Se la storia che cerchi non esiste, allora scrivila! ~ Intervista a Chiaralascura
Una chiacchierata con Chiara Meloni, in arte Chiaralascura, sul suo fumetto d'esordio e sui temi da lei affrontati
Ciao Chiara, grazie mille per aver accettato il nostro invito e benvenuta sul blog dellə Audaci!
Innanzitutto grazie mille per Queeranta e complimenti, personalmente lo ritengo uno dei libri-sorpresa di quest'anno, mi è piaciuto moltissimo!
Grazie a voi!
Grazie, sono molto felice che ti sia piaciuto!
Prima di parlare del tuo libro, vorrei far conoscere a chi ti ha "scoperta" adesso anche il tuo lavoro di illustratrice e attivista. Nei tuoi lavori usi spesso un linguaggio ironico e leggero per parlare di temi importanti e fare attivismo, e lo stile dei tuoi disegni è molto particolare, pop, un po' kawaii, ma che non censura mai la realtà dei corpi (peli, grasso, cellulite, eccetera). Come hai iniziato questo progetto? E che tipo di feedback hai dal tuo pubblico?
Ho iniziato la mia carriera da illustratrice una quindicina di anni fa, per scappare a un lavoro in agenzia di comunicazione. All'inizio disegnavo soprattutto gadget a tema vegan e antispecista e ho cominciato a venderle nei vari mercatini ed eventi vegan, alcuni anche organizzati da me insieme a persone amiche. È proprio nell'ambiente vegan e antispecista che, nel bene e nel male, è nato il mio interesse per i temi del transfemminismo. Dico nel bene e nel male perché l'ambiente vegan attira un sacco di persone che hanno già decostruito altri pregiudizi e che lottano contro tutte le oppressioni ma anche persone che invece pensano che la causa animale sia slegata dal resto e portano avanti messaggi classisti, razzisti, omolesbotransfobici e grassofobici. Essendo una donna grassa mi sono sentita spesso rigettata dal movimento perché il mio corpo era considerato dannoso per la causa. Qualche anno dopo io e Mara Mibelli, la mia migliore amica e anche lei una persona grassa, abbiamo iniziato a fare divulgazione su internet con il progetto Belle di faccia, iniziando a fare conoscere la fat liberation in Italia. È stato in quel periodo che la mia arte si è concentrata di più sui corpi grassi. Per me è stato liberatorio perché prima disegnavo corpi normati di default, nonostante vivessi in un corpo non conforme. Le persone che mi seguono hanno apprezzato la rappresentazione e il mio modo leggero e ironico di parlare di temi politici e "pesanti".
Quindi ha un'accezione più politica della body positivity (che comunque viene molto stigmatizzata, anche in ottica salutista e abilista), giusto? E quindi quanto conta rappresentare - con le illustrazioni come fai tu, ma anche con qualsiasi altro mezzo - e normalizzare corpi grassi e non conformi in una società come la nostra che punta tutto sull'immagine e, in particolare, su certi standard estetici?
Si esatto, l'espressione body positive (che deriva da una delle prime associazioni contro i disturbi alimentari) è più palatabile perché sostituisce un generico "body" a "fat" che è un'identità politica, così come la liberazione è sicuramente un concetto più politico e meno neoliberista della positività. Appiattendo i problemi del corpo su una questione solo di autostima femminile e cancellando l'identità grassa come se tutti i corpi andassero incontro alle stesse problematiche, la body positivity mainstream è stata cavalcata da tutti i brand che volevano sembrare progressisti e inclusivi continuando però a escludere i corpi grassi. Ovviamente anche la body positivity, per quanto blanda, è comunque stata accusata di promuovere stili di vita malsani, come se il fatto di esistere e chiedere diritti e spazio fosse consentito solo a chi è considerato (almeno esteticamente) in salute. Purtroppo non avendo solide basi politiche chi parlava esclusivamente di body positivity ha risposto a queste accuse mettendo dei paletti, della serie "ok, puoi piacerti ma fino a un certo punto, fino a che non ti allontani troppo dai canoni e da quello che l'opinione pubblica vede come sano e accettabile", escludendo e alienando chi quei concetti li aveva creati: le persone grasse. Per questo la rappresentazione è importante, perché rivendica il diritto di esistere liberamente in un corpo grasso senza chiedere scusa.
