Letture Seriali: Night Fever di Ed Brubaker e Sean Phillips

Il doppio che si tinge di noir

Due: come i lati di questa storia.
Due: come sinonimo di Doppio, che è il tema portante.
Due: come coppia, in questo caso artistica.

Quella formata da Ed Brubaker e Sean Phillips, che ormai l'avrete capito, hanno in questa umile rubrica un posto d'onore, un ingresso VIP garantito, saltando la fila e col buttafuori che fa persino l'inchino quando entrano: non può essere altrimenti. Un team assolutamente rodato, che Saldapress ancora una volta manda alle stampe in un bel volumetto di pregio, stavolta dedicato alla loro ultima fatica, Night Fever, una storia intensa, ricca d'atmosfera e che rilegge, leitmotiv irrinunciabile, uno stilema classico della fiction.

In questo caso particolare, quello che muove storie come Lo strano caso del Dottor Jekyll e del Signor Hyde. Ma non precipitiamo le cose: andiamo, al solito, con ordine.


1978, Jonathan Webb, un agente letterario, si trova in una cittadina francese non meglio precisata (dettaglio reso ininfluente apposta, del resto) per una fiera di settore.

Il Nostro, che un tempo avrebbe voluto fare lo scrittore a sua volta, ha poi accantonato quel sogno per la famiglia, che lo attende a casa. Una moglie, dei bambini, che l'uomo oggi vede come le sbarre di un'invisibile prigione, qualcosa che lo angustia in giornate e situazioni sempre uguali, da affrontare, al pari del suo stesso lavoro, con il pilota automatico.

Sino a quel manoscritto, "E poi il Fuoco" di tal Denn Pickett, che cambia tutto, perché ogni regola, anche quelle autoimposte, ha la sua eccezione. Così Jonathan si ritrova a leggerlo tutto d'un fiato, rimanendo interdetto in particolare quando un risvolto della trama sembra parlargli direttamente. Ne è sicuro, quelle immagini lui le ha già viste in un suo sogno, ma come è possibile? I sogni non dovrebbero essere come i fiocchi di neve?

Una domanda che gli affolla la mente; aggiungeteci l'insonnia, ed ecco che Jonathan decide di uscire a fare due passi nella notte calma e tranquilla. Finisce, non sa spiegarsi manco lui perché, a seguire una coppia vestita in maschera, sino ad imbucarsi ad un party esclusivo (qualcuno più cinico di me lo definirebbe festino), dove conosce il mefistofelico Rainer, che gli farà provare cosa significa lasciarsi finalmente andare, senza più regole, senza porsi nessun limite. Ma sapete come si dice, ad azione corrisponde reazione...


E, sempre come al solito, è qui che io il limite me lo pongo eccome, tirando il freno a mano alla mia voglia di raccontare, anche perché sarebbe non solo delittuoso nei confronti della storia, ma anche del senso di disorientamento che Brubaker e Phillips decidono di comunicare costantemente al lettore, in parallelo con quello del protagonista.

Un uomo grigio, comune, innocuo potreste definirlo, che scopre, con piacere misto a orrore, quanto possa invece essere oscuro il suo lato più nascosto, quello primordiale, quello che ci piace tenere celato per quieto vivere, ma che fa parte di noi: gli serve solo una scusa per venir fuori, senza doversi giustificare dietro chissà che paletti o paraventi morali.

Brubaker scrive questo racconto tenendo sempre fede ai suoi stilemi creativi: voce narrante del protagonista, volontà di scardinare qualche dettame di genere ed imbastire una trama in cui il suo "partner in crime" possa dare piena prova del suo talento innegabile.

In questo caso, mettere a sua disposizione, una volta tanto, uno scenario europeo, dove poter rendere onore a determinate atmosfere e ricercate architetture, senza dimenticare lo scopo per cui siamo qui: una narrazione attenta, viscerale nei suoi colpi di coda.


E in Night Fever, seppur nella sua "brevità" da romanzo grafico, tutto questo non manca, anche se, rispetto ad altre storie più corpose, questa potrebbe sembrare più una fuga, stiloso esercizio per spezzare il ritmo di produzioni pensate per distanze ben più lunghe.

