Letture Seriali: Kill or Be Killed 4 di Brubaker e Phillips
Una storia che profuma di disperazione e polvere da sparo, che non fa sconti
Il Male Riflesso.
Quello che ci guarda ogni mattina allo specchio: ora che, finalmente, si è conclusa anche in Italia, posso dedicare una Lettura Seriale ad un fumetto che ho particolarmente apprezzato, anche perché assolutamente perfetto per questa umile rubrica.
E non poteva essere altrimenti, visti gli autori in questione, ossia Ed Brubaker e Sean Phillips, un'accoppiata eccellente, una di quelle certezze che quando leggi i loro nomi sulla copertina, sai già che difficilmente rimarrai deluso dal risultato.
Ok ok, sto divagando come mio solito, un vizio che condivido col protagonista di Kill or Be Killed, proposto in quattro volumi cartonati dal team di Mondadori nel catalogo Oscar INK.
Ma immagino che chi di voi si sia messo solo ora all'ascolto (o alla lettura, non ho mai capito bene come si applica la definizione in questo caso) vorrà saperne di più sulla trama, magari attirati dal simpatico giovanotto in passamontagna rosso che sta in copertina.
E d'altronde è proprio con quel passamontagna rosso che vediamo Dylan, il protagonista, per la prima volta, mentre si aggira, armato di fucile a canne mozze, per i corridoi di un palazzo, ammazzando criminali a sangue freddo, spiegandoci, con tono critico, perché lo fa.
Ma al pari suo e di Brubaker, stiamo correndo troppo (e tocca farci l'abitudine perché lungo tutta la storia, questo succederà spesso), così, doveroso passo indietro.
Indietro ad un particolare momento, ad un particolare attimo della tua vita in cui ti rendi conto che nulla va come credi e come vorresti.
Quando senti il peso di un mondo che non gira alla tua stessa velocità, quando cerchi di dare un senso al tuo perenne e senza sbocchi "Giorno della Marmotta", per cui ti alzi, vai ancora all'università, rientri e trovi il tuo conquilino che stringe tra le braccia la tua migliore amica di cui sei segretamente innamorato, quando l'unico contatto umano di rilievo, quello che non ti delude mai, è Rex, il tuo spacciatore di medicinali sottobanco di fiducia.
Così, dopo quell'attimo, arriva una strana epifania, oscura, e quel cornicione ti sembra così invitante. Fai un passo nel vuoto e ti lasci cadere giù, ma per un fortuito e surreale caso sopravvivi alla caduta. Il che rimette tutto in una nuova prospettiva, giusto?
Insomma, hai scampato quella che poteva essere la più colossale ca**ata della tua non-esistenza, ti senti un uomo nuovo. Così ritorni a casa, ti stendi sul letto e una voce ti fa trasalire.
La voce di un demone che è venuto a reclamare il suo debito, per la precisione.
"Una vita per una vita. Una volta al mese dovrai ammazzare qualcuno di cattivo per me. Una specie di affitto, possiamo chiamarlo anche così. E non ti preoccupare, il mondo là fuori è pieno di prede".
Naturalmente, sto parlando di Dylan, non di me stesso, lo dico a scanso di equivoci, prima che vi venga in mente di chiamare la polizia, o il manicomio, visto che, diciamolo fuori dai denti, questa storia del demone sembra davvero pazzia pura, magari l'effetto dello shock che in qualche modo sta mandando la mente a fare strani giri a vuoto.
Però, come è possibile che Dylan, dapprima restio all'idea di uccidere, inizi a stare sempre peggio, come se qualcuno - o qualcosa - gli stesse facendo capire che ha una scadenza da rispettare, che deve credere che sia tutto vero, altrimenti...
Così decide di farlo, decide di dare retta al demone, di farsi "giustiziere", perché il mondo è davvero pieno di prede, di mele marce che aspettano solo di essere tolte dal cesto, perché smettano di contaminare anche quelle buone. Del resto, lo dice anche il titolo, no? "Uccidere o essere Ucciso".
Così, per noi e per il protagonista, inizia un viaggio sul filo della morale, tra criminali russi, segreti del proprio passato (perché, in un vecchio scatolone pieno di disegni del padre di Dylan, c'è raffigurarato lo stesso demone che lo sta tormentando?), rapporti amorosi che si fanno complicati e difficili da incasellare, poliziotte che non smettono di seguire una pista anche quando il colpevole sembra - e dico, sembra - assicurato alla giustizia, e dubbi, dubbi amletici, dubbi che spaccherebbero la testa a chiunque, sino all'ultima pagina...
