Lucia Biagi – Il lato pulp del lavoro con il pubblico
A Lucca Comics & Games 2025 l'autrice ci ha raccontato la nascita di Doll's Paradise e il mondo che lo ha ispirato
In Doll’s Paradise, fumetto pubblicato da Eris Edizioni nella collana Gatti Sciolti, Lucia Biagi trasforma le frustrazioni quotidiane di una giovane commessa in un thriller color pastello.
Nell’intervista che abbiamo avuto il piacere di realizzare durante Lucca Comics & Games 2025 abbiamo parlato con l'autrice di questo ma anche del lavoro col pubblico, dell’ironia come strumento narrativo e dell’immaginario che ha nutrito la storia.
Doll’s Paradise a primo impatto è un fumetto dall’aspetto tenero ma nasconde un cuore assolutamente pulp. Racconta la frustrazione di chi lavora a contatto col pubblico e la vendetta di un’insospettabile commessa. Da dov’è partita la scintilla per questa storia? Da un personaggio, da un episodio personale o da un sentimento più universale?
La dura verità è che è estremamente autobiografico. Io gestisco un negozio di fumetti, da quindici anni; quindi, ho sulle mie spalle un po' di stress del lavoro con il pubblico. E tra l'altro in realtà a me piace. Ho anche un po' estremizzato la questione per renderlo efficace.
La tua protagonista non segue la classica parabola da eroina, piuttosto abbraccia quasi una villain origin story. Tralasciando il chiaro intento umoristico e di black humor, possiamo dire che questo abbandonarsi alla vendetta rappresenti anche una forma di liberazione, forse persino di crescita? Possiamo parlare di un lieto fine, per quanto distorto?
Allora, devo dire che ho avuto diversi feedback positivi... quindi funziona molto bene. Evidentemente la gente questo sentimento lo comprende molto. Ho pensato veramente tanto al finale e volevo lasciarlo in un certo senso sospeso, al confine tra la realtà e il suo mondo...
...fatto di suoi viaggi mentali.
Esatto. Quindi ognuno fa la realtà come preferisce. Io nella realtà non ci sono arrivata (a fare come la protagonista nel finale, N.d.A.), quindi ho anche pensato che, se fossi davvero stata io ad andarla a cercare, non l'avrei fatto poi. Quindi lasciamo una duplice lettura giustamente.
I tuoi lavori contengono spesso uno sguardo ironico sul quotidiano. Che ruolo ha l'ironia nel tuo modo di scrivere i fumetti?
Molto, molto importante. Allora, in realtà io sono una grandissima lettrice di drama, thriller, robe super cupe. Però mi approccio alla vita in realtà con molta ironia e anche un po' di cinismo. Beh, la famosa cosa che disse Tuono Pettinato una volta, «quando fai ridere le persone abbatti le barriere ed è il momento in cui è facile anche farle piangere». Quindi è molto efficace per ficcare poi delle coltellate, ecco, far ridere la gente, perché quello è il momento in cui si rilassano.
Doll’s Paradise vive di una dissonanza affascinante. L'estetica tenera quasi da manga shoujo convive con un tono più thriller. Come hai lavorato per bilanciare questi due registri così diversi su cui gioca l'intero fumetto e come e quanto per te il colore partecipa a questo tipo di narrazione?
Io sono una grande lettrice di manga: per quanto nei miei libri precedenti magari si veda un pochino meno nella grafica, ma più magari nelle scelte narrative, mi rifaccio tanto al manga.
Questa volta ho anche potuto scegliere di starci più vicina anche nel character design. Sono una grande collezionista di giocattoli, quindi ho disegnato il fumetto direttamente da casa e avevo un palco di “cosettini”, tutte cose che ho lì, intorno a me, che mi guardavano. Quindi è stato molto facile lavorare e tra l'altro è stato proprio un flusso di coscienza.
Cioè, a differenza di The Cyan’s Anthem dove ho dovuto costruire una trama molto complessa, qua era molto lineare e scivolava giù dritta. Quindi il lavoro è stato davvero piacevole e liberatorio.
