Letture seriali: La Fame di Frascaro, Cotrona e Perrone

Quel sottile gusto per il macabro

In tutto questo tempo, da che è nata e curo questa umile rubrica qui sugli Audaci, mi è capitato di passare da una sponda all'altra dell'Oceano e, di quando in quando, ho avuto il piacere di ospitare esponenti del Bel Paese, novità che hanno attirato la mia attenzione.

Una di queste, mi ha colpito sin da quando mi è stata proposta e da quel titolo, La Fame, ben si piazza su quella corrente sottile che ha animato gli ultimi appuntamenti qui su Letture Seriali, ovvero l'Orrore in alcune delle sue molteplici forme.

E quello pubblicato da Ottocervo e firmato da Maurizio Cotrona (testi) e Federico Perrone (disegni), partendo da un racconto inedito di Rolando Frascaro, appartiene a quei ritratti del Male, nella sua forma più sottile, inquietante, quotidiana, quella che può celarsi dietro le tende colorate dei nostri vicini, della signora della porta accanto, quella madre single che cresce da sola sua figlia.

Quello de La Fame è un dipanarsi nel Tempo, un racconto che cresce, che si alimenta di domande che via via trovano risposta, quella stessa che ci è venuta in mente sin dal titolo.

Ma, come al solito, parto per la tangente e mi dimentico che se siete qui è perché magari vorreste anche un piccolo accenno della portata principale. Siamo nel 1971. Dorothy è una bella ragazza appena trasferitasi ad Albuquerque con la sua piccola, Becky. Qui trova lavoro come dattilografa presso lo studio del signor Baninton, un brav'uomo.

La donna conduce così quella che, in apparenza, sembra una vita ordinaria. A noi lettori appare subito chiaro però che sembra esserci un'ombra nella sua esistenza, qualcosa che aspetta solo di dover essere affrontato. Becky, infatti, almeno a sentire il solerte preside Norton, pare soffrire di un appetito... ecco, non propriamente "sano": la bambina ha infatti sempre fame, al punto da chiedere altro da mangiare, oltre le razioni scolastiche.

Dorothy sa in cuor suo di cosa si tratta, qualcosa che è morbosamente legato a quei flashback che le passano davanti agli occhi, di quelli che durano un battito di ciglia, o come nel nostro caso, una vignetta.  Magari, come noi lettori onniscenti vedremo, quello stesso qualcosa che sembra affliggere anche Norton, chissà.

Man mano che il racconto procede, capiamo cosa può esserne stato del padre di Becky e perché non è lì insieme a loro. A dare una scossa a questa ordinaria, seppur "strana", situazione ci penserà il signor Baninton, passando a miglior vita, e lasciando Dorothy nella disperata condizione di dover trovare di che vivere, mentre il segreto di Becky si fa sempre più difficile da comprendere e contenere per una bimba così piccola...

Qui voglio fermarmi, con questo antipasto, perché altrimenti potrebbe passarvi quel sano appetito che storie come questa scatenano, di essere divorate, di essere apprezzate nei loro dettagli, nelle loro sottigliezze, nei loro angoli bui tra gli spazi bianchi.

L'incedere della storia, la sua cadenza, i suoi modi eleganti ma da pelle d'oca, sono gli stessi del cinema indipendente, quello che dice tanto, affidandosi solo a dialoghi affilati, e alla capacità degli attori protagonisti di saperti descrivere il loro mondo.

Un mondo, quello di Becky e Dorothy, che entrerà prepotentemente in collisione con quello di Norton, sullo sfondo degli Anni '70, un periodo scelto storicamente non a caso, perché sono gli anni in cui l'America ha conosciuto l'incubo del Vietnam, portatore di un cuore di tenebra e di riverberi nella società di allora che hanno segnato una precisa epoca.

Ma la scelta è al tempo stesso stilistica, come a ricercare anche in questo quell'eleganza formale di cui sopra, racchiundendo in questa cornice nostalgica qualcosa che sembra quasi appartenere ad un passato che non ci compete più, con quel suo sottintenso così primordiale.

Facciamo che io non ve lo dico, e voi lo intuite, ma sì, quella "Fame" a cui fa riferimento il titolo è proprio quel desiderio perverso di un cibo blasfemo, di una carne proveniente dall'animale più pericoloso, quello con cui ci confrontiamo ogni giorno allo specchio.

Ma non solo, perché quella sceneggiata da Cotrona è una vicenda che parla anche di ben altri appetiti, spesso mai veramente saziabili, che siano sessuali, monetari o familiari, quelle pulsioni fameliche che ci muovono a compiere ciò che dobbiamo per soddisfarle.

Anche se spesso non è ciò che vogliamo, sino a che poi non ci viene presentato il conto, e a quel punto, non siamo veramente più così sicuri di cosa siamo disposti a fare, e dare, per saldarlo.

Dorothy è certo pronta a tutto, pur di proteggere sua figlia, il suo segreto e la sua - seppur già avvelenata - innocenza. Dorothy è una madre, e una madre non conosce sacrificio troppo grande per la sua bambina. Sacrifici non solo fisici, ma anche e sopratutto morali.

La Fame è un racconto che scorre veloce, eppure c'è qualcosa di viscerale che ti costringe a rallentare, a guardare quei volti, quelle espressioni.