Criminal, Velvet, Dissolvenza a Nero, Pulp, Incognito, Fatale (di quest'ultimo vi parlerò in una delle prossime puntate, a proposito): se c'è una cosa che Brubaker e Phillips conoscono bene è come giocare con il Crime, inteso come genere.
Lo sanno declinare, lo sanno scovare tra le pieghe del Noir o sotto un mantello da eroe, lo vedono, lo inseguono, lo catturano e lo imprigionano dietro pagine appassionate a misura di comics, omaggiando, creando e destrutturando, ridando lustro a nuove, vecchie, idee.
Così è anche in Kill or Be Killed, una storia ambientata in un contesto urbano, quotidiano, moderno, che anche se datata 2016/2018 (inizialmente, è stata proposta in 20 numeri da Image Comics - come passa il tempo, eh!), potrebbe benissimo, per i temi e la rabbia che la percorre sottopelle, essere stata scritta ieri l'altro.
Una storia dai tocchi inquietanti e sovrannaturali, tosta e che non sembra mai voler fare sconti, né al lettore né ai protagonisti, che parla di giustizia e giustizieri, di fare la cosa sbagliata per i motivi giusti (o è il contrario?), di come il Destino, quel maledetto, sia sempre tre mosse avanti, mentre gli schizzi cremisi riempiono le pagine.
Ed Brubaker si diverte a giocare con la scrittura, con i "trucchi del mestiere", per continuare a tenere desta l'attenzione, per sviluppare la sua storia, dalla quarta parete sfondata a suon di pallettoni, al narratore invisibile forse un po' troppo di parte, sino al continuo andirivieni tra passato e presente, al ritmo di una Serie TV che non riesci a smettere di guardare.
Vorresti spegnere lo schermo, e andare a dormire, ma ti dici "Solo un altro episodio, che vuoi che sia?", ed è proprio quello che Brubaker vuole ottenere, solo che su carta, con quella diabolica certezza che, se sei arrivato a questo quarto volume, allora desideri sapere come andrà a finire, se tutte le tue teorie, tutti i pensieri che inevitabilmente hai raccolto durante i precedenti, si riveleranno azzeccati, oppure "Dannazione! Non ci sarei mai arrivato!".
Brubaker conosce tutti questi sentimenti, ne è lui per primo fruitore, visto quanto ama la narrativa, quanto ama questo genere di storie e con quanto trasporto le approccia, così è lui per primo a divertirsi, quando porta gli eventi al culmine estremo di un cliffhanger, salvo poi uscirsene con "Ops, scusate, ho saltato un passaggio, torniamo indietro", in una divagazione che non vorrebbe diventare abitudine, ma lo è sin dal principio, sempre funzionale in un costrutto di questo tipo, fatto di morte, indagini e colpi di scena, anche personali.
È in quest'ottica che il finale, contenuto in questo quarto volume, sembra risuonare di un'ultima risata sardonica, per una storia dove tutti i nodi sembrano venire al pettine, dove sino all'ultimo lo scrittore si leva quel particolare gusto di sorprendere e ribaltare le molte aspettative, salvo poi concedersi quella nota oscura prima del nero dei titoli di coda. Anzi, del rosso.
Qui solitamente faccio una digressione anche sul lavoro prettamente artistico e visivo del fumetto in esame, ma stavolta mi concedo di mettere prima sotto i riflettori la valente tavolozza di Elizabeth Breitwiser, perché la colorista ha lavorato davvero di fino, sia nel riuscire ad esprimere la freddezza di una New York dai contorni invernali e poi via via, nei vari passaggi di stagione, con una "fotografia" che ha esaltato lo sfondo urbano della Grande Mela nei suoi anfratti meno "turistici" e più normali, quotidiani.
Ma sopratutto nel conferire alla storia tutto il suo calore, che è quello di un colpo sparato a bruciapelo, che è quello del sangue, con quel rosso che stilla prepotente.
Elemento ricorrente, in tutte le sue sfumature. Dal cremisi del passamontagna del protagonista, ai capelli della sua amata (destinati a cambiare, come i suoi sentimenti per Dylan e verso sé stessa, in quel doppio cammino di consapevolezza che propone la storia), alla copertina di un libro, al sangue di cui sopra, che non smette di scorrere lungo tutti i quattro volumi.
