Tirateci fuori di qui! - L'abisso dell'oblio di Paco Roca e Rodrigo Terrasa

Un intenso reportage a fumetti su una pagina nera della storia spagnola di circa ottant’anni fa, il cui eco giunge fino ai giorni nostri

“Ricordare è riportare indietro coloro che non ci sono più”.

Paterna, nei pressi di Valencia, 1940. Il sole di metà settembre batte forte sull’arido terreno in periferia. Una lucertola spaventata si rintana nella sua buca. Non è un buon auspicio. 

Un plotone di soldati avanza marciando verso il poligono di tiro. Per oggi è previsto un addestramento. Forse il caldo renderà più difficile sparare ai polli. Dal furgone militare appena parcheggiato, però, non sbucano pennuti, ma uomini in catene, che vengono scortati verso il muro. Sono sconsolati, non oppongono resistenza. 

È un attimo. Il sergente dà l'ordine: «Plotone: caricare!». I sottoposti sono increduli. Un fucile trema tra le dita di un soldato. «Puntare!». Grida, preghiere, singhiozzi. «Fuoco!». 

Inizia così L’abisso dell’oblio, opera frutto del lavoro di squadra tra il fumettista Paco Roca e il giornalista di El Mundo Rodrigo Terrasa (qui trovate l'intervista ai due autori realizzata a Lucca; n.d.r.). Essa affronta il tema del recupero dei resti degli spagnoli uccisi dal regime franchista e sepolti in fosse comuni. Un argomento che ancora oggi, in Spagna, è oggetto di polemiche e strumentalizzazioni politiche. Per offrire un punto di vista neutrale su questa delicata questione, i due autori scelgono di unire le loro rispettive abilità: la narrativa a fumetti e il giornalismo. Il risultato è uno stile ibrido, in cui informazioni e dati si alternano a un racconto corale, coinvolgendo diverse anime in cerca di giustizia: dai familiari, che lottano per riavere i resti dei propri cari, alle vittime, che da anni attendono di essere liberate da un sottosuolo affollato.

Prima di presentare i protagonisti del fumetto, però, è giusto fare un passo indietro per inquadrare la vicenda nella sua giusta prospettiva storica. 

Il 1939 segnò la fine della Guerra civil spagnola, che, dopo tre anni di conflitto tra nazionalisti e repubblicani, lasciò dietro di sé un'enorme scia di sangue. Anche negli anni immediatamente successivi, i primi della dittatura di Francisco Franco (1940-1975), la Morte continuò a mietere vittime. Migliaia di persone furono perseguitate, sequestrate e assassinate dal regime per presunti motivi politici. Dopo le fucilazioni, i loro corpi martoriati venivano trasportati nei cimiteri e gettati in profonde fosse scavate nel terreno.

Già da diversi anni, tutti i Paesi coinvolti nelle due guerre mondiali si preoccuparono di rintracciare le spoglie dei caduti, identificarle e inviarle alle loro rispettive famiglie, con il fine di dar loro una sepoltura degna. La Spagna non fece eccezione e, dopo la fine della guerra civile, il nuovo governo guidato da Franco si mosse in tal senso. Ma ad essere recuperati furono soltanto i resti dei franchisti, mentre alle famiglie repubblicane non fu mai permesso di riavere le ossa dei propri cari. Si voleva cancellare per sempre qualsiasi traccia della loro esistenza.

La dittatura cadde nel 1975, anno in cui si instaurò la democrazia nel Paese. Ma, per quelle famiglie, l'attesa era appena iniziata. Soltanto nel 2007, in Spagna, venne approvata l'importantissima Legge sulla memoria storica, che riconosceva tutte le vittime, “indipendentemente dalla fazione [...], che fossero cadute durante la Guerra civile o negli anni della dittatura”. Quella legge, oltretutto, dava diritto a una sovvenzione statale destinata alla riesumazione dei resti nelle fosse. Una vittoria democratica che ben presto, però, fu ostacolata dalle polemiche che nacquero intorno all'argomento. Ancora oggi, come spiega Paco Roca, i partiti spagnoli sono in contrasto tra loro e non riescono ad accordarsi sul tema delle fosse comuni, preferendo invece sfruttarlo per fini politici. 