La questione del colore, a cui in realtà sono molto legata, negli altri libri ho sempre usato il colore, questa volta l’ho messa da parte. Siccome il formato mi richiamava proprio l’idea di un piccolo manga, sono tornata ai retini e al bianco e nero, che secondo me funzionavano benissimo. Per la copertina però ci siamo poi sbizzarriti, lì ho recuperato.
C’è molto della nostra generazione in Doll’s Paradise: la precarietà, la fatica del lavoro col pubblico, la stanchezza cronica che arriva a diventare identità generazionale. Volevi rappresentare una vendetta contro questo sistema o un atto di resistenza?
Allora, domandona difficile. Non so se possiamo definirlo un atto di resistenza, un po' troppo alta come cosa forse.
È difficile, a volte, riuscire a staccare da ciò che è importante e ciò che non lo è, perché quando finisci la giornata lavorativa e ti porti davvero tutto nel letto, quando ti addormenti, forse sì, un po’ di limiti lì ci aiuterebbero a lasciar cadere queste cose… Io, in realtà, sono una che poi gestisce abbastanza bene questi aspetti: questo è stato un episodio specifico che mi ha fatto particolarmente sbroccare. Però il mio lavoro in negozio non è uno stress continuo: secondo me ci sono situazioni lavorative ancora peggiori di cui bisognerebbe parlare, ecco. Non voglio fare la paladina degli sfruttati, perché non è assolutamente così.
Invece i tuoi principali riferimenti artistici che hanno nutrito l'immaginario di Doll’s Paradise? Abbiamo detto un po' il manga...
Un po' il manga. Sono cresciuta negli anni ’80, quindi tutti i giocattoli vintage, quelli più vecchi, tutti quei mondi lì. Per esempio i Sylvanian Families, che ormai esistono da 35 anni, continuano ancora oggi a nutrire le mie giornate; tutto l'immaginario di tutte le mascotte giapponesi, di qualunque genere, dalla rana delle farmacie in su. E poi, in realtà, varie serie tv o film che guardo, o una serie di autori di narrativa, anche non volontariamente li assorbi e li riprocessi.
Pubblicare nella collana Gatti Sciolti di Eris Edizioni significa scegliere un formato accessibile e diretto, quasi pop. È stata una decisione mirata per far arrivare questa storia, che parla di frustrazioni universali, a un pubblico più ampio possibile?
Ho un aneddoto su questo: io avevo iniziato a disegnare un altro horror che volevo proporre a Eris, ma ho sbagliato formato. Ero partita a disegnare troppo grande, troppo dettagliato e le pagine, una volta rimpicciolite, diventavano caotiche. Alla fine sono ripartita con quest'altra storia, già sapendo che era mirata per i Gatti sciolti e facendo il formato giusto. All'altra troveremo un'altra veste, perché non calzava. Il fatto che i Gatti Sciolti abbiano comunque un prezzo molto accessibile li rende davvero un acquisto più leggero, qualcosa che le persone possono permettersi senza pensarci troppo. Non conoscono me come autrice magari, per cui prima di comprare The Cyan’s Anthem da trentotto euro, è sicuramente più facile che provino con una cosa così snella. E devo dire che anche il fatto che sia una lettura veloce, per cui in mezz'ora lo consumi, secondo me è un formato che funziona molto. Il racconto breve è una figata.
Ci sta molto. Gestisci una fumetteria, abbiamo detto, disegni e scrivi; quindi, sei contemporaneamente autrice e parte dell'ecosistema editoriale. Quanto il contatto diretto col pubblico influenza o ispira la tua scrittura?
Tanto. Non solo il contatto con il pubblico, in realtà soprattutto il fatto di essere immersa nei fumetti e avere la possibilità di leggere tutto, sempre: ho consultazione libera.
Il mio sogno.
