Il Partito, la memoria, la speranza: Daniel Cuello si racconta
Un viaggio nell’universo narrativo cuelliano tra critica sociale, gabbie interiori e la ricerca di un cambiamento necessario
Cosa provi quando lavori a un tuo fumetto?
Dipende dalla fase del lavoro in cui mi trovo. Quando ne devo iniziare uno da zero e ho carta bianca non nego di essere un po’ spaesato, mi chiedo “e mo?”. Poi in quella pagina bianca capisco che posso riversarci un po’ di sana rabbia, malessere, frustrazione per toglierne un po’ dalla mia testa. Inizio in quel momento a elaborare il finale e quello è uno dei momenti più belli. Uno dei peggiori è quando devo disegnare le tavole definitive, non perché non mi piaccia disegnare, anzi, farei molta fatica a delegare il disegno o la colorazione ad un’altra persona, ma perché la storia la conosco già. So già cosa capita, come si evolvono gli eventi e come va a finire il tutto. È una fase meramente meccanica. Mi salva il fatto che proprio in quella fase posso improvvisare: cambiare personaggi, aggiungerne altri, aggiungere frasi e scene che non erano previste nello storyboard.
E una volta chiuso il tutto mi sento un po’ in colpa per come ho trattato i miei personaggi. Non nego di aver pianto per Zena di Piovono Corvi.
Perché ci sono sempre dei cani nei tuoi fumetti? Qual è il loro ruolo? In particolare, sembri molto legato al cane Pietro di Piovono Corvi…
Impossibile non conoscere Daniel Cuello, uno dei più incisivi autori di graphic novel del panorama contemporaneo. Nato in Argentina e cresciuto in Italia, ha conquistato il pubblico con opere come Residenza Arcadia, Le buone maniere e Mercedes.
Una voce unica, capace di unire profondità emotiva, ironia e cinismo, dando vita a storie che esplorano grandi problemi sociali e politici passati, presenti e futuri.
Abbiamo avuto il piacere e l’onore di intervistarlo per scoprire di più su di lui, sul suo processo creativo, sulle ispirazioni dietro i suoi personaggi e su ciò che riserva il futuro per il suo universo narrativo, che si rivela sempre più interessante dopo l’uscita recentissima di Piovono Corvi.
Abbiamo avuto il piacere e l’onore di intervistarlo per scoprire di più su di lui, sul suo processo creativo, sulle ispirazioni dietro i suoi personaggi e su ciò che riserva il futuro per il suo universo narrativo, che si rivela sempre più interessante dopo l’uscita recentissima di Piovono Corvi.
Ormai da diversi anni stai lavorando a un ciclo narrativo iniziato con Residenza Arcadia che sta ricevendo grandi approvazioni dal pubblico che ti legge e segue. Da dove nasce l'idea di creare questo universo narrativo condiviso? E quanto avevi sin dall'inizio l'idea di come svilupparlo?
Già quando lavoravo a Residenza Arcadia avevo in testa l’idea di una Nazione, una lore, molto più ampia, che in quel racconto si percepiva attraverso le parole dei protagonisti e una scena (l’unica) ambientata fuori dal condominio. Ettore, in Residenza Arcadia, uno dei protagonisti (e uno dei pochi personaggi giovani dei miei racconti) parlava di una imminente guerra. All’epoca avevo preparato un vero e proprio organigramma piramidale di come fosse organizzato il Partito. Con tanto di ministeri e istituzioni. Poi è arrivata Mercedes, che scappa da tante cose, tra le quali anche il Partito, e questo mi ha dato la possibilità di mostrare qualcosa di più della Nazione e del Partito stesso. Tra l’altro, nel suo scappare, passa esattamente per una zona che Carlito, già all’epoca, chiamava gli anni senza nuvole. In Le buone maniere ho avuto l’occasione di mostrare la burocrazia, la censura portata dal Partito, prima fatta da umani e poi da algoritmi, facendo scoprire un lato ancora più opprimente del partito. In quella storia Sandro, accenna ad una nazione, lassù, dopo il confine, fatta di profughi e persone in fuga dal regime. Era inevitabile per me non approfondire meglio quel “lassù”, dove non ci sono più nuvole e l’acqua è una vera e propria valuta di scambio.