È proprio in questo clima teso che si muove la protagonista del fumetto, Pepica Celda, un’anziana donna che da anni persegue l’obiettivo della sua intera esistenza: recuperare i resti di suo padre Pepe dalla fossa 126 del cimitero di Paterna. Per Pepica, seppellire degnamente le ossa di suo padre significa liberarne l’anima, incatenata da oltre ottant’anni in un piccolo buco nel terreno, insieme a quelle di più di cento persone.

Dopo aver superato un interminabile labirinto di ostacoli burocratici e critiche, Pepica ottiene finalmente i finanziamenti necessari per assumere una squadra di archeologi e iniziare gli scavi. Il lavoro inizia poco dopo, ma si rivela lungo e faticoso. Nonostante la convinzione di Pepica - che visitava quella fossa insieme a sua madre ogni 2 novembre fin da bambina - non ci sono certezze sull’esatta ubicazione delle ossa di Pepe. Come le spiegano gli esperti, molti documenti relativi alle fosse di Paterna sono andati perduti durante il periodo di transizione dalla dittatura alla democrazia.

Man mano che il lavoro prosegue, però, gli archeologi notano qualcosa di insolito: i corpi della fossa 126 sembrano essere stati disposti con una cura inusuale per l'epoca. E non è tutto. Fanno anche una scoperta sorprendente: piccole bottiglie di vetro contenenti bigliettini con le generalità delle vittime. Chi mai avrebbe rischiato la propria vita per lasciare questa traccia, sperando che un giorno quei corpi potessero essere recuperati?

La risposta è Leoncio Badía, il becchino del cimitero di Paterna negli anni ’40, nonché il secondo protagonista de L’abisso dell’oblio. Curioso e vivace di carattere, appassionato di storia, lettere, mitologia e politica, Leoncio è stato incarcerato più volte dai golpisti, considerato un elemento pericoloso per l’ideologia franchista. Il suo destino, tuttavia, prende una piega diversa rispetto ad altri suoi compaesani. Viene infatti salvato dalla fucilazione grazie all’intercessione del parroco locale, ma il prezzo da pagare è molto alto: deve accettare il lavoro di becchino, costretto a scavare fosse e a gettarci dentro i corpi di centinaia di assassinati, diventando, di fatto, uno strumento del regime.

Nonostante la terribile sorte e il senso di impotenza verso il mondo che lo circonda, Leoncio non perde la speranza in un futuro migliore. È convinto che la democrazia arriverà a spazzare via l’odio e a sanare le ferite della pazzia umana, liberando così anche le anime rinchiuse nelle fosse. Nell’attesa, decide di fare tutto ciò che può per aiutare le famiglie delle vittime, anche a costo di mettere a rischio la propria vita. Comincia ad aprire i cancelli del cimitero di notte per permettere ai familiari di dare un ultimo saluto ai loro cari. Non si ferma qui: raccoglie bottoni, frammenti di stoffa e ciocche di capelli dai defunti, piccoli oggetti che, all'epoca, avevano solo un valore consolatorio per i familiari, ma che ottant’anni dopo sarebbero stati fondamentali per l’identificazione dei resti. Infine, sigilla i nomi delle vittime dentro alcune bottigliette di vetro che seppellisce insieme ai loro corpi, come un messaggio di speranza lanciato verso il futuro.

Così, si chiude il cerchio che unisce Pepica e Leoncio. Quest’ultimo è stato determinante per l’identificazione del corpo di Pepe, che Pepica riesce finalmente a seppellire in maniera degna: ora Pepe riposa in pace assieme a sua moglie. Purtroppo, molte altre famiglie non hanno avuto la stessa fortuna. Non è stato possibile identificare tutti i corpi della fossa 126 e alcuni resti identificati non sono stati reclamati. Molte anime sono rimaste intrappolate nell’oblio, condannate a essere dimenticate, per sempre.