Quindi possiamo dire che con Queeranta hai mantenuto l'attenzione sugli stessi temi ma hai cambiato mezzo espressivo: com'è stato per te passare dall'illustrazione al fumetto?
Il tema della grassofobia è abbastanza centrale, ma si sono aggiunti quello della queerness e l'esperienza del lutto. Raccontare una storia e farlo a fumetti è diverso da tutto quello che avevo fatto prima, sia come scrittura che come disegno: quando ho scritto insieme a Mara il libro di Belle di faccia e altri saggi o articoli successivi potevo spingermi nel dettaglio di questioni politiche e farlo con un linguaggio specifico, perché in quel contesto le persone si aspettano un pippone. Quando faccio un'illustrazione, invece, devo essere sintetica ma anche d'effetto e far capire un concetto in una sola immagine. In questo caso volevo che i temi, anche se complessi e politici, fluissero naturalmente nella storia, e dovevo fare in modo che la narrazione avesse i tempi giusti e che i dialoghi non fossero pesanti e che fossero spontanei. Il libro è un lungo dialogo con l'urna di mia madre e quando parli con il fantasma di tua madre boomer non puoi di certo usare termini come eteronormatività, compulsory heterosexuality o bifobia ahahahah. Ho cercato di scrivere una storia onesta, credibile, sincera e divertente per trattare temi ed esperienze sicuramente anche traumatiche del crescere e diventare adulti come persone grasse e queer.
Direi che ci sei riuscita benissimo! Queeranta parla di una donna grassa e di mezz'età che scopre il suo essere queer e che, come accennavi tu, si ritrova a gestire un lutto molto importante. La tua è una protagonista diversa dalla maggior parte dellə personaggə che indagano e definiscono il loro orientamento sessuale e il loro genere (di solito, si tratta di ragazzə giovanə e con corpi standard), e riesce anche a sradicare il pregiudizio che la perdita sia più facile da accettare e superare una volta che si superano i vent'anni, e in più è una storia autobiografica: ti sei imbattuta in opere affini alla tua mentre scrivevi e disegnavi?
In realtà la mia voglia di scrivere questa storia è nata proprio dal fatto che non trovavo una storia simile alla mia nei prodotti mediatici. Il coming out, come hai detto tu, ci viene raccontato quasi sempre in persone adolescenti o giovanissime e con corpi conformi. Gli unici esempi di storie di coming out in età adulta (ma maschili) che ho trovato sono nella serie Our flag means death, mentre nella raccolta di fumetti Kardiakìa c'è la storia di una coppia di giovani donne di cui una grassa. Per avere la rappresentazione che cercavo, cioè quella di una donna grassa di mezza età il cui coming out è stato ritardato anche dalla grassofobia, l'ho dovuta scrivere io.
Nel tuo fumetto c'è una dimensione molto importante, che è quella virtuale, dalle comunità che fanno attivismo anti-grassofobico a quelle queer, senza dimenticare le dating app. Quali sono secondo te gli aspetti positivi e negativi delle reti digitali di mutuo supporto e attivismo e, più in generale, degli spazi digitali come luoghi in cui si creano e si portano avanti relazioni?
Sono nata e cresciuta a Olbia, una cittadina che fino a qualche anno fa non aveva mai avuto un collettivo femminista o queer e in cui c'è sempre stato poco fermento politico. Gli spazi online sono stati fondamentali per me per scoprire certi concetti, conoscere nuove persone e fare amicizie basate su interessi e valori comuni. Penso che gli spazi online siano importanti per chi non ha la possibilità di accedere a quelli in presenza per varie ragioni. Credo anche che, soprattuto sui social, sia difficile però avere scambi di opinioni alla pari, rapporti orizzontali e discussioni davvero costruttive, e sento sempre più il bisogno di stare fisicamente con le persone e condividere spazi di lotta, socialità e condivisione con loro.