Un rosso che è come un drappo, che vela gli occhi di una giustizia cieca, che vede spesso solo ciò che vuole vedere.
È un mondo marcio quello là fuori, è un mondo che abbiamo permesso nascesse e nulla facciamo per ricacciarlo dall'inferno da cui è sbucato, così ecco che quando un demone ci chiede il suo pegno di sangue, la cosa più reattiva che ci sentiamo di fare è punire i cattivi. Lo facciamo per rimanere vivi. Ma se unisci l'utile al disonorevole?
Forse sono io che la sto facendo troppo poetica, forse Brubaker ha solo deciso di mettere in bocca a Dylan quei pensieri di rabbia che nascono dalla lettura dei giornali, pescati perdendo del tempo a sfogliare la home di qualche social, dove il commento velenoso, i toni urlati, le indifferenze a colpi di clickbaiting sono all'ordine del giorno. Così, ha voluto che quelle voci anonime e furenti diventassero la Bibbia del suo antieroe.
Un'ispirazione che ha portato alla creazione di un giustiziere particolarissimo, come particolare è la sua storia, e come particolare è il modo in cui Sean Phillips la illustra.
Stavolta, il tratto non si tinge di quella patina d'altri tempi, si fa più marcato, ricercando una particolare definizione, nei volti e nelle espressioni, più "televisiva" e asciutta, meno "cinematografica" e aulica, più orientata verso una dimensione cruda e moderna, lontana dalle suggestioni di altre storie che lo hanno visto duettare con la penna di Brubaker.
Quest'ultimo scrive e scrive linee di dialogo che sono come proiettili pronti ad essere sparati dritti in mezzo all'anima, così al disegnatore non rimane che dare forma a ciò che accade quando quei proiettili, letterali e metaforici, vanno a segno, con una ricerca continua dell'espressione, e delle lievi differenze tra sorpresa e shock, quello che se ti coglie impreparato, potrebbe segnare la differenza tra vivere e morire.
Nondimeno però, i due autori non dimenticano, non lasciano che il Pulp non trovi il modo di bussare alla loro porta, così, con quello stile tra l'omaggio e la citazione, ecco quei disegni, quei dipinti realizzati dal padre di Dylan, raffiguranti bellissime modelle in pose discinte e in contesti erotico-orrorifico-fantascientifici.
Ritornano spesso, nel corso della storia, sono un perfetto escamotage narrativo che Brubaker sa come sfruttare per far proseguire la trama in molti modi (alcuni anche inattesi), ma anche per permettere al sodale di dare sfogo di una particolare tecnica, aliena solo in apparenza, quasi fosse un'altra mano ad averla realizzata, come a definire un confine tra reale ed immaginifico, salvo poi vederlo cadere alla prima curva narrativa.
Un espediente che diventa Arte nell'Arte, e che la tavolozza della Breitweiser, ancora lei, rende perfetto, un incanto visivo su cui soffermi volentieri lo sguardo, anche se vorresti solo continuare a leggere per scoprire che ne sarà di Dylan e della sua maledizione.
Ma visto quanto il nostro protagonista ama divagare, possiamo anche ritenerlo un peccato veniale da parte nostra, inconsapevoli spettatori di una discesa verso il Male... o la Pazzia? C'è differenza?
D'altronde, i personaggi all'interno di Kill or Be Killed sono estremamente umani, comuni, smarriti, anime fragili, dal passato turbolento ed esistenze tutto meno che perfette, che arrancano, che si aggrappano alla vita, anche se questa fa di tutto per scrollarseli di dosso, e spesso in malo modo, aggiungerei. Ed è questo a renderli veri, interessanti, anche senza demoni prepotenti nei loro efferati e letali ultimatum.
Kill or Be Killed è una storia violenta, che profuma di disperazione e polvere da sparo, senza nessuna poesia e rima baciata, solo abissi oscuri.
Ma dannatamente bella da leggere, appassionante, adulta, che tratta in maniera più equilibrata di quanto sembri un tema purtroppo attuale, sottile, un tema a tratti universale, di istituzioni tradite e che tradiscono, di un sistema corrotto, del farsi giustizia da soli, nella speranza che il Caos trovi il modo di annullarsi da solo.
Se avete modo e occasione di recuperlo, tra gli scaffali della fumetteria di fiducia... beh, fatelo senza indugio.
Non vi prometto un Eroe senza macchia e senza paura, nessuna candida principessa da salvare, ma un Fumetto di altissima Qualità, quello sì!
