Affinità-divergenze fra il fumetto e noi - Del conseguimento della maggiore età. 5: Sandman (la serie Netflix)
Sandman, anzi The Sandman, è arrivato su Netflix. A dire il vero è arrivato da un po’, ponendo fine a discussioni su qualche foto del casting, clip, alcuni trailer e ipotesi varie su come sarebbero o non sarebbero stati adattati alcuni passaggi delicati.
Dell’opinione mia e di Luca sul fumetto in sé potete leggere qualcosa nel nostro precedente articolo, ma la possiamo riassumere così: io lo reputo uno dei fumetti fondamentali per chiunque voglia scriverne e leggerne, il mio esimio collega manifesta un pacato ma fermo dissenso.
La serie tv invece ci ha lasciati più concordi: a differenza di tante altre persone, non ci ha convinti del tutto e in queste righe vi diremo perché.
Qualche piccolo disclaimer, prima. Il primo, più importante: tra le ragioni del nostro disaccordo non troverete rant contro personaggi cambiati di genere o etnia, perché riteniamo queste critiche ridicole. Sono argomentazioni già di per sé insulse, a maggior ragione se amate uno dei fumetti che già decenni fa era avanti anni luce nella rappresentazione dei suoi character.
Il secondo disclaimer: nessuno di noi ritiene che The Sandman sia una trasposizione brutta. Le trasposizioni brutte sono altre, come quella roba agghiacciante di Constantine, con un Matt Ryan conciato come un cosplayer raccattato a Lucca, o l’incommentabile Death Note live action. In The Sandman ci sono molti lati positivi, soprattutto se pensiamo alla difficoltà di portare sullo schermo determinati momenti del fumetto. Preludi e Notturni soprattutto, così inizialmente legato al DC Universe.
Sembra tutto perfetto, ma non lo è. Purtroppo.
Ma cominciamo. Vi diremo molto semplicemente cosa ci è piaciuto e cosa no di questa versione televisiva, i punti a favore e quelli che per noi non sono stati il massimo (n.d.r: troverete in corsivo le osservazioni di Luca Frigerio, mentre tutto il resto è firmato da Cristiano Brignola).
Ah, ci saranno spoiler.
A colpire in positivo c’è di sicuro l’amore per i piccoli dettagli. Considerato che Gaiman è tra gli scrittori c’era da aspettarselo, ma non è comunque così scontato, vedere dei poster dei Mucous Membrane nella puntata con Johanna Constantine o Martin Tenbones già dalle prime inquadrature del Dreaming. Sono dettagli inseriti in modo discreto, per non impedire ai neofiti di Sandman la comprensione di quanto stanno vedendo ed evitare di dar loro l’idea di essersi persi qualcosa, ma allo stesso tempo facendo sentire i fan della vecchia guardia “a casa”. Onestamente non mi aspettavo avremmo visto il Gargoyle Goldie o Squatterbloat (promosso a rimatore in assenza di Etrigan).
Inoltre alcuni di questi dettagli denotano già l’idea di un piano a lungo termine: Morfeo che patteggia con Shakespeare, Barbie nel suo sogno legato al Porpentine, Nada, gli accenni a Termidoro… scegliere di non eliminarli è una piccola dichiarazione di intenti riguardo al voler riprendere prima o poi questi fili pendenti (ovvio che poi decide la mannaia di Netflix, che ha falcidiato anche serie ottime come Archive 81).
…allo stesso tempo però non c’è altrettanto amore per l’atmosfera di Sandman. Questo è un punto che per me è davvero difficile da ignorare. Ritengo che la critica fumettistica non abbia mai sottolineato abbastanza quanto una delle reference più smaccate di Sandman fossero le opere di Clive Barker che non a caso viene “omaggiato” (vabbé, chiamiamolo omaggio) in Calliope. Con i racconti di Barker, Sandman condivideva una certa oscurità, una Londra piena di ombre e incantesimi all’angolo della strada, dove la magia è appannaggio dei senzatetto quanto di riccastri poco raccomandabili chiusi in magioni ereditate da generazioni.
È anche in parte il motivo per cui, in Italia, le prime edizioni in spillato della Comic Art avevano quello strillone davvero goffo in copertina: FUMETTO DARK.
32 pagine per 1200 lire, che tempi.
Ecco, di quell’atmosfera dark è rimasto davvero poco e non perché sono cambiati i tempi, ma per una serie di scelte registiche e di fotografia davvero infelici. Tutto sembra perennemente smarmellato ai toni chiari e luminosi di buona parte delle altre serie Netflix. La regia è davvero minimale e anonima: un personaggio a destra e uno a sinistra che si dicono cose, con la telecamera che riprende ora il faccione di uno e ora quello dell’altro.