Insomma in sostanza penso che gli spazi digitali siano importanti, ma non abbastanza, e che quelli in presenza non siano ancora veramente accoglienti per tutt*, quindi credo ci sia bisogno di entrambe le cose.
La tua protagonista è donna, è bisessuale, è grassa e non è più giovanissima, praticamente il bersaglio perfetto per le discriminazioni, tra misoginia, bifobia, grassofobia e ageismo (che, quando parliamo di persone socializzate femmine, inizia a farsi sentire anche prima dei 40): come funziona secondo te l'intersezionalità delle discriminazioni e quali sono le armi che abbiamo a disposizione per resistere?
Gli standard per le persone socializzate femmine sono impossibili: che tu sia considerata attraente e appetibile per lo sguardo maschile oppure no, pagherai sempre un prezzo in un modo o nell'altro e non sarai mai abbastanza. Dopo i trent'anni, poi, a meno che tu non sia madre (non che le madri se la passino bene, ma qui ci sarebbe tutto un altro discorso da fare) vieni bombardata da tutta una serie di divieti, di abiti che non puoi più permetterti, di cose che non puoi più fare. Se sei grassa i divieti sono ancora di più e senza limiti di età, la società desidera che tu sparisca o ti nasconda e sei invisibile e ipervisibile allo stesso tempo. Se sei bisessuale sei invisibilizzata anche nella tua stessa comunità. Credo che, nella mia esperienza ma anche in quella di altre donne adulte che sono cresciute senza vedere rappresentati i loro corpi e in una società grassofobica ed eteronormata, questo cocktail abbia contribuito a rafforzare l'idea che l'unico modo di proteggersi fosse quello di nascondere la propria identità, assencondare lo sguardo maschile e prendere meno spazio possibile sia fisicamente che mentalmente. Liberarmi della grassofobia interiorizzata, che credo sia la più pervasiva (per colpa dei discorsi sulla salute che fanno percepire lo stigma del corpo grasso come corretto e quasi a fin di bene) ha scatenato in me un effetto domino che ha dato via alla decostruzione di tutto il resto.
Ormai il fumetto è stato sdoganato come linguaggio artistico e come strumento politico (anche se non mancano delle sacche di resistenza che continuano a screditarlo), e Queeranta credo possa tranquillamente rientrare nella categoria di "arte impegnata". Quando hai iniziato a scrivere la tua storia, eri consapevole di scrivere una sorta di manifesto per le persone queer e grasse o eri focalizzata più sull'aspetto autobiografico?
In realtà non ho mai pensato che la mia vita fosse degna di autobiografia, e anzi la mia paura peggiore era che questa storia fosse troppo autoreferenziale e che la gente dicesse tipo "si ma a noi che ci frega degli affari tuoi?", ma la mia intenzione fin da principio era scrivere di qualcosa che conosco per trattare temi più universali, quindi usare l'autofiction come un'espediente per raccontare la storia di molte altre donne come me ma anche di altre persone che per altri motivi non hanno potuto fare coming out da giovani. Per fortuna il riscontro è stato positivo perché anche solo il tema del lutto, in particolare i sentimenti contrastanti dell'affrontare la perdita di un genitore che ti manca da morire che che al contempo ha contribuito a impedirti di essere te stessa e ha fatto errori che ti hanno fatto del mare, ha permesso a molte persone di identificarsi nella storia e trovarci del valore.
Possiamo aspettarci altri tuoi libri a fumetti, quindi?
Mi auguro di sì! Ho già altre storie in mente e concentrarmi per tanto tempo su un progetto nuovo, con un mezzo per me nuovo (che spero di imparare a padroneggiare meglio) mi ha fatta uscire da una crisi creativa e permesso di sperimentare.
Noi non vediamo l'ora!
Intanto, ci sono delle presentazioni di Queeranta o degli altri eventi a cui parteciperai in programma nelle prossime settimane?
Ho fatto un mini tour a luglio e ora ricomincerò a settembre. il 6 sarò a Barletta e poi il 27 settembre inizieranno una serie di date che mi porteranno a Torino, La spezia, Genova, Roma, Firenze, Reggio Emilia, Altamura e Milano. Sarò presente anche al Lucca Comics allo stand di Beccogiallo a fine ottobre.