La bellezza quasi sofferta di Dorothy, ancora una bella donna, ma con sulle spalle un peso difficile da immaginare. La dolcezza, di Becky, come quella di tutti i bambini, destinata a diventare una giovane che attirerà occhi rapaci e modi viscidi.

E poi lui, Norton, il corrotto diavolo di questa storia, che con quel segreto ha imparato a conviverci, trovando un suo personale modo di procurarsi di che placarlo, anche se non basta, non è mai abbastanza. Non per quelli come lui, uomini piccoli mossi da desideri di grandezza, di dominio, che la vita ha reso così, cinici e cattivi, viziosi.

C'è qualcosa, nel modo in cui Perrore raffigura tutti loro che mi ha messo piacevolmente i brividi, e che mi ha richiamato alla mente il primo Giampiero Casertano, quello che disegnava Attraverso lo Specchio, mentre sondava Memorie dall'Invisibile Dopo Mezzanotte.

Qualcosa che rende quei personaggi così vivi, quasi grotteschi nel modo in cui incarnano i loro sentimenti, portando sulla pelle quello che è il riflesso delle loro anime.

Gli sguardi diventano pozzi in cui perdersi tra espressioni di cupidigia e terrore, e quando la Giustizia, non divina ma profondamente umana, porterà il giusto castigo a Norton, è strano, quasi sottile, il sorriso che si forma agli angoli della bocca, quello stesso che di solito ti spinge a guardare con la lente dell'umorismo nero certe macabre situazioni.

Persino la morte, la carne, intesa come alimento e come elemento sulla scena, assume contorni vividi, mai esasperati nella loro presenza sulla pagina o nella violenza esibita, sempre tenendo il grand guignol a freno, perché questo non è un racconto crudo, ma cotto a fuoco lento.

A renderlo tale, è il pragmatismo dei suoi personaggi, dei protagonisti e del loro posto nel mondo descritto da Frascaro e Cotrona, ma La Fame non è Sweeney Todd, quello che qui avviene è solo l'inquieto orrore della porta accanto, quello che la mattina va a lavoro passando accanto alle miserie di qualcun altro, mentre gli unici dolcetti sono dei classici macarons, ovviamente rossi.

Ecco, il rosso: in quest'opera, l'utlizzo dei colori, di una palette costantemente tendente al cremisi è sì segnale di stile, ma fa assumere all'impianto una profondità che ne esalta il rilievo e la tinge di un'oscurità carnale ancora più incisiva.

Basterebbe anche la sola immagine di copertina, con quello sguardo di Becky fisso oltre il lettore, su uno sfondo e una colorazione che sono varie sfumature di quello scarlatto che fa rima con sangue, forse il colore che più di ogni altro rappresenta il furore insito dentro ognuno di noi, che sia rabbia, passione, desiderio o brutalità.

Il rosso è il colore primordiale, quello che si mischia e dà calore al pallore di vite altrimenti ordinarie, il rosso è lo sguardo vivo di chi ha perso abbastanza, e non è disposta a pagare oltre il dovuto.

Dorothy e Becky, superato il malcelato sarcasmo finale, potrebbero anche tornare in un futuro, o forse no, forse la loro storia è destinata a racchiudersi in questo libricino, forte di un argomento che continua, per ragioni sottili (e che affrontare qui sarebbe sfociare nell'accademico), a fare gola al pubblico, che sia Fumetto, Cinema o Serialità televisiva.

Quello del saziarsi di carne umana, di compiere l'estrema blasfemia nei confronti della vita e dei propri simili, è qualcosa che sembra periodicamente tornare in auge, un tabù che continua a dover essere rievocato, per esorcizzarlo e continuare a definirlo per ciò che è.

Eppure, quando ti capita davanti un racconto come La Fame, capisci che quell'affronto è così affascinante perché il Mostro che lo persegue è proprio il più "normale" che esista.

Non mi metterò a scomodare un certo Dottore che ama servire i suoi ospiti con fave e chianti, però il punto è proprio quello: perché Lecter, ad esempio, ci risulta inquietante e ammaliante al contempo?

Perché diventa un essere zannuto e peloso al chiaro di luna? Perché è un abominio proveniente da un'altra dimensione? Perché è un figlio di una tenebra tanto oscura quanto fantastica e fantasiosa?

No, il punto è che, sinché non sveli il suo "segreto", ti appare come il rinomato professionista che è, un uomo colto, "normalissimo" ed affascinante.

È in questo che La Fame trasmette il suo brivido autentico, proprio nel fatto che Dorothy e Becky potreste ben incontrarle un giorno in pasticceria, e una delle due sorridervi mentre siete in fila ad aspettare il vostro turno, e mai e poi mai andreste a pensare che dietro quel sorriso ci sono denti, labbra e una lingua che hanno assaporato un piacere estremo, efferato, un crimine odioso quanto può esserlo l'umanità stessa.

Perciò, se da appassionati lettori di Fumetti, sentite quel costante appetito verso la scoperta, verso l'esplorazione di nuovi confini, di nuove realtà, artistiche ed editoriali, tenete presente questo consiglio, perché La Fame potrebbe essere la portata indipendente che saprà prendervi... alla gola!


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