Fa storia a sé la sesta puntata, ovvero quella forse più attesa dai fan del fumetto: sto parlando di The Sound of Her Wings dove incontriamo Death e Hob, splendidamente interpretati rispettivamente da Kirby Howell-Baptiste e Ferdinand Kingsley. È un episodio 100% Sandman splendidamente scritto e realizzato.
E allo stesso tempo fa eccezione l’episodio speciale che racchiude Il sogno di mille gatti e Calliope: qui una costruzione dell’atmosfera c’è, segno che questa operazione si poteva fare e non era solo legata al budget.
Vogliamo parlare del sogno in cui Rose Walker fa precipitare tutti i suoi coinquilini nel vortice? Sembra girato nel giardino di casa di Gaiman, con luci anonime e sparate e i personaggi tutti intorno in uno spazio ristretto tipo festa delle medie.
Per Sandman – almeno per le parti nei sogni - avremmo voluto più un’estetica weird, magari prendendo quella di Dave McKean non solo per i titoli di coda che vengono immancabilmente tranciati dal meccanismo di binge watching. O almeno delle suggestioni in più nel vedere alcuni luoghi tipici come la Biblioteca, su cui la telecamera si ferma davvero poco.
Mi è parso che ogni volta che compariva in scena Morfeo, a parte forse nel primo episodio, lo facesse senza la minima enfasi da parte della regia. Non si ha quasi mai la percezione di una sua natura soprannaturale, come invece succede quando ci viene presentato Lucifero, l’unico personaggio ad avere una caratterizzazione visiva suggestiva.
Non giova, oltre alla regia, il trucco: trovo una scelta poco comprensibile quella di rappresentare in modo così sciatto alcuni Eterni come Morfeo, che è un tizio qualunque vestito di nero, e Disperazione, che è una tizia qualunque in maglione. Può essere una scelta voluta renderli così simili agli esseri umani eliminando il loro aspetto “alieno” (forse in questo Disperazione ne risulta in qualche modo svecchiata), ma per il momento non mi ha convinto.
Riguardo a Johanna Constantine col suo impermeabile elegante e pulitina, Hettie la Matta linda e pulitissima e Chantal e Zelda banalizzate in questo modo, no, non vi perdono.
Johanna è veramente terribile come personaggio: meglio sarebbe stato far diventare immortale la sua antenata ed evitare questo pallido riflesso di John, sorvolando sul Newcastle incident (sia sul suo svolgimento che sulle sue motivazioni). Anche perché chi conosce il personaggio non apprezzerà molto questa versione; a chi non lo conosceva poco apporterà per lo svolgimento della storia stessa.
Quasi peggio come l’attore che interpreta John Constantine. Quasi.
Soprattutto perché si è persa una bellissima occasione di rappresentare un personaggio femminile hard-boiled, randagio e stropicciato. Dare a Johanna davvero le caratteristiche di John e il suo gusto per l’autodistruzione, ci avrebbe dato qualcosa di piuttosto inedito e a mio parere molto interessante.
Molte scene sono estremamente fedeli al fumetto (o in determinati momenti lo aggiornano in modo efficace come il duello tra Lucifero e Morfeo che, nell’ottica di una serie, forse rende meglio di quello tra Morfeo e Choronzon), ma i cambiamenti non sono stati gestiti nel migliore dei modi.
Qua non sono molto d’accordo con Cristiano: far duellare il Signore dei Sogni con il Signore degli Inferi non l’ho trovata una grandissima trovata, banalizzando la situazione di Morfeo che in quel momento è solo teoricamente portatore del suo rango.
In realtà, le variazioni apportate da The Sandman rispetto al fumetto sono sostanzialmente di due tipi. Quelle macro sono relativamentepoche e sono principalmenteservitie a liberare l’universo narrativo dai legami con il DC Universe. La sensazione che mi hanno dato, però, è spesso quella di essere a volte un po’ arraffazzonati e strumentali: un Corinzio che non mette Jed nel bagagliaio ma se lo porta dietro alla Con dei Serial Killer è improbabile e “serve” solo a far sì che Rose si ricongiunga al fratello, per esempio. La trama legata al talismano protettivo di Dee ha il solo senso di giustificare il non invecchiamento di Ethel, dovuto alla scelta di ambientare tutto nel 2020 e non negli anni Ottanta, e infatti viene sbolognato senza tanti complimenti non appena Dee si intasca il rubino di Morfeo. O ancora Hyppolita Hall che accompagna Rose Walker, diventando subito una presenza ingombrantissima e di troppo nella ricerca della ragazza, è lì solo perché ci deve essere la scena in cui Morfeo uccide Hector. È come se più della storia fossero visibili le esigenze degli sceneggiatori, e questo rende la narrazione meno fluida, la sospensione dell’incredulità più difficile.