In L’abisso dell’oblio, ritorna un tema caro a Paco Roca: la Memoria, unica vera forza in grado di contrastare l’Oblio, o la morte dell’anima. Per rafforzare e approfondire questo concetto, Roca e Terrasa ricorrono a metafore mitologiche. Citano, ad esempio, la storia di Patroclo, migliore amico - forse qualcosa in più - di Achille, che nell’Iliade viene ucciso dal principe troiano Ettore in battaglia. Il migliore tra i greci, che a causa del lutto non riesce a separarsi dal corpo dell'amico, cede alla volontà dell'anima di Patroclo, ancora incatenata al mondo materiale, di essere liberata tramite la sepoltura.

La Memoria ha, poi, un altro ruolo fondamentale: far comprendere che la storia è composta da eventi che si ripetono ciclicamente. D'altronde, come spiegano gli autori, si può capire molto del livello di civiltà di una società dal modo in cui tratta i suoi morti. E le fosse comuni sono il simbolo più significativo dell’involuzione della società spagnola nel periodo franchista. Soltanto ricordando gli orrori del passato, sembrano affermare Roca e Terrasa, è possibile costruire un futuro migliore, affinché ciò che è accaduto non si ripeta più.

Dal punto di vista grafico, ciò che balza subito all'occhio del lettore è la scelta di Paco Roca di adoperare le tavole in maniera orizzontale, cosa che non rappresenta una novità per l'autore, come dimostrano altri suoi lavori, per esempio La casa o Ritorno all'Eden. Probabilmente, questa decisione nasce dalla volontà di creare un effetto cinematografico con cui narrare la vicenda. Alcune sequenze e splash page, come quella in cui è mostrato il cimitero di Paterna affollato di anime, non avrebbero avuto lo stesso impatto visivo se fossero state disegnate in senso verticale. 

Al fine di dare ordine alla materia trattata, come se fosse l'inchiesta di un cronista, Roca organizza le tavole orizzontali in blocchi squadrati di vignette, che sembrano mettersi a disposizione del testo scritto. Ma il fumettista di Valencia va oltre la distaccata formalità che può assumere un articolo di giornale. Egli, infatti, potenzia la narrazione tramite la sua innata abilità di saper raccontare attraverso le immagini, con uno stile realistico, pulito e ordinato che rimanda al graphic journalism di Joe Sacco, Guy Delisle, Art Spiegelman e Marjane Satrapi. Ciò permette al lettore di entrare subito in contatto emotivo con le tragiche vicende dei personaggi dell'opera.

Anche quando il disegno deve necessariamente mettersi al servizio della parola, per illustrare dati storici e informazioni, il coinvolgimento del lettore è comunque al massimo. Lo dimostrano alcune vignette di grande suggestione visiva, come quella dove è rappresentata una gigantesca Morte con la falce che miete vittime durante la guerra civile.

D’altronde, creare empatia attorno alla questione delle fosse comuni è uno dei motivi che ha spinto Rodrigo Terrasa a coinvolgere Paco Roca nel suo primordiale progetto, che sarebbe poi diventato L’abisso dell'oblio. Il giornalista sapeva, infatti, che libri di storia, articoli di giornale, documentari e altri mezzi di comunicazione “asettici” non avrebbero donato al pubblico l’impatto emotivo necessario per trattare l’argomento delle fosse da un punto di vista umano. 

Il linguaggio del fumetto, invece, specialmente quando è modellato da artisti straordinari come Paco Roca, riesce a sprigionare un potere incredibile, inglobando il lettore all’interno della storia narrata. In particolare, ne L'abisso dell'oblio, l'immedesimazione e l'empatia raggiungono livelli così alti che è impossibile rimanere indifferenti alle battaglie personali di Pepica, Leoncio e tutti gli altri personaggi. 

Scommessa vinta, dunque, dalla coppia Roca-Terrasa, che non solo è riuscita a porre nuovamente l'accento sulla spinosa questione delle fosse comuni spagnole, ma lo ha fatto attraverso un'opera progettata con il preciso scopo di costruire una nuova prospettiva, meno politicizzata e molto più umana. 

Mattia Mirarco

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