Ma sarebbe un errore, perché Night Fever dice ciò che deve, lo fa con la "solita" attenzione dello scrittore nel tono delle frasi, nel modo di presentare i suoi personaggi senza perdersi in - altrimenti inutili - fronzoli. Testo e disegno si accompagnano, e il ritratto che emerge di Jonathan diventa chiaro, plausibile, perfettamente inserito in una riflessione come quella che trasuda da queste pagine, volutamente ambientate nel passato.

Qui, più che mai, a risaltare non è solo la peculiare predilezione di Brubaker per scenari da amarcord, ma anche la pura e semplice, quanto opportunistica, chiave di volta narrativa: molto di quello che anima la vicenda, infatti, diverrebbe presto implausibile, in questa era moderna, dove ognuno di noi è rintracciabile con un cellulare in tasca.

Invece, nel 1978, lontano da casa, tra le vie di una cittadina straniera, ci si può anche mettere nelle mani di un elegante e violento Lucignolo, pronto a condurci in un Paese dei Balocchi, tra sesso, droghe, ville lussuose ed inseguimenti in macchina.

Ma questo Pinocchio deve fare molta attenzione, perché le conseguenze delle sue bugie potrebbero essere ben più sanguigne e criminali che non un naso che cresce.

Non dimenticate, infatti, che questo è un Noir, una storia con colpi di scena che arrivano a dare ritmo ad una vicenda che prende il tema del Doppio per la gola, lo sbatte ad un muro e lo costringe a guardarsi dentro, a chiedersi, senza mai mollare un attimo, quale sia il vero Jonathan, se il rassegnato agente letterario o l'uomo che invece non disdegna di lasciarsi andare all'ebbrezza, salvo poi, mal di testa incluso, non riuscire a rammentare al mattino.


Non usa pozioni speciali, Brubaker, solo il suo pennino intinto in quel saporito veleno che è la narrativa di genere, perché lo scrittore sa benissimo che non esistono storie veramente originali, tutto è stato già raccontato, dipende solo da come lo scrivi, da come crei l'illusione nel lettore che quella che ha di fronte sia la storia di cui sentiva il bisogno.

Non importa se leggete i fumetti perché cercate evasione, non importa se li chiamate "graphic novel" perché sentite il bisogno di elevare la vostra passione agli occhi degli altri, scegliendo quanti diversi lati di sè, tutti validissimi, questo medium può mostrare: Brubaker sa sempre come, a suo modo, accontentare tutti, e Night Fever non fa eccezione.

Lo potete leggere d'un sorso, potete assaporarlo lentamente, facendo tintinnare il ghiaccio del brivido tavola dopo tavola, magari ammirando una vignetta di Phillips in cui la sua matita ha deciso di essere più rifinita, di destreggiarsi tra le ombre con chine particolari.

Ma il suo gusto deciso vi raggiungerà in ogni caso, così come le sue domande, così come le sue riflessioni, quelle che ti si piazzano come un macigno, e al pari del protagonista, non sai se veramente desideri una risposta. È una storia di fantasia, no? Voglio dire, è sicuro che noi, nella medesima situazione, ci comporteremmo in modo diverso. Giusto?


Perché Brubaker questo tema dell'uomo messo alle strette lo ha affrontato spesso, della persona che svela lati di sè inaspettati per chiunque (basti pensare a Kill or Be Killed), ma stavolta, seppur immettendo nella storia elementi onirici votati all'assurdo e persino al mistico (e son sicuro che Phillips si è dannatamente divertito a disegnarli), la verità è che questa "Febbre Notturna" trova la sua intensità proprio in una sottile, ben celata ma presente, plausibilità d'intenti, richiami violenti a cui non sappiamo rinunciare come divoratori di storie, sopratutto se si è lettori di Brubaker e Phillips, ormai categoria a parte.

Magari, per adattare Night Fever stavolta basterebbe un lungometraggio, più che una miniserie televisiva, a patto non scritto di metterlo nelle mani del regista giusto.

Ma limitandosi alla Nona Arte, un titolo che gli appassionati di questo Dinamico Duo non possono lasciarsi scappare, e non solo per mero completismo di forma, ma perché anche loro sono un Doppio, in perfetto sincrono, di un'unica personalità creativa!

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