Smack! La rivista di “femminismi disegnati” del Collettivo Moleste
Per tanto tempo sono stati definiti “superflui” ma forse poi tanto superflui oggi non lo sono più. Sto parlando, ebbene sì, dei peli. A questo punto immagino lo sguardo divertito di chi starà leggendo l’articolo, forse sarà invece inorridito, forse ancora cinico.
I peli sanno essere infidi, a volte minuscoli e impercettibili e perciò, come tutto ciò che sfugge al controllo, spaventano molto e irrigidiscono anche le menti dagli ingranaggi meglio oleati, generano scompensi emotivi degni degli scandali alla corte di Enrico VIII - povere “sventurate” mogli, si sa.
Eppure riguardo questi piccoli elementi, diventati negli ultimi anni sempre più spesso star mondiali, simboli di rivoluzione e liberazione, c’è chi con grande impegno ci ha costruito un’opera incantevole: sto parlando di Smack! #1, la rivista periodica pubblicata nel suo primo numero dalla casa editrice Eris Edizioni e nata dall’idea del Collettivo Moleste - creato con l’obiettivo principale di denunciare e combattere i comportamenti abusanti nel mondo del fumetto. Un primo numero uscito il 6 gennaio, il giorno della Befana, per farsi beffe di chi ci vede come streghe ogni volta che parliamo di scandalosi diritti di base.
Immaginate un’intera rivista imperniata attorno al tema centrale e idilliaco del pelo da diversi punti di vista: ci sono i capelli e le storie di resistenza attraverso l’uso delle trecce ma anche delle rasature drastiche, ci sono i peli sotto le ascelle, baffi e monosopraccigli, ci sono storie di depilazione e di non depilazione, c’è il reportage a fumetti di racconti vissuti in prima persona e testimonianze tutto fuorché banali. Se cercate un’antologia del pelo e volete sapere tutto, ma proprio tutto, su una delle caratteristiche più naturali degli esseri viventi, la rivista Smack! deve entrare a far vigorosamente - o villosamente - parte della vostra libreria.
Il perché è presto detto: viviamo in una società cangiante, melliflua nel suo spostarsi continuamente non senza polarizzazioni e lo scopo di ogni nostro sforzo di viventi dotati di coscienza rimane quello di condurre una vita all’insegna della libertà. Sfogliando Smack!, tra i disegni imponenti di artiste eccezionali - mi avvalgo anch’io a ragione, come Eris, del femminile sovraesteso - e gli articoli che li accompagnano, densi di informazioni e importanti considerazioni, non si può far altro che sentirsi capite.
Esistono elementi della quotidianità ai quali spesso non prestiamo la dovuta attenzione, perché se lo facessimo scopriremmo quanta necessità c’è nel comprendere le questioni a cui essi sono legati. Questioni che se analizzate nel profondo fanno emergere problematiche razziali, di genere e si uniscono indissolubilmente alla salute psicologica dei soggetti demonizzati per via delle loro peculiarità.
Smack! fa di grafica e lettering delle componenti di grande impatto e potenza, che bucano la dimensione della carta per giungerci sotto forma di grido di giustizia: esistiamo, dunque fateci esistere - perché non siamo un abominio. Sillogismo applicabile, evidentemente, non solo ai peli.
Pagine di saggistica, incursioni in stile rubrica della settimana titolate #not all women - satiriche, pungenti e geniali, incentrate sulle figure femminili più efferate e criminali della storia - illustrazioni a tutta pagina a prendere il posto degli sponsor, numeri, dati e statistiche, monologhi di stand-up comedy e per chiudere un oroscopo denso di rivoluzione. Tutti questi elementi rapiscono, uno dietro l’altro, senza lasciare lo spazio di un respiro. Si vuole sapere di più, vedere di più, leggerne ancora. Senza contare poi la grande opportunità che Smack! offre, ultima ma non meno importante: quella di portare al pubblico una vastissima rosa di autrici, sceneggiatrici e disegnatrici in un mondo - quello fumettistico, ma non solo - in cui la declinazione al femminile non è per nulla scontata e la voce delle donne non è la prima, ahimè, che si ricorda.
Per descrivere al meglio quest’opera e per sbirciarne tra le pagine, ho deciso di avvalermi della sapiente voce di alcune compagne che hanno partecipato alla realizzazione della rivista.
