Non ci resta che raccontare – Il press café di Daniel Clowes
Al Lucca Comics & Games 2024 abbiamo partecipato all’incontro con la stampa di Daniel Clowes, autore di Eightball, Ghost World, David Boring e altri
Sabato 3 novembre, nel pomeriggio della penultima giornata del Lucca Comics & Games 2024, si è tenuto l’incontro con la stampa dedicato a Daniel Clowes, autore di fumetti fra i più illustri dell’epoca contemporanea, per la prima volta in Italia in occasione della pubblicazione dei primi 18 numeri della sua rivista Eightball in un unico volume, ad opera di Coconino Press.
L’evento, nonostante un inizio segnato da un prevedibile tono di deferenza generale, si è in realtà progressivamente sciolto verso un’atmosfera di amichevole e confortevole scambio, sondando la carriera di Clowes tanto a livello tematico quanto pratico, e concludendosi con il bellissimo momento di posa delle mani dell’autore nel cemento del Lucca Walk of Fame (momento che, diciamocelo, oggi ha già un ché di nostalgico).
La breve introduzione all’autore è stata seguita da un primo focus che ha visto Clowes trattare il tema del caos, presenza subcutànea di molto del suo lavoro e descritto dallo stesso come «l’intero scopo della mia opera», che mira a «prendere il caos – che è costituito principalmente dalla vita moderna – e dargli una forma, uno scopo».
L’associazione fra il caos come forma in cui la vita moderna si manifesta e il concetto di scopo è tutt’altro che scontata, perché dà alla questione un’identità più complessa di una facile lettura del caos come stocastico, come metà gemella dell’ordine, ma piuttosto guarda al caos come a un fatto e all’ordine come un costrutto, una necessità umana di ordinare – magari in tavole dalle griglie sempre più complesse? – l’inordinabile. Il tutto assume un’aura quasi cosmologica, da questa prospettiva (avete presente la copertina di Monica?).
Non a caso nel discorso si intromettono gli spettri di cambiamento climatico, guerra, dispotismi, la cui paura spesso conduce verso una solitudine che molti di noi conoscono. I personaggi di Clowes però, per quanto campioni di solitudine, non sono sempre guidati dalla paura:
«Riguardo la solitudine, è stato davvero spaventoso camminare nelle folle di Lucca. Quando ero giovane avevo paura di molte più cose: malattia, morte, essere ammazzato… guardavo molti film horror proprio per sentire quella sensazione di terrore. Però è una cosa che ho perso negli anni: ora ho più paura della burocrazia o di dover pagare le tasse. Perciò la paura non è più qualcosa che guida i miei personaggi; mi interessa di più il significato della vita, se esiste un senso razionale, se c’è un modo per creare qualcosa applicabile alle esistenze di ognuno».
Inevitabile poi passare anche dalla dogana “graphic novel”, termine verso cui Daniel Clowes ha sempre espresso diversi mal di pancia: «questa espressione è stata un problema per tanti, tanti anni» (per molti di noi, verrebbe da aggiungere). «Ho resistito per anni a usare il termine, ma alla fine mi sono arreso al fatto che fosse l’unico utile a descrivere il mio lavoro». È ironico pensare che, ciononostante, i fumetti di Clowes siano stati in parte fautori del diffondersi del concetto di graphic novel. C’è da dire, però, che «abbiamo avuto parecchi anni per trovare un’altra soluzione, e nessuno ci è riuscito».
Applicando però l’idea di graphic novel alla carriera di Clowes e in particolare alla sua seconda parte, e prescindendo dal valore merceologico del termine in sé per considerarne solo il lato narrativo-estetico, si può osservare come partendo da Wilson, passando per Patience e giungendo a Monica, sia possibile tracciare un percorso autoriale che si muove in direzione di una forma di romanzo disegnato. A tal proposito, la risposta di Clowes è stata straordinaria:
«Con Wilson la mia intenzione iniziale era solo quella di creare strisce a fumetti che mi divertissero: mi sono messo a disegnare, questo personaggio è spuntato dal nulla e mi faceva ridere, tant’è che all’inizio volevo pubblicarlo in un libro che fosse solo una raccolta di strisce; solo dopo mi sono accorto di avere una storia più grande. Con Patience sono partito con l’idea di creare un “time-travel-romance” – un pitch che puoi fare tuo se vuoi – e quindi realizzare la mia versione di un blockbuster hollywoodiano. E poi Monica, che è stato il più ambizioso, perché ho voluto davvero provare a catturare un’intera vita umana dalla nascita alla morte, inserendovi anni di storia dove ho vissuto anch’io e quindi cogliendo l’atmosfera delle varie fasi che compongono la vita. Quindi sì, credo ci si possa vedere una sorta di progressione».
