Cuore – We are human after all

Edizioni BD pubblica il nuovo fumetto di Simone Pace, Cuore, che giocando con la favola e con il cyberpunk crea un mondo iconico e immersivo

«Il cielo sopra il porto era del colore di uno schermo televisivo sintonizzato su un canale morto».

Così inizia il più grande – nonché primo – romanzo cyberpunk che la letteratura abbia mai partorito, Neuromante di William Gibson. Romanzo che, in quanto tale, si era munito delle sole parole per dar luogo alla sua cyber-estetica, un’estetica impareggiabilmente deflagrante in associazioni perverse dei “simboli” linguistici fino al limite significativo, una crepola di neologismi privi di corrispettivi reali (almeno per gli anni Ottanta, oggi ci sarebbe da discuterne…) forsennata al punto di riuscire a penetrare dentro il regime della muta immagine, pur senza diritto di cittadinanza apparente.

Insomma, uno sforzo disumano per una rappresentazione impossibile dell’impossibile, munendosi del solo ausilio della parola. Ed effettivamente come altrimenti descrivereste “il colore di uno schermo televisivo sintonizzato su un canale morto”, se non in questo preciso modo?

Ecco.

Vi propongo un’alternativa, allora. Prendete in mano Cuore. Magari godetevi anche un attimo la copertina e le forme del libro, il suo bianco chirurgico che gli fornisce quasi un’aura scultorea… come al solito, a Edizioni BD si vuol solo bene. Ora aprite e iniziate la lettura: oltrepassata la prima griglia a quattro, dove già le intenzioni della palette sono ben chiare, con quella copula fra un rosa che non sai mai se sia intestinale o acrilico, e un azzurro a metà tra una sicurezza alluminica e un’incertezza semiliquida, e arrivate alla prima, ampia panoramica del libro; guardate il cielo: di che colore è?

Lungi dal sottoscritto mettere a paragone le due opere, eh, per carità – sentivo già le molotov crepitare; è indubbio però che già nelle prime cinque immagini, questo fumetto sia riuscito a tradurre oltre la parola quella sensazione propriamente “cyberpunkiana” di sfuggevole malfunzionamento della realtà circostante; un’allerta sottocutanea non ben tradotta, come se la caligine avesse nascosto che qualcuno ha sostituito il sole con una lastra di ottone, o come una gestazione virale ancora inconclusa.

L’occhio puramente – ingenuamente forse – umano del lettore guarda quel cielo ergersi su un orizzonte distrutto e coglie che, al netto dell’apocalisse circostante, c’è qualcosa che non va, un qualche conto che non torna. A volte, molto più della parola, molto più di un plot perfettamente scritto e congegnato o molto più dell’empatia, è la connessione sovralinguistica che instauriamo con un’immagine ad aspirarci in un racconto. È ciò che la rende una grande immagine.

E, beh, Cuore è pieno di grandi immagini. Simone Pace infarcisce la sua nuova opera di angoli impossibili, frammenti di climax, atroci torture o, per l’appunto, cieli intraducibili. Immagini che parlano e che cantano; immagini logorroiche, sequenziate ed evolutesi in un linguaggio fumetto che sì, ha una forte vicinanza alla scansione cinematografica (nel ritmo dei montaggi fra dettagli o nelle ellissi di racconto), ma che altresì sfrutta la natura del mezzo attraverso una bella regia capace di incombere sulla diegesi congelando i movimenti e collegando le forme, con un metodo che non poteva che essere infine terso fumetto.

Fumetto che, appunto, sfruttando il disegno intrinsecamente narrativo (inteso più come “immagine che si racconta” che come “immagine al servizio racconto”) e decisamente iconico di Pace, si addentra nei meandri della complessità del cyberpunk attraverso una narrazione che porta in auge l’ormai millenario scontro natura-cultura, declinandolo nell’ovvia distopia tecnologica che il genere porta con sé: la storia di Alma (o “A1M4”) è quella di un androide ghettizzato, in un mondo che ha rigettato la tecnologia in nome della più controllabile ed empatica – almeno sulla carta – forza lavoro umana.