"Quello che può fare un uomo, possono farlo tutti" (No Prize a chi coglie la citazione!)
Il Male Riflesso.
Quello che ci guarda ogni mattina allo specchio: ora che, finalmente, si è conclusa anche in Italia, posso dedicare una Lettura Seriale ad un fumetto che ho particolarmente apprezzato, anche perché assolutamente perfetto per questa umile rubrica.
E non poteva essere altrimenti, visti gli autori in questione, ossia Ed Brubaker e Sean Phillips, un'accoppiata eccellente, una di quelle certezze che quando leggi i loro nomi sulla copertina, sai già che difficilmente rimarrai deluso dal risultato.
Ok ok, sto divagando come mio solito, un vizio che condivido col protagonista di Kill or Be Killed, proposto in quattro volumi cartonati dal team di Mondadori nel catalogo Oscar INK.
Ma immagino che chi di voi si sia messo solo ora all'ascolto (o alla lettura, non ho mai capito bene come si applica la definizione in questo caso) vorrà saperne di più sulla trama, magari attirati dal simpatico giovanotto in passamontagna rosso che sta in copertina.
E d'altronde è proprio con quel passamontagna rosso che vediamo Dylan, il protagonista, per la prima volta, mentre si aggira, armato di fucile a canne mozze, per i corridoi di un palazzo, ammazzando criminali a sangue freddo, spiegandoci, con tono critico, perché lo fa.
Ma al pari suo e di Brubaker, stiamo correndo troppo (e tocca farci l'abitudine perché lungo tutta la storia, questo succederà spesso), così, doveroso passo indietro.
Indietro ad un particolare momento, ad un particolare attimo della tua vita in cui ti rendi conto che nulla va come credi e come vorresti.
Quando senti il peso di un mondo che non gira alla tua stessa velocità, quando cerchi di dare un senso al tuo perenne e senza sbocchi "Giorno della Marmotta", per cui ti alzi, vai ancora all'università, rientri e trovi il tuo conquilino che stringe tra le braccia la tua migliore amica di cui sei segretamente innamorato, quando l'unico contatto umano di rilievo, quello che non ti delude mai, è Rex, il tuo spacciatore di medicinali sottobanco di fiducia.
Così, dopo quell'attimo, arriva una strana epifania, oscura, e quel cornicione ti sembra così invitante. Fai un passo nel vuoto e ti lasci cadere giù, ma per un fortuito e surreale caso sopravvivi alla caduta. Il che rimette tutto in una nuova prospettiva, giusto?
Insomma, hai scampato quella che poteva essere la più colossale ca**ata della tua non-esistenza, ti senti un uomo nuovo. Così ritorni a casa, ti stendi sul letto e una voce ti fa trasalire.
La voce di un demone che è venuto a reclamare il suo debito, per la precisione.
"Una vita per una vita. Una volta al mese dovrai ammazzare qualcuno di cattivo per me. Una specie di affitto, possiamo chiamarlo anche così. E non ti preoccupare, il mondo là fuori è pieno di prede".
Naturalmente, sto parlando di Dylan, non di me stesso, lo dico a scanso di equivoci, prima che vi venga in mente di chiamare la polizia, o il manicomio, visto che, diciamolo fuori dai denti, questa storia del demone sembra davvero pazzia pura, magari l'effetto dello shock che in qualche modo sta mandando la mente a fare strani giri a vuoto.
Però, come è possibile che Dylan, dapprima restio all'idea di uccidere, inizi a stare sempre peggio, come se qualcuno - o qualcosa - gli stesse facendo capire che ha una scadenza da rispettare, che deve credere che sia tutto vero, altrimenti...
Così decide di farlo, decide di dare retta al demone, di farsi "giustiziere", perché il mondo è davvero pieno di prede, di mele marce che aspettano solo di essere tolte dal cesto, perché smettano di contaminare anche quelle buone. Del resto, lo dice anche il titolo, no? "Uccidere o essere Ucciso".
Così, per noi e per il protagonista, inizia un viaggio sul filo della morale, tra criminali russi, segreti del proprio passato (perché, in un vecchio scatolone pieno di disegni del padre di Dylan, c'è raffigurarato lo stesso demone che lo sta tormentando?), rapporti amorosi che si fanno complicati e difficili da incasellare, poliziotte che non smettono di seguire una pista anche quando il colpevole sembra - e dico, sembra - assicurato alla giustizia, e dubbi, dubbi amletici, dubbi che spaccherebbero la testa a chiunque, sino all'ultima pagina...