Infatti quella parte lì è bellissima. E soprattutto in realtà anche creare connessioni con gli altri fumettisti. Soprattutto perché, da quando mi sono trasferita a Torino, organizzo le presentazioni; quindi conosco persone che vengono a presentare i loro libri e c'è proprio un bello scambio anche con gli altri.
Si crea una rete.
Sì, esatto. Io non sono una che si preoccupa tanto di questa cosa, “sarà commercialmente vincente o vendibile”. Non faccio quel tipo di cose, disegno un po’ quello che mi va, però è vero che qualcuno potrebbe anche sfruttare quella dinamica, perché in fondo si vede dove va il mercato, quali direzioni prende. Però, volendo, essere in più ruoli nel mondo fumetto apre davvero molte porte.
Sei passata dalla complessa struttura del tuo precedente fumetto, The Cyan's Anthem, candidato ad Angoulême, alla scheggia pulp che è Doll’s Paradise. Come cambia il tuo approccio mentale e lavorativo tra un progetto grande e complesso e uno più compatto e viscerale?
Allora, un po’ ne parlavamo prima. The Cyan’s Anthem è stato davvero complesso da affrontare, però quando mi è venuto in mente quello spicchio di mondo non ho più potuto fermarmi. Mi sono praticamente caricata sulle spalle un progetto enorme: ci ho messo quattro anni per realizzare quel libro. Sono pur sempre 500 pagine, tutte colorate in digitale, con una palette più ricca rispetto a quella che usavo di solito. È stato davvero un lavoro lunghissimo.
Avevo davvero bisogno di qualcosa di un po’ più leggero e veloce; quindi, nell’ultimo anno ho lavorato a molti racconti brevi. Adesso però ho recuperato un po’ di energie e sto ricominciando a rimettermi su un progetto più impegnativo, che richiede comunque ricerca: giga e giga di foto, studi sui luoghi, sui personaggi, far combaciare la trama. È inevitabilmente un approccio diverso rispetto al disegnare “me che sbrocco”, su quello ormai sono preparatissima.
C'è una domanda che nessuno ti ha ancora fatto su Doll’s Paradise a cui vorresti assolutamente rispondere? Qualche retroscena che vorresti raccontarci?
Beh, allora, nessuno mi ha chiesto tutti i nomi dei gatti, ma li avevo pensati e ne ero super orgogliosa. Ci sono tutti, e lei ogni tanto ne chiama uno diverso. In teoria, se qualcuno volesse mettersi a fare una sorta di caccia al tesoro, penso potrebbe riuscire a trovarli tutti. Mi piace un sacco anche parlare con le persone di come interpretano il finale, quello mi diverte davvero.
Tu come l'hai interpretato?
Io l'ho interpretato come quello sfogo che fai con i tuoi amici a fine giornata, che ti racconti quello che ti è successo al lavoro.
E poi proietti.
Mi ci sono rivista molto, se posso dire.
È incredibile: è il libro più universale. Ha incarnato proprio tutti gli sfoghi. Un messaggio semplice, ma veramente efficace. L'altro giorno ero in negozio a lavorare, è entrato qualcuno e mi ha trovato con un taglierino in mano. Ho pensato “ora la gente si spaventa”. Faccio fallire il mio negozio.
È uscito lentamente in silenzio.
Esatto.
Ci siamo. Ti ringraziamo per il tuo tempo e ringraziamo chi ci legge. Grazie e a presto, Lucia.
Grazie.
Intervista a cura di Carlotta Bertola e Wendy Costantini, realizzata dal vivo a Lucca Comics & Games 2025.
Lucia Biagi
Lucia Biagi vive a Torino, dove gestisce la fumetteria Belleville Comics insieme al suo compagno. Come fumettista ha collaborato con diverse realtà indipendenti, tra cui La Revue, e ha pubblicato per vari editori titoli come Misdirection e The Cyan’s Anthem. Il suo lavoro più recente è Doll’s Paradise, uscito quest’anno per Eris Edizioni.










