Skip & Loafer – La difficile arte di perdersi in un gioco

Il primo numero del manga divertente e divertito di Misaki Takamatsu

Qualche settimana fa si parlava di Entra. di Will McPhail e di quanto intelligentemente il fumetto racconti la complessità sottesa ai rapporti sociali e gli arzigogoli che ognuno di noi nasconde agli altri, talvolta agilmente, talvolta in modi leggermente più maldestri. E leggendolo ricordo perfettamente di come sia rimasto colpito dalla sincerità e dall’acume con cui tutta la questione viene affrontata.

In un mondo – quello del fumetto – che si stratifica sempre più, sia in termini industriali che estetici e narrativi, fra trame e meta trame, tavole che sono sensazionali piscine d’arte, pubblicazioni crescentemente dilatate nel tempo (e chiariamoci, nessuno qui critica la cosa, anzi: sono un grande fan delle follie narrative come di quelle visuali), leggere un fumetto così immediato, così ironico, e soprattutto così capace di rendere questo suo stile faceto una freccia di arguzia perforante, mi sbigottì più di quanto potessi aspettarmi.

Ci vuol coraggio ad essere semplici.

A maggior ragione in un mondo complesso. Chiedetelo a Mitsumi, una neo-liceale che dalla lontana prefettura di Ishikawa nel nord del Giappone si trasferisce a Tokyo per iniziare a frequentare uno dei licei più rinomati della capitale: va da sé che il passaggio dalla vita di campagna a quella di città – e che città – sia quanto più straniante. Proprio questa semplice premessa è il fondamento di Skip & Loafer, manga uscito in patria nel 2018 ed arrivato da noi il 26 di luglio di quest’anno grazie a J-Pop Manga.

Ora, il manuale del bravo recensore (si narra che da qualche parte, nascosto in una grotta in fondo all’oceano protetta da automi atlantidei pronti ad attivarsi e ad uccidere qualora qualcuno si avvicini, esista) vorrebbe che il giudizio complessivo su un’opera venga esplicitato alla fine. Ma proprio perché quest’anno sia Entra. che Skip & Loafer mi stanno insegnando a sbattermene delle regole poste a priori, io inizio dicendovi che questo fumetto è, almeno in questo suo primo volume, un piccolo gioiello.

Perché alla fine il punto focale dell’opera di McPhail (più adulta e autoconsapevole) e quello di questo manga (più adolescenziale e scanzonato) è fondamentalmente lo stesso: il funzionamento dei rapporti sociali, d’amicizia o d’amore che siano, in un mondo complesso e frenetico com’è quello delle moderne città. Ed entrambe colpiscono per la genuinità del loro racconto.

Nello specifico la divertente e divertita opera di Misaki Takamatsu si addentra coraggiosamente nei meandri delle menti adolescenziali - e tutti ben sappiamo i disastri che ci si possono trovare - di una ragazza di periferia, la Mitsumi di cui sopra, e del suo primo incontro in città, Sosuke, un bellissimo ragazzo biondo, alto e, almeno in apparenza, dalla spensieratezza ammaliante (il fatto lui sia tutto ciò che vorrei essere anche io nella vita reale è del tutto irrilevante, ma ci tenevo a sfogarmi), che neanche a farlo apposta sarà anche compagno di classe della nostra protagonista, nonché primo legame d’amicizia che stringerà.

Qui c’è la prima intuizione di Takamatsu: nella maggioranza dei casi, questa impostazione prettamente da shojo (posto che questo manga non è uno shojo) vorrebbe l’innesco di un rapporto d’amore fra i due, se non immediato, quanto meno accennato. E se all’inizio siamo anche portati a pensare che la storia vada in quella direzione, con lo scorrere delle pagine ci rendiamo conto che non è tutto così semplice: entrambi sono probabilmente attratti l’uno dall’altro, ma non c’è mai un momento in cui il rapporto sfoci nel romantico. È una condizione platonica (o “kafkiana”, come direbbe Giacomo Poretti) ed inaspettata in cui i due si trovano. 

E questa scelta consente alla storia di far germogliare un rapporto molto più interessante di uno nato dal canonico colpo di fulmine. È un rapporto laborioso, un po’ ingenuo, ma geniale nel permetterci di capire che tipi siano Mitsumi e Sosuke: lei incantata dalla leggerezza di lui, lui curiosamente affascinato dall’energia disastrata di lei. Che è poi ciò che la rende speciale.