Illustratrice e attivista, Chiara Meloni - in arte Chiaralascura - ha esordito da poco con Queeranta - meglio tardi che mai, di cui vi abbiamo parlato qui, in nomination al Premio Boscarato al Treviso Comic Book Festival 2024 come miglior artista emergente.
Dal 2018 è co-fondatrice di Belle di faccia, un progetto e un'organizzazione che promuove la fat liberation, la body positivity e sensibilizza sulla discriminazione grassofobica in Italia.
Oggi ospitiamo l'autrice per una chiacchierata di approfondimento sul suo fumetto e sui temi che affronta.
Buona lettura!
Buona lettura!
Innanzitutto grazie mille per Queeranta e complimenti, personalmente lo ritengo uno dei libri-sorpresa di quest'anno, mi è piaciuto moltissimo!
Grazie a voi!
Grazie, sono molto felice che ti sia piaciuto!
Ho iniziato la mia carriera da illustratrice una quindicina di anni fa, per scappare a un lavoro in agenzia di comunicazione. All'inizio disegnavo soprattutto gadget a tema vegan e antispecista e ho cominciato a venderle nei vari mercatini ed eventi vegan, alcuni anche organizzati da me insieme a persone amiche. È proprio nell'ambiente vegan e antispecista che, nel bene e nel male, è nato il mio interesse per i temi del transfemminismo. Dico nel bene e nel male perché l'ambiente vegan attira un sacco di persone che hanno già decostruito altri pregiudizi e che lottano contro tutte le oppressioni ma anche persone che invece pensano che la causa animale sia slegata dal resto e portano avanti messaggi classisti, razzisti, omolesbotransfobici e grassofobici. Essendo una donna grassa mi sono sentita spesso rigettata dal movimento perché il mio corpo era considerato dannoso per la causa. Qualche anno dopo io e Mara Mibelli, la mia migliore amica e anche lei una persona grassa, abbiamo iniziato a fare divulgazione su internet con il progetto Belle di faccia, iniziando a fare conoscere la fat liberation in Italia. È stato in quel periodo che la mia arte si è concentrata di più sui corpi grassi. Per me è stato liberatorio perché prima disegnavo corpi normati di default, nonostante vivessi in un corpo non conforme. Le persone che mi seguono hanno apprezzato la rappresentazione e il mio modo leggero e ironico di parlare di temi politici e "pesanti".
A beneficio di chi magari non ne ha mai sentito parlare o ha dei pregiudizi in merito: cos'è la fat liberation?
Si tratta di un movimento politico nato negli anni 70 negli Stati Uniti da donne queer, nere e razzializzate, che poi negli anni ha portato alla moderna body positivity. Il primo collettivo che si batteva per i diritti delle persone grasse, the fat underground, è anche responsabile del manifesto per la fat liberation. A differenza della più pop e meno poetica body positivity, però, la fat liberation si concentrava soprattutto sulla dimensione sistemica della grassofobia, quindi del modo in cui un corpo grasso impatta le vite delle persone nella società, e meno su quella individuale e cioè l'autostima e l'immagine corporea. Soprattutto, la fat liberation non aveva paura di usare la parola grasso e di riappropriarsene. Quindi ha un'accezione più politica della body positivity (che comunque viene molto stigmatizzata, anche in ottica salutista e abilista), giusto? E quindi quanto conta rappresentare - con le illustrazioni come fai tu, ma anche con qualsiasi altro mezzo - e normalizzare corpi grassi e non conformi in una società come la nostra che punta tutto sull'immagine e, in particolare, su certi standard estetici?