Tra le fondatrici del Collettivo Moleste, ha contribuito con diversi testi anche alla realizzazione di Smack! #1.
Francesca, da cosa nasce l’idea del Collettivo Moleste e soprattutto, perché iniziare il percorso di una rivista di “femminismi disegnati” proprio dall’argomento peli?
Moleste, così come Smack!, nasce da un’esigenza - che in fondo è sempre quella. Concettualmente, la fondazione di un collettivo e poi della sua rivista è un modo per uscire da un isolamento naturale, quasi fisiologico, per il mestiere del fumettista e autodeterminarsi. Inoltre, sono anche due strumenti decisamente “vintage” per provare a cambiare le cose, in un periodo di grande celebrazione dell’individuo e di graduale scomparsa del cartaceo. Non è una posa controcorrente, ma ricerca di quell’autodeterminazione nel darsi la forma e la struttura che più abbiamo ritenuto giuste per noi e riempirle di contenuti attuali, che poi sono quelli della violenza e della discriminazione di genere, creando così un ponte col mondo esterno. Perché questo sia stato possibile, abbiamo attraversato diverse fasi: dalla costituzione, ormai due anni fa, all’individuazione delle azioni più congeniali al gruppo, alla collaborazione con realtà esterne fino a trovare in un periodico una voce nostra, e uno strumento di ulteriore aggregazione e propulsione.
I peli, come tema del numero 1 (dopo un numero 0 “libero” da ogni tema e traccia) sono stati un pretesto per mostrare le molteplici esperienze e chiavi di lettura di un aspetto del corpo da un punto di vista transfemminista. Il pelo è anche ciò che ci collega al ferino, quello che segnala i cambiamenti in atto nei nostri corpi, è spesso oggetto di giudizi, vergogna, buon costume. Per ogni cultura, il modo in cui il pelo (dal capello al pelo corporeo) è trattato ha una forte valenza, sia quando viene esaltato, sia quando viene negato. Ci permetteva di dare spazio a voci razzializzate, non binarie, di ascoltare persone che non siamo noi e far sì che Moleste diventasse ancora una volta cassa di risonanza. Inoltre il pelo è anche molto diffuso nel linguaggio metaforico, e quasi sempre come qualcosa che infastidisce: qui Moleste si è sentita decisamente a casa - basti pensare al nome del nostro collettivo.
Essendo tra le fondatrici del collettivo, immagino tu abbia seguito anche il work in progress di Smack!, ma hai partecipato con le sceneggiature di “Il Pelo: Istruttoria dell’anno II” e “Trecce”. Com’è stato lavorare a questo progetto e quale pensi sia il seme più importante che una rivista come questa può lasciare dietro di sé?
Per Smack! #1 abbiamo messo su un sottogruppo del collettivo che ha svolto un’attività di redazione, e in effetti ne ho fatto parte. Mi sono occupata principalmente dei contenuti testuali, ovvero tutto ciò che non è fumetto, che invece è stato seguito da Claudia Ianniciello e Giacomo Guccinelli. Si è trattata di una scelta puramente logistica, per gestire meglio il flusso di lavoro e avere un quadro quanto più preciso e rapido possibile dell’avanzamento dei contenuti. Detto ciò, ho riproposto anche due rubriche inaugurate nel numero 0, ovvero l’epopea della Brigata Luxemburg e l’oroscopo finale. Inoltre, ho scritto una storia breve e semi-muta che ha disegnato Caterina Ferrante. Svolgere il doppio ruolo non è stato difficile come credevo, anche perché l’editing naturalmente non è spettato a me, e questo ha permesso uno sguardo oggettivo su ciò che funzionava e ciò che andava corretto.
Il lavoro su Smack!, in generale, ha subìto un normalissimo andamento fatto di alti e bassi, periodi di intenso stress e anche differenze di vedute, che hanno trovato la loro sintesi nella fanzine che potete sfogliare (e leggere). Anche la questione casa editrice non è stata semplice. Avevamo intenzione di chiedere una mano a una realtà strutturata, ma non volevamo farlo a tutti i costi. Il bello di far parte di un collettivo come Moleste è proprio il supporto di un gruppo che tira sempre fuori un piano B o, cosa ancora più straordinaria e preziosa, si concede di aspettare il momento giusto. Questo è valido sia per le nostre parole, sia per le nostre azioni, ed è valso anche con Eris. Erano il nostro “momento giusto”, e sicuramente da quando sono entratɜ in squadra il lavoro è stato affrontato con più serenità e progettualità. Tolto lo stress, una sintesi estrema della lavorazione su Smack! può essere “è stato molto divertente”.
