Essentials: O.M.A.C. di Jack Kirby

Un tassello fondamentale per capire la poetica di Jack “King” Kirby

Una delle cose che più mi affascinano di questo strano mondo in cui viviamo è come a volte le buone idee possano rovinare tutto.

In grande scala si può parlare di quanto siano belli i fuochi d'artificio fatti con la polvere da sparo, e quanto siano meno belle le armi da fuoco, mentre nel mondo artistico si può pensare come quando ad un autore venga un'idea molto ganza, questa lo possa perseguitare per sempre. 

Certo, aver ideato un concetto interessante ti può portare fama e fortuna, ma ti può anche portare ad essere ricordato solo per una cosa, che magari hai creato in gioventù e nella quale non ti rispecchi più, o puoi trovarti ad inseguire per anni la chimera di un successo passato sperando di ricatturare quella felicità che non trovi nelle tue opere attuali. 

Il problema che aveva Jack “King” Kirby, era che di idee ne aveva qualcosa come cento al minuto.

Probabilmente nella top 5 dei personaggi più influenti della storia del fumetto americano, Jacob Kurtzberg nasceva nel 1917, a New York, e voleva trovare un modo per lasciare il suo quartiere, e dare alla sua famiglia una vita dignitosa, usando l'arte del disegno. 

Potrei stare ore qui a citare aneddoti su aneddoti sull'uomo che in molti chiamano “Il Re del fumetto”, ma non siamo qui per questo (per vostra fortuna) ma la farò breve, giusto per darvi il contesto che serve per apprezzare al meglio quello di cui andremo a parlare: la più grande qualità di Kirby era essere velocissimo nel produrre cose. 

Fate conto che in media Jack disegnava quindici pagine a settimana, a volte pure venti, e in più sputava fuori soggetti per nuovi fumetti e nuove storie in continuazione, tanto che avere una conversazione con lui al ristorante era quasi impossibile, perché dopo quattro parole su qualunque argomento, partivano le idee scarabocchiate sui tovaglioli. 

Questa era una qualità sicuramente apprezzata, ma un cervello così particolare, così fuori fuoco e al contempo stesso concentrato come un laser sul mondo che stava attorno a lui rendeva gran parte delle sua creazioni... strane. 

Infatti, la maggior parte delle opere di maggior successo commerciale di Kirby sono quelle che creò in coppia con altri autori. Ovviamente i più ricorderanno Stan “The Man” Lee, che con la sua parlantina affabulatoria e la sua verve filosofica dava alle sue creazioni quel senso di vero e terra-terra che mancava nell'epica Kirbiana, o quelle create con Joe Simon, un'altra delle teste pensanti più pensanti del mondo del fumetto.

Assieme a Simon infatti, Kirby creò il suo primo grandissimo successo, tale Capitan America ovvero un concetto che racchiude perfettamente le anime anni 40 del nascente fumetto supereroistico: quella cinica fascinazione paramilitare, e la puerile meraviglia di un tizio che in guerra ci va con uno scudo per difendere e non con un'arma per ferire. 

Inutile dire che Capitan America sarà un successo fin dal suo primo numero dove in copertina mollava un cazzotto in faccia ad Hitler, e che il personaggio sarà poi ripreso da dozzine e dozzine di autori che, seduti sulle spalle dei giganti che lo crearono, lo hanno reso poi un personaggio che non ha mai abbandonato le sue contraddizioni, ma le ha forse abbracciate in modalità più o meno di successo. 

Fatto sta che i diritti di Capitan America erano della Marvel Comics, ma negli anni 70 Kirby aveva negoziato un contratto con la rivale Dc Comics. 

Il Re aveva proposto alla casa editrice tutta una serie di titoli molto strani, che Kirby disegnava, sceneggiava ed editava da solo (l'unica cosa che non faceva in pratica era inchiostrarsi) e che avevano avuto successi alterni. Trovatosi uno spazio libero dopo la cancellazione di uno di questi titoli, Kirby tornerà a pensare a tante cose che avrebbe voluto far fare ad una versione futura di Capitan America, e lancerà così O.M.A.C., ovverosia “One Man Army Corps”, l'esercito di un sol uomo, un titolo che non solo è terribile per chi come me detesta mettere in puntini a caso in mezzo a quello che scrive, ma che non lascerà particolarmente il segno nel cuore dei lettori.

Un vero peccato, perché, nel parere di chi scrive, O.M.A.C. è la serie più bella mai scritta da Kirby in carriera, e un tassello fondamentale per capire la poetica del suo autore. 

E se non vi siete persi per strada dopo tutti questi preamboli (ma tanto se mi leggete da un po' ve li aspettavate), vi spiego volentieri il perché. 

La nostra serie prende vita “Nel domani che verrà”, in un non precisato futuro dove ogni forma di violenza può portare ad un escalation che può distruggere il mondo. L'agenzia di pace globale decide di creare una risposta piccola ai grandi problemi del mondo: un soldato solo col potere di un esercito. 

