Niente di nuovo sul fronte di Rebibbia, il nuovo volume di Zerocalcare

Zerocalcare ancora una volta tra impegno e autobiografia

Capire prima quando tempi cruciali sono alle porte è una dote che hanno in pochi. Per sentire il rumore che fanno quelle porte quando vengono sfondate però basterebbero le orecchie.

(Da Etichette di Zerocalcare, luglio 2021)

A pochi giorni di distanza dall’uscita su Netflix della sua prima – desideratissima e sofferta – serie animata Strappare lungo i bordi e a dieci anni dalla pubblicazione de La profezia dell’armadillo, arriva in libreria il nuovo libro di Zerocalcare, Niente di nuovo sul fronte di Rebibbia, la raccolta delle ultime storie pubblicate sui giornali dalla fine del 2020 fino a quest’estate, a cui si aggiunge una storia lunga che racconta – à la Zerocalcare – la genesi della serie tv che in questi giorni sta generando tanto entusiasmo e apprezzamento tra i fan vecchi e nuovi quanto discorsi che vorrebbero porsi come critiche ma che risuonano tristemente come rosicamenti fini a se stessi – vedi il giornalista che qualche giorno fa si lagnava dell’uso del romanesco per poi dire che in fondo non è tanto grave perché si tratta solo di fumetti, mica di libri.

Tralasciando il peggio che social, giornali e tv riescono a tirare fuori ogni volta che più di venti persone si interessano simultaneamente a qualcosa di notevole, questa nuova raccolta è da intendersi come qualcosa di molto più che una riedizione di storie già apparse (anche molto di recente): Niente di nuovo sul fronte di Rebibbia sembra quasi voler ricordare ai vecchi fan – e spiegare ai nuovi – che accanto ai panegirici sui ceci e alle gare a chi, tra maschi e femmine, subisce la sorte peggiore all’interno dei bagni pubblici c’è uno Zerocalcare da sempre impegnato a raccontare storie che non riuscivano, prima di lui, a trovare spazio nella narrazione e nel dibattito mainstream.

In fondo questo è quello che Zerocalcare è sempre stato e che ci è sempre piaciuto, l’autore capace di parlare – come dice molto meglio di me Giusi Palomba in un articolo uscito qualche giorno fa su Valigia blu – della periferia, non solo quella di Roma, ma di un concetto di periferia inteso in senso più ampio: raccontare quello che accade lontano dal centro, lontano dalle ultime tendenze su Twitter e dai post più discussi su Facebook.

Se il suo linguaggio è identitario, ancora di più lo sono le sue tematiche: conosciamo ormai da un decennio Michele Rech, alcuni da molto prima, dalle prime autoproduzioni, locandine e cover a sostegno di tutte quelle lotte che continua a sostenere nonostante sia diventato un autore capace di superare la buonanima di Andrea Camilleri nelle classifiche di vendita generali. E Niente di nuovo sul fronte di Rebibbia, che nasce come Rebibbia Quarantine e Strappare lungo i bordi nel bel mezzo della pandemia, è una vera e propria antologia dei topoi che più gli sono cari da sempre: c’è il quartiere di Rebibbia e il suo carcere, in cui durante i primi mesi di lockdown si sono scatenate rivolte come in altri istituti penitenziari italiani, quelle rivolte di cui si è parlato poco in tv e quasi sempre in termini di un giudizio spietato che non lascia spazio a un tentativo di comprensione di come realmente sono andati i fatti (salvo poi scandalizzarci – quasi – tutti per un paio di giorni alla vista delle immagini di alcune repressioni disumane e illegali e poi tornare a cianciare felicemente dei fatti nostri), rivolte di cui invece Michele preferisce lasciar parlare quelli che le hanno vissute da vicino e possono finalmente presentarci i fatti sotto una luce nuova – e finalmente più umana.

C’è la crisi sanitaria, vista non attraverso i grandi scandali che hanno infiammato le cronache dello scorso inverno quanto attraverso le storie silenziose delle periferie in cui i presidi sanitari sono ormai assenti, una visione ravvicinata e meno astratta di tutto quello che abbiamo sentito dire dall’inizio del 2020 a proposito della mancanza dei servizi di cura e prevenzione sui territori (ne avevamo parlato anche qui). E non manca nemmeno una nuova riflessione sulla situazione del Kurdistan, di quel popolo che un giorno celebriamo come eroe e martire contro il terrorismo dell’Isis e che il giorno dopo – quando a tirare le bombe è la Turchia – dimentichiamo con assoluta nonchalance.

Accanto all’impegno politico e all’interesse per alcune tematiche che sono state abbondantemente trattate – e spesso distorte – dall’opinione pubblica come la cancel culture, resta lo Zerocalcare autobiografico, paranoico e sempre pronto a sobbarcarsi sulle spalle l’ennesimo fallimento (che però non arriva mai).



Il castello di cartone è l’ultima storia del volume, la più lunga e l’unica inedita, e racconta la genesi di Strappare lungo i bordi, una lunga metafora sull’affrontare i propri mostri interiori, le insicurezze e le paure nello stile che ci siamo abituati a conoscere e ad amare, quel modo di raccontare che ha fatto immedesimare nelle sue storie una generazione intera, la generazione che s’è trovata stritolata dalla crisi economica dopo essere cresciuta all’ombra delle promesse dei boomer, che si è sentita chiamare choosy e bambocciona e che finalmente ha trovato in Zerocalcare una voce capace di raccontarla, di raccontare i suoi fallimenti e i suoi timori, ma anche la voglia di lottare e di trovare, in un modo forse inaspettato e poco
ortodosso, il proprio posto nel mondo.

Claudia Maltese (aka Clacca)




Niente di nuovo sul fronte di Rebibbia
Bao Publishing, novembre 2021

Testi e disegni: Zerocalcare
Colori della copertina (e toni di grigio in Etichette): Alberto Madrigal

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