Le lanterne di Nedzu - Storia di un viaggio allucinato fra folklore e globalizzazione
- Questo è il guscio di un vecchio granchio combattente. Si chiamava Asagwara.
- Come è grande!
- Vedi il disegno? È particolare. Ha delle sembianze umane è per questo che, in passato, la gente credeva che questi granchi contenessero le anime dei morti.
Il fumetto giapponese ha da sempre come caratteristica intrinseca la capacità di essere, più di altri, impregnato di cultura estera. Da Tezuka il manga non ha mai smesso di essere una spugna nei confronti delle culture di tutto il mondo, divenendo anche per questo motivo uno dei più efficaci esempi di narrazione in un mondo globalizzato.
Siamo ora giunti a una nuova fase di questo processo. La narrazione dominante non è più soltanto nelle mani dell’occidente e la narrazione orientale non è più di nicchia, né emergente. Gli autori che provengono dal nostro “lato del globo” sono stati giovani proprio nel periodo di massima espansione della cultura del manga, fondando il loro intero immaginario intorno al mondo nipponico.
La globalizzazione però riesce sempre a sorprenderci attraverso i suoi intrichi di natura imprevedibile. Ad esempio: chi mai si aspetterebbe di leggere un fumetto scritto fra Stoccolma, Maputo e Tokyo, la cui storia si rifà pienamente agli stilemi e al tipo di narrazione propri del fumetto giapponese indipendente?
È il caso di Le lanterne di Nedzu di Rui Tenreiro. L’albo, edito da Saldapress nella sua collana Kink (inaugurata da Spa di Erik Svetoft), si colloca in uno strano spazio editoriale (d’altronde sembra essere questa la volontà della collana, pubblicare prodotti di natura estremamente Weird). Il fumetto, infatti, fonde fin da subito un'estetica propria di Gekiga come Tokyo Zombie di Yusaku Anakuma, con un tratto grezzo e un racconto fuori da ogni canone classico.
Le lanterne di Nedzu racconta la storia di Okoye ed Efe, due allenatori di granchi da combattimento. Quest’anno a sfidarsi nel torneo tradizionale saranno la città di Nedzu e quella di Adaeze. Saranno proprio Okoye ed Efe a rappresentare le due città. Ci viene spiegato fin da subito quanto sia profondo il legame fra ogni granchio e il suo addestratore e come i grossi animali dopo aver accettato il padrone diventino estremamente protettivi nei suoi confronti.
I due allenatori si incontrano e si innamorano proprio durante il combattimento fra i loro crostacei, e instaurano un rapporto di cui però sembra che Asagwara, il granchio di Okoye, sia profondamente geloso. La storia prenderà una strana piega quando il granchio gigante inizierà a programmare la sua vendetta nei confronti di Efe.
Il finale di Le lanterne di Nedzu sconvolge e ci lascia dipinta una strana espressione, esattamente come è proprio dei racconti Weird ben strutturati, il nostro volto si contrae per il disgusto e allo stesso tempo si lascia andare a un catartico sorriso.
Da non sottovalutare inoltre sono i pochi, ma ben delineati, personaggi secondari della storia, che attraverso la loro funzione di maschere accompagnano i nostri protagonisti e aiutano il fumettista a raccontarci la loro storia d’amore e di terrore.
La forma del racconto segue la struttura della più tipica narrazione di natura folkloristica, con tutti quelli che sono i suoi stilemi classici in ogni parte del mondo: l’animale come raffigurazione del peccato umano, il fato che accompagna i protagonisti destinati ad un amore difficile, la determinata data che comporta un fatale evento su cui porre attenzione.
Il racconto, ben architettato, è accompagnato da un disegno essenziale e grottesco che cela però in alcune vignette una certa capacità compositiva. A prima vista verrebbe voglia di dire che l’artista riprende semplicemente le mosse dal fumetto indipendente giapponese, a uno sguardo però più attento possiamo vedere quelle che sono le ispirazioni di Tenreiro. Ispirazioni che sembrano attingere a un immaginario ben più ampio, ad esempio la foresta, una delle ambientazioni del racconto, sembra assumere una dimensione grafica più vicina a determinato fumetto indipendente americano o propria dei cartoon anni Cinquanta.
L’autore decide di giocare anche con la definizione degli sfondi, gli elementi naturali si presentano in modo definito, spesso, con linee morbide e accurate ombreggiature, mentre gli ambienti cittadini sono spogli e geometrici. La gabbia fa il suo lavoro egregiamente, senza particolari guizzi, d’altronde nonostante il tratto grafico la storia che leggiamo vuole richiamare il più classico dei racconti e una gabbia ultra-dinamica non sarebbe servita allo scopo.
Non solo il tratto e l’ambientazione richiamano il Giappone ma anche la composizione delle tavole richiama alcune litografie del periodo Tokugawa; i volti sono maschere inquietanti e deformi che rendono teatrali le espressioni dei personaggi contribuendo a dare alla storia un aspetto spettrale.
Le lanterne di Nedzu è un esperimento riuscito sotto tutti i punti di vista. Si tratta di un fumetto estremamente semplice e senza pretese, che riesce però in ciò che si propone. Racconta una storia in modo diretto e secondo un suo linguaggio preciso, con riferimenti precisi a un tempo e a uno stile di narrazione.
Non solo, leggendo il fumetto ci accorgiamo di star osservando l’espressione di un fenomeno storico ben più ampio, che va al di là della volontà dell’autore. Quest’opera fa parte di un processo storico di cui facciamo parte volenti o nolenti, consolidando un'inversione di rotta rispetto a un paradigma a cui tutto il Novecento e i primi anni del Duemila ci hanno abituati.
Dopo un secolo in cui la nostra cultura è stata rimasticata e magnificamente modellata dalle viscere dell’arte del fumetto giapponese è il momento per noi occidentali di rendere omaggio ai grandi maestri che hanno contribuito e costruito il nostro immaginario contemporaneo.
Ci troviamo dunque di fronte a un lavoro chimerico e spiazzante, che non vuole necessariamente piacere a tutti, ed è proprio per questo che assume un carattere personalissimo che rende efficace la sua narrazione, forte e tagliente nella sua semplicità… come essere stritolati da un paio di chele.