Retrocomics 14 - Intervista a Sylvain Runberg

Dialogo con lo sceneggiatore sulla scrittura, i fumetti e i mercati editoriali

Sono molto felice per questa nuova puntata di Retrocomics: sia a livello personale perché Sylvain Runberg è una persona splendida che merita tutti i successi che ha ottenuto e che continua a ottenere e sia a livello lavorativo perché da sceneggiatore quale sono (oltre a essere l’Audace vicedirettore) ritengo che sia una figura molto importante per il nostro settore, soprattutto perché dimostra che non bisognerebbe mai rinchiudersi nel proprio mercato editoriale e anche perché dobbiamo sempre credere in noi stessi e nelle nostre capacità.

Come sempre ho editato pochissimo le risposte di Sylvain per cercare di trasmettervi la sua voce.

Iniziamo?

Iniziamo.

Cominciamo dall'inizio: hai sempre desiderato scrivere e realizzare fumetti?

Ho sempre letto fumetti, fin dall'età di 5 o 6 anni, ma no, non avevo mai immaginato di diventare autore di fumetti e sceneggiatore in generale. Ho conseguito un diploma di maturità in lettere e arti plastiche al liceo e una laurea in storia politica negli anni '90 all'università, poi ho lavorato per diversi anni in una libreria di fumetti nel sud della Francia, quindi sono entrato a far parte di una casa editrice di fumetti (Les Humanoïdes Associés) nel 2000, dove mi occupavo di marketing, comunicazione e vendite, niente a che vedere con la creazione. Poi ho avuto un incidente nel 2001 e ho dovuto seguire una riabilitazione per alcuni mesi, ed è lì che ho iniziato a scrivere bozze di sceneggiature. Mi è piaciuto, ho continuato e poi nel 2004 ho firmato quattro progetti con le case editrici Dupuis, Futuropolis e Soleil e ho deciso di lasciare il mio lavoro nell'editoria per tentare la fortuna e dedicarmi alla scrittura. 21 anni e 150 album pubblicati dopo, sono ancora sceneggiatore a tempo pieno!

Cosa significa per te scrivere?

È allo stesso tempo creazione, motivazione, riflessione, un modo per scrivere storie che non ho ancora letto e che mi piacerebbe leggere, per osservare il mondo, per dare anche la mia visione dell'universo, dei personaggi di altri autori nel caso di adattamenti. Scrivo per me stesso, senza pensare agli altri, ma poi è anche il desiderio di condividere, di avvicinarmi agli altri che mi spinge a immaginare tutte queste storie.

Il tuo lavoro è caratterizzato da una forte visione politica e da un messaggio sul concetto di umanità. Nell'attuale contesto socio-politico, è più difficile scrivere rimanendo ottimisti?

Sono sempre stato interessato alla politica e alla storia, durante gli studi universitari avevo persino pensato di diventare giornalista, e credo che questo traspaia in molti dei miei racconti. Che si tratti di fantasy, gialli, fantascienza o racconti più esplicitamente politici, mi piace proporre diversi livelli di lettura, anche se in fondo l'obiettivo è quello di offrire la migliore storia possibile, non di trasmettere un messaggio in sé. Scrivo in modo realistico e cercando di rimanere ragionevolmente ottimista: il realismo è anche ciò che permette di immaginare un futuro migliore. Se ci si rifiuta di vedere alcuni fatti e problematiche inevitabili, si corre il rischio di andare verso il peggio. E il peggio è a volte ciò che immagino nei miei racconti, un modo per esorcizzare ciò che non desidero.

Hai scritto storie con alcuni dei personaggi più iconici dei fumetti, come Capitan Futuro, Conan, Superman o Wonder Woman. Cosa ti ha dato lavorare su personaggi così complessi e con una storia così lunga?

Innanzitutto, è un immenso onore poterlo fare. Capitan Futuro era il mio cartone animato preferito da bambino, Wonder Woman è sempre stata una delle eroine preferite della cultura pop e, naturalmente, si tratta di dare la propria visione, un nuovo punto di vista, rispettando al contempo questi personaggi, questi universi, anche se a volte è necessario stravolgere alcuni codici. È questo che rende interessante un adattamento, per quanto mi riguarda, che tratto sempre come una vera e propria creazione, perché è l'unico modo per farlo funzionare. E tenere sempre a mente che l'unico modo per rimanere sinceri e autentici è pensare a ciò che si vuole creare, non a ciò che ne penseranno gli altri.

Qual è, se ce n'è uno, il tuo personaggio preferito? E quale altro personaggio ti piacerebbe sceneggiare?

Amo tutti i personaggi su cui ho lavorato, non riesco davvero a sceglierne uno, sono tutti così diversi: Lisbeth Salander con Millennium, Superman, Conan, Harley Quinn, Wonder Woman, Capitan Futuro... E poi ci sono due gruppi che mi piacerebbe sceneggiare in futuro: la Justice League e gli X-Men!

Lavori per diversi mercati editoriali. Mi piacerebbe conoscere la tua opinione sulla situazione attuale del fumetto. Sei ottimista, pessimista o né l'uno né l'altro? Come è cambiato il mestiere di autore di fumetti dai tuoi esordi?

La situazione può sembrare a volte tesa, ma resto ottimista. Il libro e il fumetto sono settori che hanno il vantaggio di poter continuare a svilupparsi nonostante le sfide ambientali: la carta è una materia prima rinnovabile, non dimentichiamolo mai. Non è il caso di altri materiali che riguardano altri media, quelli digitali. Inoltre, il fumetto rimane un mezzo di comunicazione in cui la libertà di espressione è ancora grande e che non costa troppo da produrre, e le due cose sono collegate. Penso che il futuro sia sempre internazionale, con storie che possono essere lette in tutti i continenti e da persone di età diverse. E non dimentichiamo mai che gli autori sono alla base della creazione: senza di loro, non succede nulla. E affinché la creazione sia sempre dinamica, varia e possa parlare al maggior numero possibile di persone, è necessario che i creatori possano sentirsi minimamente protetti e valorizzati, anche dal punto di vista economico e sociale. Quello dell'autore è un vero e proprio mestiere, non bisogna mai dimenticarlo. È anche una questione di libertà creativa.

Ultima domanda, ma anche la più insidiosa: quali sono i tuoi tre fumetti preferiti?

Le falangi dell’Ordine nero di Pierre Christin e Enki Bilal, Monster di Naoki Urasawa, Arkham Asylum di Grant Morrison e Dave McKean.

Intervista a cura di Luca Frigerio


Sylvain Runberg

Sceneggiatore, è nato nel 1971 a Tournai, in Belgio, e si divide tra Stoccolma, la Provenza e Parigi. Dopo essersi diplomato in Arti plastiche e specializzato in Storia contemporanea all’università di Aix-en-Provence, inizia subito a lavorare per la casa editrice francoamericana Les Humanoides Associés. Esordisce nel 2004 e pubblica per i maggiori editori francesi, con opere tradotte in 25 lingue.

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