E, proprio perché la nostra razza è nota per le suddette doti empatiche più in termini di discontinuità che non viceversa, anche questa distopia non si riserva di presentarci la classica guerriglia faziosa per la lotta alla “verità” come mutazione distonica dell’opinione, dove umani fanno la guerra ad altri umani che fanno la guerra agli androidi per un fine che, forse, sembra aver preso una deriva un po’ troppo dogmatica.

Il tutto all’interno di un’ambientazione che quando è metropolitana lo è estremamente, ma che contemporaneamente cerca – e trova – una sua identità anche al di fuori; o meglio, che tramite la colonizzazione del cosiddetto “incontaminato” porta avanti il suo discorso (il che è apprezzabilmente coraggioso, considerando che il cyberpunk è un genere ontologicamente e freneticamente urbano).

Ed è però proprio qui, forse, che il fumetto scivola, flirtando con certe semplificazioni nei temi – li abbiamo detti: shock metropolitano, natura vs cultura, crasi uomo-macchina – e quindi arrivando a una conclusione che, nel gioco delle parti, comporta scelte, narrative come dei singoli personaggi, che risultano sì plausibili e comprensibili, ma più per una dimestichezza con il discorso a monte che non per il discorso dell’opera in sé.

Posto che questo fumetto, contaminandosi con degli elementi da science fiction più tradizionali e con dei pattern narrativi come si suol dire “da manuale”, chiaramente non voglia seguire i tracciati anfetaminici della narrativa cyberpunk più cervellotica e intellettuale (come quella del succitato Gibson o di Bruce Sterling), e che scelga invece un tragitto quasi favolistico e – non venga preso questo aggettivo come una critica – pop, è però vero che questa scelta cada talvolta in un trattamento non incosciente, ma semplice di temi che, per loro stessa natura, richiedono un approfondimento più avanzato di quanto non venga fatto.

L’esempio più lampante è quello legato al tema della problematicità della tecnologia applicata alla vita dell’uomo, in un’ottica di semplificazione della routine verso un crescente – e anestetizzante – comfort, che sì questiona le tendenze tecnofile come pericolose, qualora non vengano contingentate, ma che non si domanda in prima istanza cosa realmente significhi “tecnologia” (banalmente: secondo questa lettura, un aratro è considerabile artefatto tecnologico; un robot sostituisce l’aratro per supportare la lavorazione del terreno e il contadino con il tempo perde le sue abilità, quindi il suo status e la sua utilità sociale. Eppure con l’aratro era indiscutibilmente un contadino: egli allora aveva già compromesso la sua dote manuale con una tecnologia, prim’ancora dell’arrivo del robot, pur essendo la cosa socialmente accettata).

Questo tilt tematico, come detto, comporta infine delle scelte da parte dei personaggi che sono comprensibili, ma non completamente giustificate. Ciò in ogni caso non inficia drammaticamente la bellezza dell’opera, che chiaramente vive soprattutto della sua forza iconica e che proprio in funzione di questa si compie come un’ottima storia, capace di viaggiare tra generi e ritmi diversi sempre con il supporto di un impianto grafico da urlo: non solo la regia e il montaggio di certe scene, di cui abbiamo già parlato; ma anche lettering, world building e, soprattutto, character design – che per quanto riguarda il sottoscritto è, soprattutto in certi elementi robotici che non vi spoilererò, pazzesco – sono di un livello invidiabile e insindacabilmente di grande valore.

In conclusione, possiamo dire che Cuore sia un gran bel fumetto, immaginifico, denso di fantasia nelle idee e nelle rappresentazioni, coraggioso in certe scelte e soluzioni (l’ultima tavola è genuinamente brillante) e, soprattutto, capace di creare un mondo vasto, estatico e fortemente immersivo, che è ciò che molte altre arti invidiano focosamente al caro vecchio fumetto.

Dopo Fiaba di Cenere, Simone Pace compie un ulteriore passo in avanti come uno dei nuovi e più promettenti autori nostrani, soprattutto in funzione di un supporto grafico che è impossibile non riconoscere: come detto, molte delle immagini qui viste sono non solo difficilmente dimenticabili, ma anche e soprattutto tonicamente stimolanti, in termini sia estetici che comprensivi

Aspettando con grande interesse il prossimo lavoro di Pace (o forse dovremmo dire “P4C3”), vi consiglio caldamente di leggere ed immergervi in Cuore, sicuramente tra le migliori uscite dell’ultimo periodo.

Japo Corradini

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