Alcuni di questi cambiamenti erano anche interessanti. La sottotrama di Ethel che da protagonista di qualche vignetta nel fumetto diventa un personaggio molto interessante che però viene liquidato per trovare una soluzione veloce all’evasione di Dee.
Menzione d’onore a Jed che dall’abbandono da parte di sua madre riceverà solo bastonate dalla vita: il padre, la coppia di genitori del secolo che lo tengono in cantina, l’omicidio di questi e l’incontro con il Corinzio. Nota finale la scoperta nel massimo momento della sua felicità della morte della madre. Dai Jed ormai è finita, tante care cose.
Le disavventure degli altri personaggi non sono niente in confronto alle sue.
I cambiamenti più sottili invece riguardano il linguaggio.
Lasciatemi uno dei miei rari momenti edgy: io sono convinto che i fumetti siano infinitamente più maturi delle serie tv e che tra i due, il medium da bambini sia più quest’ultimo, tolte le solite dovute eccezioni. In Sandman ho avuto nettamente la prova di questo: se nel fumetto i rapporti tra i personaggi sono raffinatissimi, nella serie tv vengono spesso strillati a beneficio dello spettatore distratto. Un esempio? Il dialogo tra Roderick e Alex Burgess: che fosse abbastanza disfunzionale, nel fumetto, lo sapevamo dal fatto che un bambino di dieci anni circa debba chiamare il padre magus invece di papà o che riceva una lode solo l’unica volta che ha fatto qualcosa di utile per lui: capire che quello imprigionato nella bolla è il Re dei Sogni, non la Morte. Nella serie hanno reso tutto più strillato tra i vari “ti odio, papà”, gracule ammazzate, genitori e figli che si picchiano.
Peggio ancora, il primo episodio viene introdotto dalla voce fuori campo di Morfeo che non manca di spiegarci chi è e che sta andando a prendere a calci in culo il Corinzio, seguito da un dialogo con Lucienne che invece a sua volta spiega al Signore dei Sogni che gli Incubi sono molto potenti nella Veglia (e grazie per l’informazione, Lucienne, sono Morfeo, faccio questo lavoro da prima della Creazione, ti assicuro che proprio non lo sapevo).
La voce fuori campo di Sogno è gestita pure in modo diverso dal fumetto: se lì scandiva un ritmo e contribuiva a sottolineare la lentezza estenuante della sua prigionia, qui funziona per darci informazioni: oltre a dirci chi è Morfeo e cosa fa, anche le conseguenze della sua prigionia, che magari avremmo potuto capire da soli facendo vedere altre persone che come Unity si sono addormentate a tempo indeterminato.
Un discorso correlato è quello sui personaggi.
Ho un certo fastidio verso la tendenza a volerci per forza far empatizzare coi cattivi dando loro una motivazione “giusta”. Io reputo che la serie a fumetti avesse il dono di craere un legame con tutti i personaggi, anche quelli schiettamente mostruosi con ragioni mostruose quanto loro. Ci sono molti modi per farci amare dei personaggi e non tutti riguardano sempre il loro trauma o il loro incidente scatenante.
Nel fumetto di Sandman i cattivi hanno spesso motivazioni egoiste, ma Gaiman è così bravo a scrivere che te le rende comunque persone complesse in cui puoi rivederti. Un esempio per tutti? Alex Burgess nella storia principale non libera Morfeo perché suo padre, nel tempo, l’ha fatto diventare esattamente come lui, a prescindere da quanto il figlio lo odi. Nella serie tv, Alex lo farebbe pure, ma giustamente vuole assicurarsi che prima Morfeo non lo rivolti come un calzino, cosa che il nostro Eterno non vuole fare perché il magus gli ha ammazzato la gracula su ordine di Roderick. Quale delle due motivazioni vi sembra più matura?
Stessa cosa, ma qui si va più a gusti personali, riguardo Dee: gli viene dato l’ennesimo trauma da elaborare (il fatto che sua madre gli abbia spesso mentito) e lo si rende più pietoso facendogli risparmiare la donna che lo ha caricato in macchina. La sfida vinta nel fumetto era di farti percepire “giusta” la scelta di Morfeo nel risparmiare una persona che aveva compiuto azioni aberranti, forse per una sorta di strana pietà nell’aver visto quanto Dee fosse “piccolo” e forse raccontandoci già che un Eterno valuta le persone in modo diverso da noi.
