Letture seriali: Una giusta sete di vendetta vol. 2

La conclusione del crime/thriller firmato da Rick Remender e André Lima Araújo

«Che razza di persona si caccia in una situazione simile?»

«Una brava persona»

Ogni tanto mi capita. Di voler tornare sul luogo del delitto, dico. E nel caso del secondo volume di Una giusta sete di vendetta di Rick Remender e André Lima Araújo, l'espressione "luogo del delitto" assume una connotazione sin troppo ironica, lo so.

Ma ora che Saldapress ha mandato alle stampe anche questo secondo e ultimo volume della mini, avverto la possibilità - e il piacere - di potervelo consigliare ancora, di poter aggiungere qualche sfumatura a ciò che ho già detto in passato.

Il primo tomo è stato infatti una delle Letture Seriali degli scorsi mesi e, se volete rileggerla (qui), molto di quanto vi è scritto vale anche in questa occasione.

Non potrebbe essere altrimenti: i due autori continuano nel solco intrapreso tra le pagine del precedente, in una narrazione ad ampio respiro che si è dipanata in un rutilante susseguirsi di colpi di scena, culminati in un'apparizione salvifica.

Tranquilli, non ho, al solito, intenzione di spoilerare, non più di quanto strettamente necessario, sempre per il profondo rispetto che mi lega a chi legge queste mie umili righe, sia per il Fumetto stesso, perché Una giusta sete di vendetta vive dei suoi precisi colpi al cuore, allo stomaco e alla giugulare, lasciando spesso il fiato sospeso.

Come nella migliore tradizione, seriale e narrativa, quando ritroviamo i nostri Eroi, nelle prime pagine del "Capitolo Sei", la situazione sembra opposta a quel respiro, ansimante e carico di adrenalina, con cui li avevamo lasciati. Il panorama che ci si apre davanti, lo scopriremo leggendo, è quello di un preciso salto temporale, nel quale Sonny abbraccia la sua dimensione di fuggiasco, venendo a coscienza che la sua vita di prima non esiste più.

Ora è un uomo braccato, che si ritrova a dover imparare come difendersi, a non esser più un pesce fuor d'acqua in balia degli eventi, ma sapendo come cavalcare la corrente.

Più che una pistola, è un altro tipo di arma, forse più minacciosa ancora, che si ritrova a dover imparare ad usare: il suo cuore. L'inedito ruolo di genitore che il destino sembra volergli affidare, infatti, sarebbe una sfida per chiunque, eppure Sonny, che già ci aveva dimostrato di essere una brava persona, la affronta con un coraggio e una volontà autentica, ferrea, ricca di compassione e comprensione.

Il rapporto tra lui e Xavier costituisce l'ossatura principale di questo volume 2. Remender riesce, con scene mirate (spesso anche senza dialoghi, perché alle volte le parole non sono necessarie), a mostrarci qualcosa di autentico, qualcosa che, quando il Thriller passerà a chiedere il suo, saprà caricare i momenti di tensione di umana apprensione, quella stessa che ti spinge a non mollare la lettura, qualsiasi cosa accada.

Non pensiate che la violenza stavolta sia meno efferata che in precedenza, non pensiate che il calvario sia anche solo minimamente finito, non sottovalutate sin dove può spingersi la matita nel mostrare, rimanendo nei limiti di ciò che è lecito aspettarsi, eppure riuscendo a ferire la retina quanto basta per rimanere debitamente impresso (su questa riga, ritornateci dopo la lettura del volume).

Araújo continua a dimostrarsi un disegnatore da tenere d'occhio, che sa conservare sempre la propria riconoscibile impronta stilistica (difficile, se ancora non lo conoscete, che non vi rimanga scolpita in mente la sua firma artistica dopo questa mini), ma con un senso del ritmo, delle espressioni, della recitazione che mi portano a ripetere un'espressione che già avevo usato: storyboard su carta.

È quello che lui e Remender desiderano consegnarci, è una rilettura, in forma di Comics, di una storia che non sfigurerebbe a grande schermo o tra la programmazione di qualche emittente di lusso americana, di quelle da TV via cavo e tre lettere come acronimo.

Qui però Araújo dimostra anche un'altra padronanza, che è quella dello spazio: come detto, Sonny è in fuga, lo ritroviamo, all'inizio, tra gli alberi di una folta foresta, e vi anticipo solo che non ci rimarrà a lungo, perché scappare significa anche cambiare costantemente orizzonte, sino a raggiungere il limite imposto da una spiaggia o la semplice speranza di averla fatta franca e di poter ricominciare a vivere, di poter, forse, vedere il tramonto e goderselo, senza la costante Spada di Damocle di quel funesto pensiero che possa essere l'ultimo.

E nuovamente, in una bella fusione di penna, matita e tavolozza, a completare il quadro con le suggestioni del colore, arriva Chris O'Halloran che continua la sua sperimentazione riuscita, che accompagna il disegno con le atmosfere visive che solo la policromia può regalare, dall'ombra di un abete frondoso, all'assolato mercato di un paesino sul mare, oppure ancora, al lusso di una prigione per colletti bianchi.