Perché, con grande saggezza ed eleganza, il racconto del primo anno da liceale di Mitsumi si rivela pian piano un alternarsi di gag (una più divertente dell’altra), una dinamica precisamente slice-of-life dove la goffaggine della giovane diventa una costante in cui tutti pian piano arriviamo a sperare, noi lettori come gli altri personaggi. È proprio quest’essenza di Mitsumi, questo suo essere così energica seppur così impacciata e senza filtri (anzi, spesso è questa sua frenesia a costarle certe figuracce), a fare da collante sociale fra ragazzi che altrimenti, limitati dagli infiniti schermi sociali cui si sottopongono, non si sarebbero scambiati nemmeno un saluto.

La vera bellezza di Skip & Loafer sta proprio qui: dovremmo smetterla di prenderci tutti sul serio, di perderci in calcoli sociali basati su gesti, sguardi, messaggi o altri dettagli stupidi, e lasciarsi andare agli altri senza timore di errare o esser giudicati, perché spesso la soluzione più semplice è anche la migliore.

Come dicevamo prima, ci vuol coraggio ad essere semplici.

A tutto questo si aggiunge l’altra ottima intuizione di Takamatsu: Mitsumi è un personaggio frenetico, ansioso e sgarrupato, come abbiamo detto. E sulle sue spalle si regge tutto quanto: se il suo agire si normalizzasse, il gioco sarebbe bello che finito. Perciò sarebbe stato impensabile raccontare questo fumetto con rigore ed ordine grafico. È la storia di Mitsumi, e come tale deve schizzare da una direzione all’altra con verace frenesia, sempre.

L’altra grande bellezza di Skip & Loafer è infatti questa sua iperattività visuale per cui ogni tavola, quasi ogni cambio di vignetta, è un continuo gioco grafico dove il segno si estremizza o si minimizza, dove le forme, i volti, si allungano e si schiacciano senza suggerire limite anatomico alcuno, acuendo al massimo le emozioni dei personaggi senza sfociare nel didascalismo di una linea di dialogo, di una spiegazione parlata.

Skip & Loafer sa di essere un fumetto, e in quanto tale i suoi abitanti possono essere tutto, così come possono esserlo fondali ed ambienti, in un primo momento aula di scuola e l’istante dopo dominio a-spaziale di forme ed immaginari.

Ogni cambio di vignetta è imprevedibile così come il montaggio che – sempre a descrivere il momento emotivo – elide, accelera, allarga o restringe il ritmo come il campo. La ciliegina sulla torta sono le didascalie, le onomatopee, ognuna con uno stile specifico che accompagnano le virate sentimentali con costante garbo e leggerezza, in un gioco di forma sì complesso ma mai bisognoso di attenzione, e quindi perfettamente fluido.

Questo costante tira e molla permette al fumetto di raccontare in una sola immagine cosa pensa un personaggio, cosa pensano gli altri, cosa lui pensa che gli altri hanno pensato, cosa gli altri pensano che lui abbia pensato. Geniale: in ogni pagina, Mitsumi – come chiunque altro – può potenzialmente può scattare dalle giullaresche pose di un personaggio da kodomo agli immobilismi grevi di un personaggio da seinen.

Per questo Skip & Loafer non può essere definito uno shojo: l’impostazione potrà pur essere quella, così come certe dinamiche interazionali (certi rimandi a Kimi Ni Todoke sono innegabili), ma questa schizofrenia visuale cancella la possibilità di una costante estetica - parametro a cui tendenzialmente ci affidiamo per categorizzare un’opera in un genere -, cambiando senza tregua non solo il segno grafico ma anche il registro narrativo.

Un’opera troppo divertita per essere determinabile.

In definitiva e come detto agli inizi, questo primo volume di Skip & Loafer è una vera perla, scorrevole, divertente ed immediata. Una lettura che grazie a questa sua spontaneità non pesa, ma che non per questo si lascia andare al ridicolo ed al superficiale: non un qualcosa da dare per scontato.

Si ringraziano Misaki Takamatsu e J-Pop Manga: nuovo fumetto da aggiungere alla lista dell’hype. L’attesa per il secondo volume sarà tosta…

Japo Corradini




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