Visioni seriali: Dampyr, tra cinema e fumetto

Il film di Chemello che inaugura il Bonelli Cinematic Universe e il suo legame con il fumetto ideato da Boselli & Colombo

Vampiri, di Carta e Celluloide.

Adesso che Dampyr, il film di Riccardo Chemello tratto dall'omonimo e celebre fumetto della Bonelli, è finalmente disponibile per la visione casalinga (mi riferisco sia all'home-video, sia al fatto di trovarlo su piattaforma), e dato che è passato un anno dall'uscita in sala (almeno per quel poco che ci è rimasto), si può provare a tirare delle somme, di quello che, a ben guardare, è stato un esperimento.

E in questo caso, ci sarebbe da fare dei distinguo, mettere di fronte a me uno specchio e lasciar parlare le mie due anime: quella Fumettofila e quella Cinefila.


Se chiedete alla prima, cresciuta con le creazioni della casa editrice di Via Buonarroti e che, 23 anni fa, si trovò davanti questo nuovo coraggioso personaggio, nato dalle idee di Maurizio Colombo e Mauro Boselli, potreste anche notare un leggero velo di commozione negli occhi, dico sul serio: perché Dampyr, il film, è una trasposizione talmente fedele dei primi due albi di Dampyr, il fumetto, da far venire quasi la vertigine.

Al netto di alcuni tagli e modifiche, all'ovvio scopo di trasportare 200 pagine di storia in un fluido lungometraggio di 110 minuti, tutto è preservato, nulla è stato cambiato per venire incontro al gusto di un pubblico più generalista, che magari a malapena conosce il personaggio.

Il casting poi è talmente azzeccato da sfiorare il fanservice: Wade Briggs come Harlan, ma sopratutto Stuart Martin/Kurjak e Frida Gustavsson/Tesla sono fotocopia in carne e ossa della controparte disegnata, doppelgänger che accentuano la vertigine di cui sopra.


Poi però prende la parola l'anima Cinefila: qui l'entusiasmo appassionato si attenua, lasciando spazio al sottile occhio indagatore, che ricerca difetti e pregi con fare critico, analizza questo e quel dettaglio, spulcia notizie d'archivio sulla produzione e usa quanti più elementi in suo possesso per costruire un'analisi che possa essere il più obiettiva possibile.

E la storia su come è stato realizzato Dampyr, da quell'annuncio a Lucca nel 2018 passando per la pandemia e tutte le beghe che si è portata dietro, è davvero lunga, articolata, e dà bene la stura di quanto il progetto sia stato voluto, quanto ci si è voluto credere, quanto la nascita di Bonelli Entertainment parta sicuramente con le migliori intenzioni, in primis quella di sfruttare IP straordinariamente creative ed originali, ma tra dire e il fare c'è di mezzo un mare di problemi, di difficoltà e di cose da sistemare in futuro, in primis - ma non solo - la distribuzione, perché, un anno orsono, non è stata gestita benissimo, ammettiamolo.

Se si guarda alla pellicola diretta dall'esordiente Chemello con l'occhio dello spettatore occasionale, quest'ultimo potrebbe anche dirvi che le differenze con un qualsiasi lungometraggio Netflix (sapete, quelli che prima sarebbero stati dei semplici Direct-To-Video al videonoleggio) sono poche.


Budget ridotto all'osso (e aiutato in questo dalle riprese in Romania, praticamente nelle immediate vicinanze dei luoghi teatro della storia a fumetti originale - un low cost mai così giustificato ed opportuno), nomi di non così sicuro richiamo, a parte il David Morrissey di The Walking Dead come villain (curiosamente, la Gustavsson e Martin hanno raggiunto visibilità proprio partecipando a produzioni Netflix), e una regia priva di fondamentali o particolari guizzi, senza una zampata autoriale forte, definita, ficcante.

Sia ben chiaro, non dico che Chemello non sia stato bravo (ripeto, è un esordio e c'era dietro una bella responsabilità), ma il tutto manca di calore, manca di furia.

Un aspetto, quest'ultimo, a cui hanno per fortuna posto rimedio gli sceneggiatori, che sono lo stesso Boselli, insieme ai colleghi Giovanni Masi, Alberto Ostini e Mauro Uzzeo. È nei loro dialoghi, nel loro voler essere estremamente rispettosi del Dampyr fumetto, che il film acquista un'anima che altrimenti non avrebbe.

Da questa prospettiva, il film mi ha comunicato lo stesso straniamento che provai quando, in quella primavera del 2000, mi approcciai come lettore a Il Figlio del Diavolo. Una storia affascinante, personaggi tosti in mezzo ad un'ambientazione ancora più tosta perché reale, quella della Guerra dei Balcani, a cui si aggiungevano ben altri mostri, zannuti e sanguinari.