Ma su questo ci torniamo subito, perché c'è prima un altro elemento di cui voglio parlarvi, uno di quelli che si sposa alla perfezione con l'idea di tornare a consigliarvi questa storia che giunge a compimento, una di quelle sottigliezze che fa il paio con qualcosa che avevo notato nel primo volume: di là, erano gli occhi dei protagonisti, il modo in cui Araújo li faceva esprimere, come li caricava di sentimenti immediati per il lettore.

Ecco, stavolta, a colpirmi nel particolare, sono state le mani e il modo in cui il disegnatore le usa, con torsioni lente e curate, a seconda di ciò che vuole mostrare, comunicare. Mani che possono essere strumenti di morte e tortura, mani che possono preparare, con quella stessa precisione affilata, un delizioso piatto da gustarsi con quella medesima brama di vita e sole che diventa sinonimo di felicità, mani che possono stringere un viso in un gesto affettuoso e mani che possono invece forzare il polso del sistema sino a piegarlo alla propria volontà, usando Lady Giustizia come una personale pu prostituta.

Insomma, se siete stati attenti a leggere tra le righe, adesso ve lo dico chiaramente: nel capitolo finale, conosceremo un po' meglio anche il "Cattivo" di tutta questa vicenda.

Intendo il burattinaio, chi ha tirato le fila dei nostri personaggi, siano essi buoni o malvagi, questo perverso Deus Ex Machina che Remender ci aveva già voluto mostrare, ma che stavolta ha bisogno di qualche dettaglio in più, ha bisogno che il suo marcio faccia venire il malessere al lettore. Perché, dopo tutto quello che succede, l'amaro in bocca è il retrogusto che non ti aspetti, mentre vedi quest'uomo, raffigurato come il peggior predatore dell'alta finanza che è, uno squalo, grasso, laido e prepotente, che comanda anche da dietro la prigione dorata in cui la Legge vorrebbe rinchiuderlo.

Ma quando sono i soldi e le persone come te a scrivere quella Legge, la carcerazione diventa vacanza in un resort di lusso, perché non esiste punizione, reale o presunta, non esiste pentimento nella brama di potere che ormai ha preso il posto della tua anima.

Mentre leggi quelle ultime pagine, gravide di un cinismo arcigno, di quella consapevolezza che i buoni non potranno mai vincere contro certi cattivi, come, appunto cinicamente, ci verrebbe da dire avviene nel mondo reale, senti il bisogno di qualcosa che ti sciacqui la bocca da quel sapore così aspro, qualcosa di cui senti davvero la necessità.

Come una Sete. Una Giusta Sete di Vendetta.

Giuro che non lo dico per mero gioco di parole, anche in questo sentivo la necessità di ribaltare l'idea espressa nell'occasione precedente, dove usavo il titolo come escamotage per metafore culinarie più o meno riuscite.

No, stavolta, nelle ultime tavole, e ciò che si portano dietro, ho capito il titolo, ne ho capito la sottile, disarmante, liberatoria importanza, mettendomi, come lettore prima e persona dopo, nella difficile posizione di chiedermi quanto sia giusta questa Sete che provavo, e quanta zona di grigio si possa attraversare per giustificare il sogghigno che ti si piazza in volto quando arrivi all'epilogo.

Sui titoli di coda, una nota di poesia, così mi vien da definirla, sostituisce il "The End".

La miniserie giunge a conclusione, ciò che doveva dire lo ha detto e non ci sono parentesi aperte, rendendo di fatto questi due volumi un perfetto gioiellino da conservare nella propria libreria dedicata ai Fumetti, sopratutto quelli che sembrano volerci lanciare un messaggio, oltre la semplice carta patinata che li avvolge e consegna al lettore.

La cosa è insita più che esplicita, rimane sottopelle, nascondendosi in bella vista sotto l'ombra dell'intrattenimento ad alta tensione, quello stesso che attira chi ama le storie alla Leon ed Era Mio Padre, canovaccio riletto in una maniera inedita ma non troppo, dove alla violenza efferata si accompagna un carattere empatico non così scontato.

Esperienze che rinnovano il piacere di coltivare questa passione e che rendono le nuvolette parlanti un medium pieno, pulsante di idee e di voglia di raccontare.

Qui potrei chiudere ripetendo la metafora della Fame di Buon Fumetto, che è insaziabile come la nostra ricerca di Letture di Qualità.

Ma la verità è che, se proprio devo usare un'immagine per concludere, se devo usare il gioco di parole a tutti i costi, allora preferisco farmi barman. Quando, arrivati al bancone, con quell'aria assorta di chi sta cercando un modo per passare la serata con un buon drink, mi guardate in cerca di un consiglio, so di cosa avete Sete. Di qualcosa di forte, qualcosa di cui possiate sentire il sapore pieno, di qualcosa che sappia di tradizione e che vi conquisti con il suo gusto deciso. Allora prendo la bottiglia di quello buono, come questi due volumi dei Saldatori, lo stappo e ve lo verso, limitandomi a chiedevi solo "Liscio o con Ghiaccio?".

Come un buon Whisky, da bere sino all'ultima pagina!

Il Nerdastro



Una giusta sete di vendetta - vol. 2

saldaPress, gennaio 2023

Testi: Rick Remender
Disegni: André Lima Araújo

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