Midori. La ragazza delle camelie – Una tragedia senza catarsi

Suehiro Maruo fa il verso al manga shōjo con una fiaba macabra e spiazzante


Giappone, prima metà dell’era Shōwa. Abbandonata dal padre e orfana di madre, la piccola Midori viene adocchiata dal proprietario di un freak show che decide di prenderla con sé e di trasformarla in un’attrazione per il suo spettacolo.

All’inizio della storia, la ragazzina vive ormai da tre anni insieme alla compagnia, i cui membri la sottopongono quotidianamente a ogni tipo di angherie e sevizie: la costringono a mangiare animali vivi, la attirano nei loro giochi sessuali, e in generale la obbligano a svolgere le mansioni più spiacevoli, a volte per il puro gusto di vederla soffrire. Midori sogna di andare via, ma persino questo suo desiderio è oggetto di scherno, e lei stessa non si fa problemi ad ammettere, in un lucidissimo soliloquio, di preferire la morte, in certi momenti.
Tutto cambia, però, quando alla compagnia si unisce Wonder Mamitsu, un illusionista che padroneggia le tecniche occidentali, e che pare dotato di veri poteri magici. Mamitsu si invaghisce presto di Midori, e lei sceglierà di aggrapparsi a questa infatuazione come via di fuga.


Pubblicato inizialmente in Giappone nel 1984 e portato in Italia nel 2001 e nel 2021 in due edizioni ormai fuori catalogo, lo scorso marzo è finalmente tornato disponibile, in una nuova versione tascabile, il diabolico titolo di Suehiro Maruo: Midori. La ragazza delle camelie (Coconino Press).

La produzione di Maruo costituisce una delle vette del manga horror ed ero guro. Il suo modo di intendere il genere è spiazzante: il lettore non viene accompagnato in un crescendo di atmosfere lugubri, ma lasciato sin da subito in balia di uno sgomento incompatibile con qualsivoglia catarsi. E la fiaba nera di Midori, nella sua compattezza, è perfettamente rappresentativa di questa estetica.

I personaggi che popolano le pagine del manga sono creature deformi che suscitano un macabro senso di pietà: come se invece di accostarci ne volessimo prendere le distanze. Se non sono abietti nella carne, lo sono nello spirito (ma spesso e volentieri l’uno non esclude l’altro), e hanno abbandonato, per necessità o sfinimento, qualsiasi considerazione per la dignità umana.

Se la piccola Midori cerca di evadere lo squallore che la circonda, per esempio coccolando dei cagnolini, subito va incontro a un contrappasso, e i cuccioli le vengono serviti in una zuppa. Anche la speranza di ricominciare una nuova vita, rappresentata dalle scene ricorrenti in cui saluta un treno di passaggio, è sistematicamente frustrata dalle derisioni dei suoi compagni circensi.


In questo senso, il personaggio di Midori è un’inclemente parodia della protagonista-tipo del manga shōjo, della quale ribalta (suo malgrado) gli indugi sognanti e la tenerezza, scontrandosi invece con una realtà urgente e crudele. A suggerire la lettura in chiave anti-shōjo è anche la scena di un incubo di Midori, in cui i personaggi sono raffigurati in stile jojōga, con gli occhi grandi e luccicanti.

In quest’opera, la seconda di Maruo in ordine di pubblicazione, il disegno è attraversato da un’interessante tensione tra i diversi stilemi figurativi propri dell’autore, che nei lavori futuri, come ad esempio Il vampiro che ride, andranno poi amalgamandosi, ma che qui presentano ancora le loro peculiarità distinte e riconoscibili.

Il tratto pulito e la plasticità delle pose avvicinano le tavole di Midori all’ukiyo-e (l’arte giapponese delle stampe sorta durante il periodo Edo), specie alle illustrazioni di carattere pornografico. Il sensei entra di frequente nel merito del corpo e in particolare dei suoi aspetti più ripugnanti, rappresentando quasi con dovizia anatomica peli, denti, genitali, occhi. Anche nelle scene più truci, in cui l’autore dà fondo alla sua immaginazione grottesca, le linee non si scompongono e le vibrazioni vengono contenute.

Allo stesso tempo, tra le pagine di Midori è avidamente distillato un senso di drammaticità quasi cinematografica, che all’occorrenza si manifesta in spaziose inquadrature di una bellezza desolante, o al contrario in impressionanti primi piani. Si tratta di momenti rari ma di grande impatto, in cui espressioni di dolcezza, rivalsa e romanticismo riescono a trovare un piccolo spazio dove respirare.

Angelo Maria Perongini


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