Criminal, Velvet, Dissolvenza a Nero, Pulp, Incognito, Fatale (di quest'ultimo vi parlerò in una delle prossime puntate, a proposito): se c'è una cosa che Brubaker e Phillips conoscono bene è come giocare con il Crime, inteso come genere.
Lo sanno declinare, lo sanno scovare tra le pieghe del Noir o sotto un mantello da eroe, lo vedono, lo inseguono, lo catturano e lo imprigionano dietro pagine appassionate a misura di comics, omaggiando, creando e destrutturando, ridando lustro a nuove, vecchie, idee.
Così è anche in Kill or Be Killed, una storia ambientata in un contesto urbano, quotidiano, moderno, che anche se datata 2016/2018 (inizialmente, è stata proposta in 20 numeri da Image Comics - come passa il tempo, eh!), potrebbe benissimo, per i temi e la rabbia che la percorre sottopelle, essere stata scritta ieri l'altro.
Una storia dai tocchi inquietanti e sovrannaturali, tosta e che non sembra mai voler fare sconti, né al lettore né ai protagonisti, che parla di giustizia e giustizieri, di fare la cosa sbagliata per i motivi giusti (o è il contrario?), di come il Destino, quel maledetto, sia sempre tre mosse avanti, mentre gli schizzi cremisi riempiono le pagine.
Ed Brubaker si diverte a giocare con la scrittura, con i "trucchi del mestiere", per continuare a tenere desta l'attenzione, per sviluppare la sua storia, dalla quarta parete sfondata a suon di pallettoni, al narratore invisibile forse un po' troppo di parte, sino al continuo andirivieni tra passato e presente, al ritmo di una Serie TV che non riesci a smettere di guardare.
Vorresti spegnere lo schermo, e andare a dormire, ma ti dici "Solo un altro episodio, che vuoi che sia?", ed è proprio quello che Brubaker vuole ottenere, solo che su carta, con quella diabolica certezza che, se sei arrivato a questo quarto volume, allora desideri sapere come andrà a finire, se tutte le tue teorie, tutti i pensieri che inevitabilmente hai raccolto durante i precedenti, si riveleranno azzeccati, oppure "Dannazione! Non ci sarei mai arrivato!".
Brubaker conosce tutti questi sentimenti, ne è lui per primo fruitore, visto quanto ama la narrativa, quanto ama questo genere di storie e con quanto trasporto le approccia, così è lui per primo a divertirsi, quando porta gli eventi al culmine estremo di un cliffhanger, salvo poi uscirsene con "Ops, scusate, ho saltato un passaggio, torniamo indietro", in una divagazione che non vorrebbe diventare abitudine, ma lo è sin dal principio, sempre funzionale in un costrutto di questo tipo, fatto di morte, indagini e colpi di scena, anche personali.
È in quest'ottica che il finale, contenuto in questo quarto volume, sembra risuonare di un'ultima risata sardonica, per una storia dove tutti i nodi sembrano venire al pettine, dove sino all'ultimo lo scrittore si leva quel particolare gusto di sorprendere e ribaltare le molte aspettative, salvo poi concedersi quella nota oscura prima del nero dei titoli di coda. Anzi, del rosso.
Qui solitamente faccio una digressione anche sul lavoro prettamente artistico e visivo del fumetto in esame, ma stavolta mi concedo di mettere prima sotto i riflettori la valente tavolozza di Elizabeth Breitwiser, perché la colorista ha lavorato davvero di fino, sia nel riuscire ad esprimere la freddezza di una New York dai contorni invernali e poi via via, nei vari passaggi di stagione, con una "fotografia" che ha esaltato lo sfondo urbano della Grande Mela nei suoi anfratti meno "turistici" e più normali, quotidiani.
Ma sopratutto nel conferire alla storia tutto il suo calore, che è quello di un colpo sparato a bruciapelo, che è quello del sangue, con quel rosso che stilla prepotente.
Elemento ricorrente, in tutte le sue sfumature. Dal cremisi del passamontagna del protagonista, ai capelli della sua amata (destinati a cambiare, come i suoi sentimenti per Dylan e verso sé stessa, in quel doppio cammino di consapevolezza che propone la storia), alla copertina di un libro, al sangue di cui sopra, che non smette di scorrere lungo tutti i quattro volumi.
Un rosso che è come un drappo, che vela gli occhi di una giustizia cieca, che vede spesso solo ciò che vuole vedere.