Credo che il senso di Smack! sia la creazione di uno spazio nuovo, uno spazio sicuro di espressione lontana dal male-gaze, che nel nostro linguaggio - quello dell’immagine e del fumetto - l’ha fatta da padrone per troppo tempo. Occorrono sempre più voci e sguardi differenti, punti di vista inediti. Il dibattito su questi concetti, almeno su larga scala, è relativamente giovane ed è entusiasmante vederlo prendere sempre più spazio. Credo anche che la ricerca formale che c’è dietro Smack! la proietti verso una comunicazione sempre più efficace, a volte ironica, a volte intima, ma sempre con una grande qualità artistica. Forma e contenuto che vanno di pari passo, perché anche la tecnica (quando non reprime, ma accompagna) può essere un valido strumento politico. Vorrei che Smack! non fosse letto solo da chi già è d’accordo con noi, ma anche dagli scettici. Probabilmente non farà cambiare loro idea, ma non potranno che apprezzarne la bellezza.
Michela Rossi (aka Sonno)
Illustratrice e fumettista, ha recentemente pubblicato il graphic novel In un soffio (Oblomov Edizioni). Il suo fumetto in due tavole apre la rivista Smack! #1.
Cosa ti ha entusiasmata di più rispetto a questa collaborazione?
Amo e seguo il progetto Smack!, mi piace davvero tanto. Quindi è stata una grande emozione per me partecipare. Poi la libertà e la fiducia con cui si rapportano a ogni fumettista è davvero meravigliosa.
Subito dopo l’editoriale troviamo una doppia splash page spassosissima e, allo stesso tempo, amara perché specchio delle ipocrisie della nostra epoca: “Il grande pelo” è la notizia chiave di un fantomatico tg, dove si narra appunto di un enorme pelo apparso a Roma, a Villa Pamphilj. E di colpo, dal nulla, Elon Musk lo compra e ci monetizza. Ti va di raccontarci i retroscena di questa idea?
Quando mi hanno proposto di scrivere una storia con il tema “pelo” (a proposito, grazie Collettivo Moleste!) la prima cosa a cui ho pensato è stata la vera e propria “pesantezza”, metaforicamente parlando, del concetto di “pelo” nella società attuale. Chi se li toglie, chi li tiene, chi deve dirlo, chi lo nasconde, chi ne fa un vanto e chi, siccome viviamo nel capitalismo sfrenato, ne fa un business e no, non parlo di estetiste e estetisti ma ho voluto trattare un tema che in qualche modo è vicino al pinkwashing.
Illustratrice e fumettista, è firmataria del Collettivo Moleste e ha partecipato alla rivista con un'illustrazione che imita la pubblicità di un magazine.
È stato stimolante partecipare a questo progetto?
Assolutamente, per me è sempre bellissimo partecipare ad autoproduzioni perché secondo la mia opinione lì c'è il cuore del fumetto, anche se in questo caso ho partecipato solo con un’illustrazione. Sono molto fiera di essere firmataria di Moleste e per me la causa transfemminista è importantissima nella vita e nel lavoro, quindi è stata una gioia contribuire alla manifestazione fisica dell’impegno del collettivo.
La tua illustrazione è molto queer, nella rappresentazione vivida di un’intimità ritenuta da molte e molti “molesta”. Come hai raccontato in podcast e interviste, hai sempre realizzato illustrazioni queer. Quanto potenziale risiede, secondo la tua esperienza, in fumetti e riviste a fumetti come Smack!, che portano tematiche intersezionali oltre le parole?
Penso che il potenziale di iniziative del genere sia molteplice, ma soprattutto due aspetti saltano agli occhi (e al cuore) per me: innanzi tutto l’aspetto comunitario, per cui pubblicazioni come questa hanno il potere di far riflettere la nostra esperienza queer tra le pagine, e di farci sentire meno solɜ. In secondo luogo c’è poi l’aspetto divulgativo, per cui oltre a rafforzare la comunità già esistente può avvicinare persone curiose ma non ancora del tutto informate, far riflettere persone che su certi temi non hanno riflettuto e così via. E la dimensione visiva non è secondaria in tutto questo, proprio perché più immediata delle parole, ci colpisce in una maniera che non deve essere per forza ragionata e razionale.