Qui lo schema del dare a un personaggio un trauma e farne estremizzare o distorcere la rielaborazione è in un qualche modo un “giocare sul sicuro”, perché è una serie che deve piacere un po’ a chiunque. Nulla di male, ma è un peccato che la complessità si perda, in una storia fatta di complessità.
Anche le reazioni dei personaggi sono spesso scritte un po’ di volata. Per difendersi davanti a Morfeo, Creta (la versione cheap di Mystica degli X-Men) dice che Jed che è “un bambino che ha subìto abusi”. Sarebbe stata una frase interessante, se la reazione di Morfeo avesse sottolineato un certo stupore nel vedere un Incubo elaborare il concetto di “abuso”. Che Creta, dopo tutti questi anni tra gli umani, capisca cos’è un abuso meglio di Morfeo ci sta, che Morfeo non abbia reazioni nel vedere un Incubo parlarne rende la frase davvero un po’ involontariamente ridicola.
Oppure parliamo di Hyppolita Hall, che resta incinta nel giro di una notte e non ha la minima paura, il minimo turbamento… né tantomeno coloro che la circondano.
Tornando sul personaggio di Creta e sulla spiegazione del suo comportamento mi ha fatto sorridere che lo sta dicendo al suo capo, cioè a uno che non si faceva grandi problemi a spedire all’inferno una sua fiamma (scusate ma non potevo evitare di fare questa simpaticissima battuta). E lo dice senza sapere che Morfeo sta attraversando un periodo di cambiamento e non è più l’inflessibile Padrone del Regno dei sogni.
Prima parlavamo dell’ottima scelta nel casting per alcuni attori e lasciatemi spendere due parole per il grandissimo Stephen Fry che qui interpreta Gilbert e lo fa nel migliore dei modi donandoci in poche scene un personaggio alla ricerca della sua umanità e che sovrasta per bravura tutti gli altri presenti nella casa.
Per finire, non facciamoci mancare un argomento spinoso. Sono personalmente molto contento dell’approccio inclusivista di questa serie, che reputo esattamente in linea con il lavoro di Gaiman non solo su Sandman, ma in generale. Sono stato anche molto incuriosito dagli swap di genere di alcuni personaggi: quando non ci hanno guadagnato (come Constantine) non è stato per colpa dello swap, ma per la scrittura del personaggio in sé.
Malgrado tutto questo, però ho trovato poco azzeccate alcune scelte relative ai personaggi femminili. Il 95% delle volte sono ritratte come delle “brave mamme”. È una “brava mamma” Ethel che scappa perché Roderick vorrebbe farla abortire (a differenza del fumetto in cui scappa perché semplicemente quella vita non le piaceva più, scelta molto più indipendente e complessa). È una “brava mamma” la genitrice affidataria di Jed, in contrasto al violento marito, laddove nel fumetto erano entrambi persone orribili. È una brava mamma Creta, tanto da prendere proprio le fattezze della madre del ragazzo. È ovviamente una brava mamma/sorella Rose Walker, anche se qui si seguono le orme del fumetto. È una brava mamma Hyppolita, molto più che nel fumetto dove il figlio arrivava senza traumi, in un mondo su misura dove la gravidanza aveva tempi e modi tranquilli, a differenza delle circostanze della serie tv che invece, come si è detto, farebbero venire diverse inquietudini a chiunque.
Insomma, a fronte di un’estrema varietà dei personaggi femminili del fumetto, dove avevamo donne altruiste, egoiste, iperprotettive, coraggiose, pavide, empatiche, antipatiche ma tutte in qualche modo indipendenti, questa reiterazione quasi continua della figura materna non mi è sembrata molto efficace o felice. Mi è parso anzi un modo di nuovo un po’ pigro di seguire pedissequamente un modello di personaggio femminile fin troppo rielaborato da autori maschili e decisamente abusato nella letteratura.
Mi pare che l’unica a sfuggire a questo destino siano Johanna (lì fortunatamente il fatto che Astra Logue sia stata inghiottita dall’Inferno le ha impedito una deriva simile) e il Buon Dottore (uno dei tre serial killer che organizzano la Con dei Collezionisti).
All’inizio dell’articolo dicevamo che questa serie non fosse brutta, affatto, e che sia piaciuta a moltissimi che non avevano letto il fumetto.
Questo è un esempio di come il lavoro di Gaiman fosse solido. Parlando del demiurgo inglese ho questa impressione: il fumetto rappresenta il Neil Gaiman giovane e con una visone del mondo, la serie Netflix rappresenta il Neil Gaiman di adesso, con molta più esperienza e fama.
Non che sia un male o un bene, solo la realtà dei fatti.
Cristiano Brignola & Luca Frigerio