È un mondo marcio quello là fuori, è un mondo che abbiamo permesso nascesse e nulla facciamo per ricacciarlo dall'inferno da cui è sbucato, così ecco che quando un demone ci chiede il suo pegno di sangue, la cosa più reattiva che ci sentiamo di fare è punire i cattivi. Lo facciamo per rimanere vivi. Ma se unisci l'utile al disonorevole?
Forse sono io che la sto facendo troppo poetica, forse Brubaker ha solo deciso di mettere in bocca a Dylan quei pensieri di rabbia che nascono dalla lettura dei giornali, pescati perdendo del tempo a sfogliare la home di qualche social, dove il commento velenoso, i toni urlati, le indifferenze a colpi di clickbaiting sono all'ordine del giorno. Così, ha voluto che quelle voci anonime e furenti diventassero la Bibbia del suo antieroe.
Un'ispirazione che ha portato alla creazione di un giustiziere particolarissimo, come particolare è la sua storia, e come particolare è il modo in cui Sean Phillips la illustra.
Stavolta, il tratto non si tinge di quella patina d'altri tempi, si fa più marcato, ricercando una particolare definizione, nei volti e nelle espressioni, più "televisiva" e asciutta, meno "cinematografica" e aulica, più orientata verso una dimensione cruda e moderna, lontana dalle suggestioni di altre storie che lo hanno visto duettare con la penna di Brubaker.
Quest'ultimo scrive e scrive linee di dialogo che sono come proiettili pronti ad essere sparati dritti in mezzo all'anima, così al disegnatore non rimane che dare forma a ciò che accade quando quei proiettili, letterali e metaforici, vanno a segno, con una ricerca continua dell'espressione, e delle lievi differenze tra sorpresa e shock, quello che se ti coglie impreparato, potrebbe segnare la differenza tra vivere e morire.
Nondimeno però, i due autori non dimenticano, non lasciano che il Pulp non trovi il modo di bussare alla loro porta, così, con quello stile tra l'omaggio e la citazione, ecco quei disegni, quei dipinti realizzati dal padre di Dylan, raffiguranti bellissime modelle in pose discinte e in contesti erotico-orrorifico-fantascientifici.
Ritornano spesso, nel corso della storia, sono un perfetto escamotage narrativo che Brubaker sa come sfruttare per far proseguire la trama in molti modi (alcuni anche inattesi), ma anche per permettere al sodale di dare sfogo di una particolare tecnica, aliena solo in apparenza, quasi fosse un'altra mano ad averla realizzata, come a definire un confine tra reale ed immaginifico, salvo poi vederlo cadere alla prima curva narrativa.
Un espediente che diventa Arte nell'Arte, e che la tavolozza della Breitweiser, ancora lei, rende perfetto, un incanto visivo su cui soffermi volentieri lo sguardo, anche se vorresti solo continuare a leggere per scoprire che ne sarà di Dylan e della sua maledizione.
Ma visto quanto il nostro protagonista ama divagare, possiamo anche ritenerlo un peccato veniale da parte nostra, inconsapevoli spettatori di una discesa verso il Male... o la Pazzia? C'è differenza?
D'altronde, i personaggi all'interno di Kill or Be Killed sono estremamente umani, comuni, smarriti, anime fragili, dal passato turbolento ed esistenze tutto meno che perfette, che arrancano, che si aggrappano alla vita, anche se questa fa di tutto per scrollarseli di dosso, e spesso in malo modo, aggiungerei. Ed è questo a renderli veri, interessanti, anche senza demoni prepotenti nei loro efferati e letali ultimatum.
Kill or Be Killed è una storia violenta, che profuma di disperazione e polvere da sparo, senza nessuna poesia e rima baciata, solo abissi oscuri.
Ma dannatamente bella da leggere, appassionante, adulta, che tratta in maniera più equilibrata di quanto sembri un tema purtroppo attuale, sottile, un tema a tratti universale, di istituzioni tradite e che tradiscono, di un sistema corrotto, del farsi giustizia da soli, nella speranza che il Caos trovi il modo di annullarsi da solo.
Se avete modo e occasione di recuperlo, tra gli scaffali della fumetteria di fiducia... beh, fatelo senza indugio.
Non vi prometto un Eroe senza macchia e senza paura, nessuna candida principessa da salvare, ma un Fumetto di altissima Qualità, quello sì!
"Quello che può fare un uomo, possono farlo tutti" (No Prize a chi coglie la citazione!)