Si è parlato molto di Monica, vuoi perché è il suo ultimo fumetto, vuoi perché è anche il più (terribilmente-meravigliosamente) tortuoso. Nonostante possa essere visto come un grande-mosaico-della-vita, Clowes ha raccontato come sia nato, come ogni suo fumetto, senza pianificazione e come «una palla di neve che inizia a rotolare […] e cresce in qualcosa di sempre più complesso in maniera organica».
Più nello specifico, Clowes ha spiegato che «Monica nasce da quello che poi nel fumetto è il capitolo dell’infanzia trascorsa con sua madre, Penny. Era la prima storia che volevo raccontare e mi sono chiesto “Chi può esserne il narratore?”. E quando ho capito che avrebbe potuto essere Monica stessa, allora tutte le altre storie che avevo vagamente in mente si sono connesse fra di loro».
E questo processo di sviluppo da un singolo nucleo facilita anche un altro processo che caratterizza tutti i fumetti di Daniel Clowes – e che in Monica trova il suo picco - che consiste nell’elidere tutte quelle parti che siamo poi noi a dover aggiungere di nostro pugno: «non miro a un pubblico di riferimento, ma il mio lettore tipo me lo immagino abbastanza sofisticato, capace di riempire tutti i buchi che lascio e che riesca anche a vedere più di quanto non veda io. Voglio che tutto sia chiarissimo: se qualcosa non lo è, è perché volevo che fosse così».
Difatti, se in Monica sembra esserci un personaggio parecchio simile a Clowes è perché «scrivendo Monica ho realizzato come stessi inserendo molti elementi della mia infanzia, eppure non stavo scrivendo un’autobiografia; così ho realizzato che stavo creandomi un’amica e ho pensato che, a un certo punto della storia, dovessi passare a trovarla».
Si è passati anche per un frangente più tecnico, legato alla strumentazione con cui Clowes lavora e a come sia cambiata negli anni con l’avvento del digitale, essendo evidente anche il tipo di percorso grafico che ha compiuto partendo da Lloyd Llywellyn e da Eightball, fino a giungere al succitato Monica:
«Ho sempre voluto che i miei fumetti fossero come quelli con cui sono cresciuto: colori piatti, linee spesse e grosse, perché questo è il linguaggio che capisco e che parlo. Quando ho iniziato Eightball i colori costavano troppo e avevo modo di usarli solo per le copertine, e il processo era follemente astruso. Al tempo di David Boring quasi tutti passarono al digitale, così imparai in modo assolutamente basilare a usare il digitale, ma solo per la parte del colore. Il lato della line-art rimane tutt’oggi a mano».
Dopo un’ultima parte dedicata a Eightball e all’eredità di Clowes, lo staff di Lucca Comics è entrato in sala stampa con una vasca di cemento fresco pronto a farsi tatuare, concludendo in festa un incontro eufemisticamente illuminante.
Che conclusioni trarre? Con la solita finta modestia degli articoli che si concludono con domande a ombrello, tocca riconoscere anche questa volta la propria incapacità di essere esaustivi. Qualche punto, però, lo si può estrarre:
- Daniel Clowes è un tipo molto simpatico; i fumetti di Daniel Clowes sono fumetti; i fumetti di Daniel Clowes possono dirsi graphic novel; i fumetti di Daniel Clowes sono graphic novel?
- le idee sono garbugli oscuri; le storie sono garbugli un po’ meno oscuri; le idee non si possono pianificare; neanche le storie; neanche la vita; neanche il mondo; tutto quanto però si può raccontare;
- siamo tutti da soli; tutti cerchiamo un senso; non è detto che ce ne sia uno; non è detto che non ce ne sia nessuno; è probabile che non ci sia niente; nessuno ti vieta di raccontare il niente; la solitudine esiste; la paura esite; l’assurdo; l’ignoto; l’inspiegabile; il controllo; il disordine; la morte; il tutto; nessuno ti vieta di raccontare il tutto; racconti; storie; fumetti.
Non c’è modo di mettere ordine a un mondo intricato come una scultura fatta con lo spago, ma a sentir parlare Daniel Clowes possiamo sentirci meno tonti a pensare di avere anche solo un barlume di controllo impugnando qualche centinaio di fogli di carta da aprire e chiudere in refoli di finzione: forse più che costruire città, forse più che andare su Marte, scrivere storie è la cosa più ci allontana dallo spettro dell’entropia universale, il primo e ultimo baluardo dell’umanità. E allora diventa quasi commovente guardare una griglia a fumetti che tenta di arpionare quel che può dall’esterno e metterlo in un qualche sfingeo, sempre diverso, illusorio ordine.
In onore della sua presenza al Lucca Comics & Games 2024, abbiamo dedicato una puntata monografica del nostro podcast – Building Stories – a Daniel Clowes: la trovate su Spotify.
Jacopo Corradini