C'era il pragmatismo militare di Kurjak, il fascino sensuale e letale di Tesla e quell'antieroe, con le fattezze del Ralph Fiennes di Strange Days e la sicumera incerta dell'uomo sbagliato nel posto giusto.

Ecco, questo lo script a più mani è riuscito a restituirmelo, con la differenza che qui, a differenza dell'albo, non ho la certezza che il mese successivo la storia continui, andando ad ampliarsi di nuovi importanti tasselli, pezzi di un puzzle in narrativo in divenire.

Perché un film è materia ben diversa dalla stessa che anima i sogni a nuvolette parlanti, un film vive di budget, di attori, di errori di percorso, persino.

Il montaggio visivo, la fotografia di Vittorio Omodei Zorini e gli effetti speciali denotano sicuramente della professionalità ma al contempo soffrono, come conseguenza di fondi non esattamente all'altezza, per una pellicola che dovrebbe, nelle intenzioni, aprire le porte ad un universo cinematografico fieramente nostro, di sicuro ben diverso dai colorati baracconi pop d'oltreoceano.

Harlan e Kurjak © Gianfilippo De Rossi.

Quindi non esattamente una bocciatura, quella la si riserva a titoli senza appello e vergogna come Dylan Dog - Il Film, ma di sicuro non si può neanche gridare troppo al miracolo duro e puro, con una produzione che purtroppo deve faticare il doppio per convincere il grande pubblico, quello stesso pubblico che ti ripaga staccando il biglietto e con un acceso e convinto passaparola, e che ti spinge a continuare a puntare su una scommessa che sai di poter vincere, a patto che gli si voglia concedere la possibilità di rimanere in gioco.

Ecco, qui le mie due anime sanciscono, con una stretta di mano, il trovarsi d'accordo su una cosa: Dampyr quella possibilità la merita, proprio in nome della sua fedeltà, che da parte di Bonelli suona come una potente, urlata, dichiarazione d'intenti.

Non vogliamo tradire i personaggi, non vogliamo che i peccati del passato si ripetano (come nel succitato film di DYD, che in comune con l'originale aveva a malapena la giaccia): il nostro è un patrimonio di ottant'anni e più di avventura editoriale, sappiamo quanto queste IP possono regalare in termini di emozioni, e Dampyr è il nostro primo passo. Magari con delle scarpe dalle suole bucate, ma l'importante è muoverlo quel primo passo, perché è così che inizia ogni viaggio.

Harlan © Gianfilippo De Rossi.

Dampyr è sopratutto una pellicola che nasce col cuore, che ha trovato vie efficaci (come la scelta di realizzarlo tutto in inglese), mentre altre hanno bisogno di cambiare punto di osservazione, per capire come rendere un eventuale sequel ancora più solido.
E questa passione è quello che traspare, un crederci davvero e non solo per mero business, un trasporto tale che non merita di passare inosservato.

Perché sì, è vero, Dampyr è un più che buono film di serie B, nell'accezione più positiva che questo termine abbia mai incontrato, un film che sceglie una strada in salita, in un panorama sin troppo affollato, giungendo, anche a livello stilistico, colpevolmente in ritardo di almeno un lustro, se non più.

Eppure, adesso esiste, adesso è fisicamente qui a dirci che la Sergio Bonelli Editore non è solo una Fabbrica di Sogni a Fumetti, che non è solo la casa di Tex, Zagor e Dragonero, ma vuole essere anche una realtà multimediale che si espande, che si proietta verso il futuro, passando attraverso l'epifania, finalmente, che quei Sogni possono essere di altra forma.
Una forma che non rinnega la propria origine, ma vuole correre in sereno parallelo.


Quindi sì, per me Dampyr è promosso, perché ne ho avuto un assaggio, e ne voglio ancora, perché dopo una vita a collezionare albi su albi, a sognare di vedere Darkwood o la Londra dell'Altroquando diventare realtà, non voglio farne a meno.

Quindi sostenetelo, senza acrimonia. Io dal canto mio, oltre a queste mie umili righe e a conservare gelosamente il cofanetto da collezione, sento solo di poter aggiungere che siamo su un percorso da seguire, nella speranza che ci porti lontano, con la certezza assoluta (e sì che di quelle ne abbiamo sempre troppo poche) che, male che vada, avremo sempre i Fumetti!

(Poi, sul serio, recuperatelo, il Dampyr di carta, perché stupendo lo è davvero!)

(Ah, per chi se lo stesse chiedendo guardando la foto, il fumetto incluso nel cofanetto è la ristampa dei primi due numeri, ossia quelli adattati nel film, proposti in un formato speciale e tascabile, della stessa dimensione del Blu-Ray, per intenderci!)



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