Si esatto, l'espressione body positive (che deriva da una delle prime associazioni contro i disturbi alimentari) è più palatabile perché sostituisce un generico "body" a "fat" che è un'identità politica, così come la liberazione è sicuramente un concetto più politico e meno neoliberista della positività. Appiattendo i problemi del corpo su una questione solo di autostima femminile e cancellando l'identità grassa come se tutti i corpi andassero incontro alle stesse problematiche, la body positivity mainstream è stata cavalcata da tutti i brand che volevano sembrare progressisti e inclusivi continuando però a escludere i corpi grassi. Ovviamente anche la body positivity, per quanto blanda, è comunque stata accusata di promuovere stili di vita malsani, come se il fatto di esistere e chiedere diritti e spazio fosse consentito solo a chi è considerato (almeno esteticamente) in salute. Purtroppo non avendo solide basi politiche chi parlava esclusivamente di body positivity ha risposto a queste accuse mettendo dei paletti, della serie "ok, puoi piacerti ma fino a un certo punto, fino a che non ti allontani troppo dai canoni e da quello che l'opinione pubblica vede come sano e accettabile", escludendo e alienando chi quei concetti li aveva creati: le persone grasse. Per questo la rappresentazione è importante, perché rivendica il diritto di esistere liberamente in un corpo grasso senza chiedere scusa.
Il tema della grassofobia è abbastanza centrale, ma si sono aggiunti quello della queerness e l'esperienza del lutto. Raccontare una storia e farlo a fumetti è diverso da tutto quello che avevo fatto prima, sia come scrittura che come disegno: quando ho scritto insieme a Mara il libro di Belle di faccia e altri saggi o articoli successivi potevo spingermi nel dettaglio di questioni politiche e farlo con un linguaggio specifico, perché in quel contesto le persone si aspettano un pippone. Quando faccio un'illustrazione, invece, devo essere sintetica ma anche d'effetto e far capire un concetto in una sola immagine. In questo caso volevo che i temi, anche se complessi e politici, fluissero naturalmente nella storia, e dovevo fare in modo che la narrazione avesse i tempi giusti e che i dialoghi non fossero pesanti e che fossero spontanei. Il libro è un lungo dialogo con l'urna di mia madre e quando parli con il fantasma di tua madre boomer non puoi di certo usare termini come eteronormatività, compulsory heterosexuality o bifobia ahahahah. Ho cercato di scrivere una storia onesta, credibile, sincera e divertente per trattare temi ed esperienze sicuramente anche traumatiche del crescere e diventare adulti come persone grasse e queer.
In realtà la mia voglia di scrivere questa storia è nata proprio dal fatto che non trovavo una storia simile alla mia nei prodotti mediatici. Il coming out, come hai detto tu, ci viene raccontato quasi sempre in persone adolescenti o giovanissime e con corpi conformi. Gli unici esempi di storie di coming out in età adulta (ma maschili) che ho trovato sono nella serie Our flag means death, mentre nella raccolta di fumetti Kardiakìa c'è la storia di una coppia di giovani donne di cui una grassa. Per avere la rappresentazione che cercavo, cioè quella di una donna grassa di mezza età il cui coming out è stato ritardato anche dalla grassofobia, l'ho dovuta scrivere io.
Nel tuo fumetto c'è una dimensione molto importante, che è quella virtuale, dalle comunità che fanno attivismo anti-grassofobico a quelle queer, senza dimenticare le dating app. Quali sono secondo te gli aspetti positivi e negativi delle reti digitali di mutuo supporto e attivismo e, più in generale, degli spazi digitali come luoghi in cui si creano e si portano avanti relazioni?
Sono nata e cresciuta a Olbia, una cittadina che fino a qualche anno fa non aveva mai avuto un collettivo femminista o queer e in cui c'è sempre stato poco fermento politico. Gli spazi online sono stati fondamentali per me per scoprire certi concetti, conoscere nuove persone e fare amicizie basate su interessi e valori comuni. Penso che gli spazi online siano importanti per chi non ha la possibilità di accedere a quelli in presenza per varie ragioni. Credo anche che, soprattuto sui social, sia difficile però avere scambi di opinioni alla pari, rapporti orizzontali e discussioni davvero costruttive, e sento sempre più il bisogno di stare fisicamente con le persone e condividere spazi di lotta, socialità e condivisione con loro.
Insomma in sostanza penso che gli spazi digitali siano importanti, ma non abbastanza, e che quelli in presenza non siano ancora veramente accoglienti per tutt*, quindi credo ci sia bisogno di entrambe le cose.