In Piovono Corvi non sapevo quali sarebbero stati i protagonisti, non conoscevo le loro particolarità e i loro ruoli, ma sapevo molto bene quale fosse il macro racconto che percepiamo tutto intorno, mentre affrontano le loro singole vicissitudini.
É dai tempi di Residenza Arcadia che parlo di gabbie, mentali o fisiche. E di gabbie parla anche Piovono Corvi. Questa volta è lo scadere del tempo, l’inevitabile stravolgimento climatico e la memoria. Tutte gabbie, di alcune ne siamo responsabili, altre a vorremmo proprio dimenticarle.
Hai più volte sostenuto che in Piovono Corvi non ci sia soltanto disperazione, ma anche speranza. Dove risiede?
C’è disperazione, angoscia, paura, non c’è acqua e crolla tutto. Ma, parafrasando un racconto zen: come possiamo creare qualcosa di genuinamente nuovo, senza distruggere il vecchio? Non è una distruzione fisica, quella in cui spero, ma un cambiamento necessario, strutturale, consapevolmente utopico. Ma prima bisogna ad arrivare ad un punto di non ritorno. Un punto in cui è necessario che qualcosa cambi per davvero. E questo, in Piovono Corvi, mi da molta speranza.
C’è disperazione, angoscia, paura, non c’è acqua e crolla tutto. Ma, parafrasando un racconto zen: come possiamo creare qualcosa di genuinamente nuovo, senza distruggere il vecchio? Non è una distruzione fisica, quella in cui spero, ma un cambiamento necessario, strutturale, consapevolmente utopico. Ma prima bisogna ad arrivare ad un punto di non ritorno. Un punto in cui è necessario che qualcosa cambi per davvero. E questo, in Piovono Corvi, mi da molta speranza.
Alcune questioni politiche e sociali che caratterizzano tutti i tuoi fumetti - come il “Partito” - rimangono sempre accennate, senza essere spiegate completamente. Eppure, sembrano essere ben chiare ai tuoi lettori e alle tue lettrici. Secondo te, perché?
Perché non invento nulla. Quando una persona legge le mie storie sente parlare di un unico Partito, di Nazione, di Parata Nazionale, il suo immaginario (che è anche quello collettivo) la riporta automaticamente a qualcosa che è già esistito (anche in Italia) o qualcosa che sta succedendo altrove nel mondo proprio in questo momento. Io, ad esempio, alla dittatura argentina (non a caso Mirta in Residenza Arcadia porta un fazzoletto bianco in testa). Chi legge le mie storie sa benissimo che i contesti politici e sociali che descrivo sono esistiti, esistono ancora e quanto sia facile ricaderci. È il famoso incidente stradale da cui facciamo fatica a distogliere lo sguardo.
Sembra esserci una grande sofferenza di fondo nei tuoi personaggi. Rispecchiano il tuo dolore interiore o la tua visione del mondo, in qualche misura?
Ormai non posso più sottrarmi a questa domanda. Sì, in qualche modo tutti i miei personaggi, malinconici, talvolta agguerriti, altre volte rassegnati, profondamente soli, spesso cinici, fatalisti e sofferenti, sono parte di me. Delego a loro molti sentimenti che provo in prima persona. È per questo che presto cura maniacale alla costruzione dei personaggi e a ciò che dicono.
Sembra esserci una grande sofferenza di fondo nei tuoi personaggi. Rispecchiano il tuo dolore interiore o la tua visione del mondo, in qualche misura?
Ormai non posso più sottrarmi a questa domanda. Sì, in qualche modo tutti i miei personaggi, malinconici, talvolta agguerriti, altre volte rassegnati, profondamente soli, spesso cinici, fatalisti e sofferenti, sono parte di me. Delego a loro molti sentimenti che provo in prima persona. È per questo che presto cura maniacale alla costruzione dei personaggi e a ciò che dicono.
Daniel Cuello a Lucca Comics & Games 2024. Foto di Andrea Martinelli.
Cosa provi quando lavori a un tuo fumetto?