Con l'aiuto del professor Myron Forest viene creato così un super satellite chiamato “Brother Eye”, e scelto un innocuo impiegato chiamato Buddy Blank per dare vita al più grande esperimento che la storia ricordi. 

Fra l'uomo ed il satellite nasce così un rapporto simbiontico: la macchina può infatti irradiare Buddy con varie forme di energia per dargli tutto il potere di cui ha bisogno per affrontare qualunque situazione, non importa quanto pericolosa, trasformando così un solo essere umano in una piccola ma potentissima forza d'assalto al servizio della pace.

Tutto molto chiaro, tutto molto tranquillo, se non fosse che il numero uno di O.M.A.C. non inizia per davvero così, inizia con il climax della storia, con un tizio vestito di colori sgargianti, con il simbolo di un occhio sul petto ed una cresta di capelli stranissima che urla “SONO OMAC! USCITE DA QUESTO POSTO! LO DEVO DISTRUGGERE!”.

Che, se mi permettete, è un modo clamoroso di iniziare qualcosa, ma è vero che l'altra grande opera del Re, Il Quarto Mondo, iniziava con la fine: è facile vedere che Kirby non fosse proprio un novizio nel sovvertire le aspettative. 

Fatto sta che in otto numeri Omac si trova ad affrontare: un sindacato criminale che costruisce donne robot esplosive, un generale folle, un boss criminale super ricco, uno scienziato pazzo, e un racket di trafficanti di esseri umani. 

E di nuovo, torniamo a quella dicotomia primigenia perché sembra tutto molto semplice, ma se si guarda più in profondità, il sindacato costruisce persone robot che possono essere “amici assemblabili” per poter trarre in inganno chi soffre di solitudine, il generale minaccia di fare una guerra nucleare, il super ricco usa i suoi soldi per fare tutto al di sopra della legge, lo scienziato pazzo vuole rubare l'acqua del mondo per tenerlo in ostaggio, ed il racket vende corpi giovani a ricchi anziani perché possono trapiantarci dentro il loro cervello e non invecchiare più. 

E tutto diventa più... inquietante. Non solo perché lo è, per quanto si tratti di un fumetto di supereroi dove un uomo adulto con la cresta (che ha perché ricorda un elmetto da guerra romano) urla frasi senza senso e parla con un satellite a forma di occhio, ma perché c'è tutta una sorta di critica sociale che funziona ancora oggi.

E certo, alcuni concetti della storia sono ciclici, sono insiti nella nostra natura umana, e certo, alcune previsioni sono molto semplici da fare tanto che chiamarle previsioni è dargli troppa importanza... ma resta il fatto che è strabiliante quante cose sul presente ci dica un fumetto scritto nel passato ed ambientato nel futuro. 

Ed è proprio questa ambientazione, questo mondo nuovo così strano ma famigliare che esalta ancora di più la prosa di Kirby. 

Certo, il Re era un mostro del disegno, forse uno dei più grandi, un soggettista di livello, ma dialoghista? Beh, diciamo che il melodrammatico ed il bombastico non funzionano sempre sempre, ma in un mondo così strano, così bizzarro... nessuno non potrebbe parlare che così. 

In un mondo dove tutto va di corsa, dove succedono cento cose al secondo, dove ci sono sempre mille elementi in ogni pagine e l'azione è così frenetica che ci si perde all'interno di ogni pagina, per non parlare delle doppie splash page che il Re usa con rara maestria, il fatto che ci venga ripetuto ogni sei secondi che “Omac” vuol dire “esercito di un sol uomo” è sia straniante, sia rassicurante.

Tutti questi personaggi di contorno che sembrano fuori fase rispetto al mondo reale, a volte fuori fase lo sono davvero, sono talmente presi dal grigiore di questo futuro che non riescono a trovare le parole e sembrano solo sagome di cartone inserite in un'avventura più grande di loro. 

Sarebbe una sovralettura da manuale dire che questo effetto di contrapposizioni sia stato fatto apposta, non credo proprio, ma per un bizzarro caso del destino, o forse perché il Re ha giocato al meglio le sue carte, O.M.A.C. sono otto numeri di un qualcosa che racchiude perfettamente tutto quello che rende Kirby grandiosamente interessante, e terribilmente fiacco. Ed è grazie a questo gioco che mostra il vero volto di chi sta lavorando all'opera, che si riesce a creare questa reazione chimica portentosa che crea un prodotto così semplice e complesso allo stesso tempo. 

D'altronde, proprio il concetto base del personaggio è basato sull'assurdo, un esercito per definizione è fatto da una moltitudine, qui in guerra ci vanno in due (perché va bene tutto, ma Brother Eye fa un lavorone anche se non mena le mani), Omac dovrebbe difendere la pace ma lo fa predicando la violenza, e molte, moltissime altre più o meno simpatiche incongruenze. 