Gli standard per le persone socializzate femmine sono impossibili: che tu sia considerata attraente e appetibile per lo sguardo maschile oppure no, pagherai sempre un prezzo in un modo o nell'altro e non sarai mai abbastanza. Dopo i trent'anni, poi, a meno che tu non sia madre (non che le madri se la passino bene, ma qui ci sarebbe tutto un altro discorso da fare) vieni bombardata da tutta una serie di divieti, di abiti che non puoi più permetterti, di cose che non puoi più fare. Se sei grassa i divieti sono ancora di più e senza limiti di età, la società desidera che tu sparisca o ti nasconda e sei invisibile e ipervisibile allo stesso tempo. Se sei bisessuale sei invisibilizzata anche nella tua stessa comunità. Credo che, nella mia esperienza ma anche in quella di altre donne adulte che sono cresciute senza vedere rappresentati i loro corpi e in una società grassofobica ed eteronormata, questo cocktail abbia contribuito a rafforzare l'idea che l'unico modo di proteggersi fosse quello di nascondere la propria identità, assencondare lo sguardo maschile e prendere meno spazio possibile sia fisicamente che mentalmente. Liberarmi della grassofobia interiorizzata, che credo sia la più pervasiva (per colpa dei discorsi sulla salute che fanno percepire lo stigma del corpo grasso come corretto e quasi a fin di bene) ha scatenato in me un effetto domino che ha dato via alla decostruzione di tutto il resto.
Ormai il fumetto è stato sdoganato come linguaggio artistico e come strumento politico (anche se non mancano delle sacche di resistenza che continuano a screditarlo), e Queeranta credo possa tranquillamente rientrare nella categoria di "arte impegnata". Quando hai iniziato a scrivere la tua storia, eri consapevole di scrivere una sorta di manifesto per le persone queer e grasse o eri focalizzata più sull'aspetto autobiografico?
In realtà non ho mai pensato che la mia vita fosse degna di autobiografia, e anzi la mia paura peggiore era che questa storia fosse troppo autoreferenziale e che la gente dicesse tipo "si ma a noi che ci frega degli affari tuoi?", ma la mia intenzione fin da principio era scrivere di qualcosa che conosco per trattare temi più universali, quindi usare l'autofiction come un'espediente per raccontare la storia di molte altre donne come me ma anche di altre persone che per altri motivi non hanno potuto fare coming out da giovani. Per fortuna il riscontro è stato positivo perché anche solo il tema del lutto, in particolare i sentimenti contrastanti dell'affrontare la perdita di un genitore che ti manca da morire che che al contempo ha contribuito a impedirti di essere te stessa e ha fatto errori che ti hanno fatto del mare, ha permesso a molte persone di identificarsi nella storia e trovarci del valore.
Possiamo aspettarci altri tuoi libri a fumetti, quindi?
Mi auguro di sì! Ho già altre storie in mente e concentrarmi per tanto tempo su un progetto nuovo, con un mezzo per me nuovo (che spero di imparare a padroneggiare meglio) mi ha fatta uscire da una crisi creativa e permesso di sperimentare.
Noi non vediamo l'ora!
Intanto, ci sono delle presentazioni di Queeranta o degli altri eventi a cui parteciperai in programma nelle prossime settimane?
Ho fatto un mini tour a luglio e ora ricomincerò a settembre. il 6 sarò a Barletta e poi il 27 settembre inizieranno una serie di date che mi porteranno a Torino, La spezia, Genova, Roma, Firenze, Reggio Emilia, Altamura e Milano. Sarò presente anche al Lucca Comics allo stand di Beccogiallo a fine ottobre.
Spero di vederci presto allora! Grazie mille per il tuo tempo e imboccallupo per tutti i tuoi prossimi progetti!
Grazie a te per questa chiacchierata e per avermi concesso questo spazio!
Grazie a te per questa chiacchierata e per avermi concesso questo spazio!
Per approfondire il tema della fat liberation, conoscere meglio i lavori di Chiara e restare aggiornatə sulle prossime presentazioni: chiaralascura.com e chiaralascura@instagram.
Claudia Maltese (aka clacca)
(Ringraziamo l'autrice per le immagini di questo post, tratte da Queeranta - meglio tardi che mai)