Ossario, lasciarsi guidare sulla via della storia breve

Diciannove racconti di Lorenzo Palloni che non lasciano scampo

Per i grandi narratori della contemporaneità, su qualsiasi medium, non è la quantità a fare la differenza, ma la qualità, il senso, la misura, la capacità di proporre storie che sappiano rappresentare una visione coerente e intrigante della nostra realtà. Anche nell'effimero e a volte sfuggente spazio di una storia breve, lunga poche pagine e con la necessità di essere sintetica e ad effetto. Anche lì, ci può essere un mondo.

C'è chi di questo limite di spazio ne fa una scusa, un motivo per non essere riuscito a infilare tutti gli spunti possibili e dunque fa sembrare la brevità una costrizione.

E c'è chi, invece, su questi recinti costruisce scorciatoie. Escamotage (termine non casuale) per esplorazioni altre, sensate, taglienti, efferate.

Quest'ultimo è evidentemente il caso di Lorenzo Palloni, vulcanico e prolifico fumettista in grado di variare tra progetti e generi differenti, ma anche di mantenere una sensibilità autoriale marcata e riconoscibile che lo rende uno degli autori più apprezzati della sua generazione, senza dover scegliere in modo dicotomico tra underground e mainstream, incarnando al contempo sia un sentire autoriale che un gusto popolare. E senza aver necessità di occupare sempre 200 pagine per raccontare un'unica storia intera, prediligendo piuttosto volentieri la struttura della storia breve per dare forma compiuta alle proprie suggestive e feroci visioni.

Con Ossario (recente pubblicazione per la collana Feltrinelli Comics), Palloni ha dato alle stampe un volume antologico pieno di storie brevi "affilate come una mannaia": diciannove affascinanti esplorazioni autoriali nei territori del pulp, del noir, dell'horror e del crime. Storie di genere, nate per esigenze diverse e in periodi differenti, inedite e non, selezionate e agglomerate in un corpus unico e organico. 

Si passa da racconti come L'ultima mano, storia breve e fulminante su una fatale partita a poker col destino (pubblicata in origine sull'inserto La Lettura del Corriere della Sera) a Tunnel, meravigliosa metafora sociale nata per l'antologico Escamotage del collettivo Mammaiuto e scritto e disegnato in sole 48 ore in un contesto alquanto peculiare (come raccontato nell'omonimo documentario di Gabriella Denisi, ogni membro del collettivo doveva trovare diverse strategie per ovviare ai limiti di tempo autoimposti e realizzare storie complete in due giorni).

Storie che affrontano temi importanti e a volte complessi come la guerra (Omagh, vincitrice del contest Matite per la Pace 2008), l'immigrazione (La civiltà quando meno te l'aspetti), la disperazione legata alle condizioni di estrema povertà (I giorni della fame), gli abusi sui minori (Tempo da lupi).


Ogni racconto è introdotto da una citazione letteraria: una di queste è "Il fiume rumoreggiava, e poiché non conosceva nient'altro al di fuori del suo semplice esserci, faceva sé stesso", di Werner Herzog, parole che sembrano descrivere perfettamente la natura dei personaggi di Palloni, che vivono l'unica vita che gli è concessa nell'unico modo che conoscono. Un destino beffardo li attanaglia come una spada di Damocle e loro, piuttosto che nascondere pavidi la testa sotto la sabbia, pigiano a fondo il pedale dell'acceleratore, assecondati dal narratore che li incita a svelare la loro natura e correre incontro al loro fato.

Sono storie che racchiudono in pochissime pagine un intricato cumulo di tensione emotiva e colpi di scena che tiene viva l'attenzione di chi legge fino all'epilogo, senza lasciare scampo.

In queste pagine il mondo si tinge di noir: sono racconti di persone segnate dall'incontro con la morte, che sia la loro, imminente, o quella delle persone intorno. Ecco perché sprofondare in queste perle lucenti di narrazione sequenziale genera una sensazione comparabile alla lettura dell'Antologia di Spoon River: come un novello Edgar Lee Masters, Palloni ci porta su una collina a osservare sogni che si infrangono, promesse non mantenute e, soprattutto, squarci di realtà che rendono vana qualsiasi illusione. Una realtà talmente intransigente, claustrofobica e insopportabile da lasciare come unico desiderio, per i personaggi che la abitano, quello di fuggire. Non importa come, solo fuggire. Senza (quasi mai) farcela.

Racconti che sanno trovare il momento giusto per entrare nelle vite dei protagonisti, che sia un attimo prima di morire o poco prima di tradire qualcuno o altro, sempre evitando di lasciarci troppo con il retrogusto amaro di non aver visto abbastanza, di non aver sbirciato a sufficienza nel buco della serratura per portare un po' di luce sui loro cupi destini.


A proposito di luce, i disegni e i colori meritano un capitolo a parte. Perché, se doveste chiederlo a lui, forse Palloni vi risponderebbe che il suo ruolo è principalmente quello di sceneggiatore e in alcuni casi sceglie anche di disegnarsi le storie per conto proprio (mentre per altre, come L'ignobile Shermann appena uscito per Saldapress o Fortezza volante con minimum fax, "delega" il disegno a talenti assoluti come Alessandra Marsili o Miguel Vila). E ciò è vero solo in parte, perché, quando si prende anche la briga di disegnarle, le sue storie tirano fuori tutto il marciume e l'insopprimibile cupezza del reale, quasi che fossimo davanti a due autori diversi. Il suo tratto spesso, la sua sintesi e - più di tutto - il suo gusto per la composizione della tavola e per il ritmo rendono imperdibili le sue opere da autore completo (come Isole e Delusi dalla preda, due tra gli esempi in formato graphic novel più recenti): proiettili nati per colpirci e per lasciarci secchi.

Non mi dilungherò sulla cura formale delle tavole o sulle regole (implicite, ma evidenti) che lo stesso Palloni spesso e volentieri si autoimpone per costruire una "gabbia" e incasellare le vignette in una struttura ben definita. Vi basterebbe rileggere Mooned per rendervi conto di quanto una struttura rigida entro la quale muoversi con maestria sia sempre stato un cruccio del Palloni autore completo, ma anche un modo di lasciare un'eccezionale impronta stilistica. Oppure dare uno sguardo al Cantico dei complici qui contenuto e osservare come ogni pagina contenga esattamente 10 vignette, ma le stesse vengano disposte in maniera sempre diversa, cercando di assecondare il ritmo del racconto. O alla già citata Tunnel, in cui dribbla efficacemente la necessità di realizzare la storia in pochissimo tempo inserendo sempre solo vagoni di un treno e personaggi in ombra, senza per questo far avvertire che alla storia manchi qualcosa.

Infine, nonostante personalmente sia convinto che il tratto di Palloni si sposi alla perfezione con il bianco e nero, ritengo che questa colorazione tenue, per niente invasiva ma in grado di restituire un sapore nostalgico e a tratti retrò, sia semplicemente perfetta per valorizzare appieno queste pagine. Il grigio, il marrone, il verde e l'arancione portano chi legge ad assuefarsi al disagio della quotidianità dei protagonisti, ci forniscono una lente per osservarli da vicino.

Come dicevo alcune righe fa, qui Palloni si esprime nella sua forma di narrazione prediletta, perché, come dice Michael Connelly, la storia breve è "un viaggio in decapottabile con una sola valigia". Ed è meraviglioso lasciarsi guidare, tra colpi di scena e guizzi narrativi, da un autore che ben conosce la destinazione.

Giuseppe Lamola

Post più popolari