Si occupa del coordinamento del Collettivo Moleste, è fumettista e illustratrice e ha firmato su Smack! #1 le pagine intitolate “The Masquerade”.
Le tematiche urgenti riguardo il femminismo - e non solo - nella società sono molte, e vengono assai dibattute. Ma com’è lavorare per trasmetterle attraverso il disegno?
Penso che le parole siano importanti, e che altrettanto lo sia il dibattito pubblico. Il linguaggio verbale è la base della nostra comunicazione ed è il canale più comune attraverso cui si dialoga. Ma l’immagine ha un ruolo ugualmente potente e radici ancora più antiche. Se è vero che siamo sempre più bombardati da stimoli visivi, è vero anche che spesso sono proprio le parole a bombardarci, ad affollarsi, a volte in modo superfluo. Disegnare, per me, è cercare di eliminare le parole superflue per tentare di arrivare al cuore di un concetto. Ma allo stesso tempo superare la finitezza della lingua con una potenza evocativa diversa e parallela, e probabilmente con una portata empatica maggiore, aggiungendo suggestioni che a parole sarebbe più difficile trasmettere. L’immagine ha di per sé un’immediatezza, una sintesi e un’universalità maggiore. Nel costruirla, però, si maneggia un alfabeto complesso, fatto di più strati: l’impatto emotivo del colore, il segno, il modo in cui si occupa lo spazio, la scelta di cosa disegnare e come, il modo in cui dare forma a un’idea astratta. Con tutti questi strumenti il disegno ha anche la forza - e la responsabilità - di creare un “immaginario sociale”.
Si ragiona per esempio su come rappresentare il corpo, che è parte ed espressione della nostra presenza nel mondo ma per questo anche motivo e veicolo di discriminazioni, ruoli di potere, violenza a vari livelli. Che tipo di corpi disegno? Cosa voglio che comunichino una certa postura, un gesto, una forma? Quale parte del mondo e della società rappresentano, e in che modo, con quale ruolo? Possiamo rompere una serie di stereotipi che fino a ora hanno validato e reso “socialmente accettabili” solo determinati modelli e creare aperture, dare rappresentanza, spazio e riconoscimento a una varietà molto più ampia e inclusiva di persone. Persone che invece sono reali, non solo immagine.
In Smack! troviamo il tuo “silenzioso” racconto a fumetti “The Masquerade”. Ti va di parlarci della genealogia di queste tavole, dall’idea alla realizzazione, e del significato che hanno per te?
Ricollegandomi alla risposta precedente, quando racconto o disegno cerco di “eliminare le parole superflue”, tendo ad andare in territori che non riesco ad attraversare con la parola e con la pura logica. Ho semplicemente lasciato emergere dei temi che nel mio immaginario ricorrono: la perdita dell’innocenza e le forze primordiali che scorrono sotto le maschere. Il pelo - tema portante di questo numero di Smack! - è qui associato al lupo, ovvero l’istinto, la parte animale. Da un lato quella violenta, che prevarica; dall’altro la vitalità e l’energia che guidano l’istinto di sopravvivenza. Ho giocato sul ribaltamento dei ruoli fra i personaggi - un “lupo” e una bambina vestita da classica principessa - usando il montaggio e le inquadrature strette per mantenere una certa ambiguità, per poi aprire la visuale e la gabbia nel finale.
Forse in parte ho voluto liberare la “vittima” attribuendole forza in modo anche provocatoriamente esagerato. Non ci sono inviti e non c’è morale. C’è una Cappuccetto rosso senza cacciatore. A proposito di riferimenti, aggiungo un’ideale colonna sonora: “Boy cried wolf” di Patti Smith e “The curse of Millhaven” di Nick Cave. Fine dello spoiler!
Smack! #1 sta facendo il giro di molte città italiane insieme alle sue creatrici, in una serie di tavole rotonde e firmacopie. Il consiglio è di non perdere d’occhio la pagina Instagram del Collettivo Moleste - oltre, ovviamente, a quello di lasciarvi coinvolgere dalla meraviglia transfemminista della rivista.
Aurora Galbero