettura. La mia ricerca della sintesi per Bestie in fuga è stata guidata proprio da questo obiettivo: arrivare a uno stile di disegno che permettesse di far scorrere vignette e testi musicalmente, in armonia. Spero di esserci riuscito. Che poi, a volte, un braccio sia troppo lungo, troppo corto, un naso sia un po’ storto, non è un problema: sono aspetti che si migliorano col tempo. Almeno, spero. Sono indubbiamente diventato più preciso durante la realizzazione di Bestie in fuga, tavola dopo tavola, ma il mio obiettivo principale, come ormai avrai capito, era un altro. Oltretutto, le tavole di Bestie in fuga sono state realizzate senza uno storyboard, direttamente sulla pagina, in maniera piuttosto rapida. La ricerca della sintesi è servita anche a questo: a rendere il processo il più veloce possibile per non perdere il divertimento dell'immediatezza.
Voglio chiudere con una domanda di rito, a cui purtroppo so già che probabilmente non potrai rispondermi. Mi hai anticipato che sei già al lavoro su nuovi progetti: puoi svelare qualcosa, oppure è tutto ‘secretato’?
No, non è “secretato”. O meglio, sì, lo è, perché lo è innanzitutto a me stesso (ride, ndr). Se avessi già una trama in testa, te la racconterei volentieri. Magari fosse così facile! Come ti dicevo prima, io parto sempre dai personaggi e, di conseguenza, non dalla storia in sé, ma da ciò che ci gira attorno. Non ho ancora ben chiaro come riassumere tutto quello che ho in testa!
Intervista a cura di Andrea Martinelli
Daniele Kong
Daniele Marzo aka Kong nasce nella calda estate del 1982. A Macerata, per via dell’ansia di sua nonna. Ancora in fasce viene trasferito a Roma70, quartiere a sud della quasi omonima città. Qui cresce nei cortili dei piani pilotis, subendo nel tempo l’attrazione fatale per le chitarre, il punk, i distorsori e il disegno. Si laurea in Architettura e si trasferisce a Berlino nel 2013, senza mai smettere di disegnare. Torna a Roma70 nel 2019 perché la vita è troppo breve per la foschia. Qui, tra un cantiere e l’altro, inizia a scrivere e disegnare storie, tra cui Bestie in fuga, selezionato da Coconino Press nel mese delle nuove proposte tra oltre 300 progetti, fumetto proposto per il Premio Strega 2025 e in nomination come Miglior opera prima ai Premi del Palmarès 2025 del Comicon di Napoli.