Incongruenze che però non sono presenti nei disegni, anche perché Kirby il linguaggio del fumetto americano aveva contribuito ad inventarlo, ed aveva un occhio sopraffino per la composizione delle tavole, sapendo dove andare al risparmio, e dove esagerare. 

Parlavamo prima delle doppie tavole, maestose, enormi, piene di dettagli anche stupidi.

Nel numero 2, della serie le pagine 2 e 3 sono Omac che sfonda un muro di soldati, e c'è un dettaglio di un malcapitato che prova a tenerlo per un piede che per me è poesia pura, è quel tocco di comicità nella fantascienza che non può mancare, è quel gioco di spinte e controspinte che dona movimento al disegno, è quel meno pieno che si guarda con la mole di soldati sbaragliati come birilli, insomma, è probabilmente il mio disegno preferito mai fatto dal Re dei fumetti. 

E in generale, anche le tavole meno piene, anche i primi piani senza sfondi particolari, sono ben distribuite non solo a livello artistico, ma anche a livello di regia della tavola, di costruzione dell'azione. Aiuta ovviamente che Kirby fosse autore completo del tutto, ma se è vero che a volte il troppo potere non aiuta troppo gli artisti... non è questo il caso. 

A livello di chine, per i primi numeri della serie troveremo Mike Royer, il più fido dei fidi, uno dei pochi inchiostratori che riusciva a tenere il passo del Re... ma che dopo poco dirà “Sono un poco stanco capo”, e lascerà il posto al controverso D. Bruce Berry

Se Royer infatti usava il pennello per dare ancora più corpo alle linee di Kirby che seguiva religiosamente, dimostrandosi uno degli inchiostratori più amati del Re perché riusciva a far perdere pochissimo del disegno originale, Berry, che pur aveva esperienza come illustratore, usava penne con punta sintetica e altri strumenti che rompevano un po' il ritmo del disegno Kirbyano in forme e pattern, rendendo le illustrazioni molto più simili a volantini pubblicitari che a tavole a fumetti, con risultati alterni. Se Royer ingrossava il Re, dandogli potenza e gravitas, Berry schematizzava e semplificava, creando però un effetto di una maggiore sensibilità naïf in alcune tavole da non sottovalutare.

E, giusto per aggiungere un altro fatto buffo, tutte le copertine della serie sono di Kirby ovviamente, tranne quella del numero 8, ultimo della serie che fu elaborata da un disegnatore poco conosciuto, un certo Joe Kubert (per chi non lo sapesse, sono sarcastico, Kubert è uno dei più grandi di tutti i tempi). 

Fatto sta che, per quanto Kirby si divertisse a lavorarci, O.M.A.C. non vendeva abbastanza, e verrà quindi chiuso con quel fatidico ottavo numero, peraltro in mezzo ad un grandissimo cliffhanger, che verrà risolto aggiungendo una vignetta in più all'ultima pagina, che dava una chiusura seppur amara alle avventure dell'esercito di un sol uomo e di suo fratello satellite parlante. 

Come molte cose, la bellezza di O.M.A.C. si può trovare anche nella sua brevità, dopotutto ha potuto sparare a tutta forza tutte le sue cartucce senza poi avere la grande maledizione della stagnazione dei contenuti che hanno avuto altre serie più lunghe, ma al contempo, il finale sebbene agrodolce come la vita, non riesce proprio a soddisfare appieno la grandiosità della serie, ed il suo messaggio tutto sommato positivo.

Avrei voluto fare molte cose parlando di questa serie: avrei voluto iniziare ogni paragrafo con un diverso acronimo per O.M.A.C., avrei voluto raccontare qualche aneddoto in più su Kirby e Simon, così come avrei voluto leggere più di otto numeri di questa storia che era così oltre, che si guardava alla spalle e vedeva il futuro.

Mi accontento di dirvi che negli anni altri autori hanno cercato di ricatturare la poesia brutale di O.M.A.C., con risultati più o meno alterni, cercando magari di focalizzarsi solo sugli aspetti inquietanti, o solo su quelli bombastici.

E forse il segreto era tutto lì, non fermarsi alla buona idea, ma declinarla, farla evolvere. Capire che la cosa importante di un concetto è il suo centro, che deve restare solido a livello narrativo, e poi cambiare tutto quello che c'è intorno, modificarne i confini perché possa abbracciare sempre più persone, senza lasciare nessuno indietro. Chi cerca l'azione, chi legge per distrarsi, chi vuole dei bei disegni, chi vuole dei dialoghi strani. 

Un qualcosa di pioneristico, e contemporaneo, un'Opera Magistralmente Assemblata Creativamente si potrebbe dire.

Un fumetto che senza volerlo, oppure volendolo fortissimo, ha aperto la strada ad un nuovo modo di farli i comics. E, ancora una volta, O.M.A.C. vive, perché la sua arte possa vivere.

Giovanni Campodonico

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