Dipende dalla fase del lavoro in cui mi trovo. Quando ne devo iniziare uno da zero e ho carta bianca non nego di essere un po’ spaesato, mi chiedo “e mo?”. Poi in quella pagina bianca capisco che posso riversarci un po’ di sana rabbia, malessere, frustrazione per toglierne un po’ dalla mia testa. Inizio in quel momento a elaborare il finale e quello è uno dei momenti più belli. Uno dei peggiori è quando devo disegnare le tavole definitive, non perché non mi piaccia disegnare, anzi, farei molta fatica a delegare il disegno o la colorazione ad un’altra persona, ma perché la storia la conosco già. So già cosa capita, come si evolvono gli eventi e come va a finire il tutto. È una fase meramente meccanica. Mi salva il fatto che proprio in quella fase posso improvvisare: cambiare personaggi, aggiungerne altri, aggiungere frasi e scene che non erano previste nello storyboard.
E una volta chiuso il tutto mi sento un po’ in colpa per come ho trattato i miei personaggi. Non nego di aver pianto per Zena di Piovono Corvi.
Perché ci sono sempre dei cani nei tuoi fumetti? Qual è il loro ruolo? In particolare, sembri molto legato al cane Pietro di Piovono Corvi…
Amo i cani. Sono sempre stati miei compagni di vita e sinceri amici. In Argentina, da bambino, avevamo un cane che si chiamava Edmond. Che abbiamo necessariamente dovuto lasciare laggiù quando ci siamo trasferiti in Italia (è rimasto con i miei nonni, si è fatto una bella vecchiaia) e questo, in qualche modo, mi ricorda la separazione di Anubi da Mercedes o Rasputin da Dimitri. Poi è arrivato il momento di Perro (io lo chiamavo semplicemente così, “Perro”, cioè cane in spagnolo, perché il nome scelto da mio fratello non mi piaceva). Poi è arrivato Paco, un bassotto bastardino, bassotto di muso e corpo ma con le zampe più lunghe di un bassotto “normale”. Lui è stato l’ultimo cane che mi ha fatto compagnia. Mi piaceva tantissimo il suo temperamento sfacciato, impertinente ed irrequieto. E in Pietro di Piovono Corvi c’è molto di Paco. Quando beve l’acqua santa mi ricorda molto il giorno in cui abbiamo trovato Paco comodamente sdraiato sul divano mentre beveva olio da una bottiglia. Divano che abbiamo poi buttato (Paco ha vomitato olio per una settimana). Amavo quel mascalzone.
Puoi dirci qualcosa su come si concluderà questo ciclo narrativo con il quinto volume? Quali sono le intenzioni di fondo? Hai già in mente la storia, e soprattutto, il gran finale?
Io so molte cose, ma per adesso sono e resteranno solo nella mia testa (e in quella di poche e selezionate persone) per un bel po’ ;)
Puoi dirci qualcosa su come si concluderà questo ciclo narrativo con il quinto volume? Quali sono le intenzioni di fondo? Hai già in mente la storia, e soprattutto, il gran finale?
Io so molte cose, ma per adesso sono e resteranno solo nella mia testa (e in quella di poche e selezionate persone) per un bel po’ ;)
Intervista a cura di Marta Bello
Daniel Cuello
Daniel Cuello è un fumettista un po’ argentino, un po’ italiano, un po’ nessuna delle due cose. Nel suo sangue ci sono almeno sette culture diverse. Autodidatta, da anni pubblica graphic novel, racconti brevi, illustrazioni e tante, tantissime vignette, molte delle quali raccolte nel volume Guardati dal beluga magico pubblicato da BAO Publishing nel 2018. Residenza Arcadia, il suo primo romanzo grafico edito da BAO Publishing nel 2017, ottiene un enorme successo di pubblico e di critica. Nel 2019, sempre per i tipi di BAO, pubblica il suo secondo graphic novel, Mercedes, vicitore del Premio Micheluzzi per il miglior Fumetto al Napoli Comicon 2020. Nel 2022 esce Le buone maniere, vincitore del Gran Premio Romics 2023. Ha collaborato con varie testate e case editrici come Baldini+Castoldi, Linus, Becco Giallo, DeAgostini, Longanesi, Treccani, Jacobin Italia, Corriere della Sera, Revue Dessinée, Melagrana e molte altre. Ma soprattutto è comparso più volte tra i quiz della Settimana Enigmistica. E questo è un enorme traguardo. Piovono Corvi è il suo quarto graphic novel.