Famiglia, avventura e altre cose inimmaginabili: i Fantastici Quattro di Waid e Wieringo (parte 1)
La run, uscita a inizio 2000, è disponibile in formato economico per Panini: un’interpretazione classica con alcune scelte coraggiose che ben racconta lo spirito del quartetto
Gli anni novanta sono stati un periodo turbolento per i Fantastici Quattro: dopo la lunga gestione di John Byrne all’inizio degli ‘80, vera e propria rifondazione del gruppo, quella radicale (e premiata dalle vendite) di Steve Englehart e quella breve ma ricca di idee di Walt Simonson, il decennio successivo vide passare il quartetto attraverso la lunga e controversa gestione di Tom DeFalco (che fece buone vendite ma divise fortemente il pubblico) e di Chris Claremont e Salvador Larroca prima e Carlos Pacheco dopo, volitive, ricche di spunti, capaci di introdurre elementi importanti per il futuro del quartetto (Valeria Richards e una nuova dinamica tra la famiglia e il Dottor Destino), ma non di far breccia nel pubblico dell’epoca o di entrare nei classici da leggere del gruppo. In mezzo, anche la fase Heroes Reborn che è un po’ l’emblema degli eccessi e della sbornia degli anni ‘90, e che proprio sui Fantastici Quattro espresse il suo peggio.
Dopo anni di centralità nell’universo Marvel e nel comicdom mondiale, insomma, il Quartetto aveva preso una deriva che li stava portando a perdere questo ruolo, ad essere considerati una lettura vecchia, stantia, bloccata in un passato senza prospettive. Una deriva contro cui voleva andare Tom Brevoort, oggi storico editor Marvel e allora attivo nella compagnia già da circa dieci anni, che viene appuntato come editor della testata a partire dal numero 47.
“All’epoca, intorno al 2001, in un certo ambiente c’era la sensazione che i Fantastici Quattro fossero diventati superati. Era il “vecchio” fumetto; pur avendo un’importanza storica, non era più qualcosa di fresco o giovane. C’erano altre cose in corso che sembravano più rilevanti. Ma per me i Fantastici Quattro sono sempre stati il mio fumetto, i personaggi a cui tenevo e che mi piacevano di più. Quindi volevo rinnovarlo, dargli una rinfrescata e farlo funzionare di nuovo in modo primordiale per il pubblico di quel periodo. Questo era il mio obiettivo quando ho deciso di coinvolgere questo team.” così Brevoort in una bella intervista retrospettiva su questa run fatta da Ben Morse per Newsarama.
Dopo la conclusione del ciclo Pacheco e una serie di numeri filler (tra cui uno, il #56, realizzato da Karl Kesel, Stuart Immonen e Scott Koblish, importantissimo per la costruzione dell’identità de La Cosa, che in Remebrance of Things Past riflette sulla sua fede e cultura, quella ebraica), Brevoort inizia a plasmare la serie a sua immagine a partire dal numero 60 introducendo un nuovo team creativo da lui fortemente voluto: il leggendario Mark Waid e un Mike Wieringo allora in ascesa, un team rodato che aveva già lavorato benissimo in DC Comics nella cardinale run di Waid su Flash.
Una scelta che, pur sembrando sulla carta fortissima, comportava non pochi rischi: Waid era uno degli sceneggiatori più importanti dell’epoca (oltre alla run pluriennale su The Flash, si possono citare Kingdom Come, Captain America e tante pietre miliari del fumetto statunitense), era un editor di buon successo (tra le opere da lui curate, Gotham by Gaslight che diede inizio alla linea Elseworlds di DC Comics), era un cultore e grande appassionato di fumetto, ma, per sua stessa ammissione, non era un grandissimo fan dei Fantastici Quattro.
“Avevo appena cominciato a interessarmi alla Marvel intorno al 1972-1973, ero in crociera con mio padre e la mia nuova matrigna, il divorzio era ancora fresco e tutto ciò a cui riuscivo a pensare era quanto mi mancasse mia madre. Nel mezzo delle Bahamas, trovai l’unico negozio che aveva qualche fumetto sugli scaffali. Non avevo mai letto i Fantastici Quattro prima, ma pensai che potesse essere qualcosa per distrarmi dal trauma terribile del divorzio, e così presi il numero 140 dei Fantastici Quattro, che si conclude con Sue che chiede il divorzio da Reed.” spiega Waid. “Da quel momento in poi, ho sviluppato una specie di resistenza istintiva al concetto. Non era colpa dei personaggi, leggevo il fumetto, lo compravo regolarmente, ma non ne ho mai avuto un amore profondo.”
Con caparbietà, Brevoort riuscì a vincere i dubbi di Waid e anche di Wieringo, che pur essendo appassionato del gruppo, non era convinto dal progetto (“Gli ho detto che non volevo i Fantastic Four di Jack Kirby o di John Byrne, volevo i suoi Fantastic Four, e poi sarebbe toccato al prossimo preoccuparsi di renderli come i suoi. Alla fine ha accettato.”).
L’ultimo tassello del team fu Karl Kesel come inchiostratore, grande esperto del gruppo che aveva già lavorato a più riprese sugli FQ anche in veste di sceneggiatore, come detto sopra. Un tassello per molti versi fondamentale, non solo dal punto di vista tecnico, ma anche “storico”, dato il suo amore per questi personaggi: “È stato un ottimo punto di riferimento. Non ricordo i dettagli, ma ci sono state alcune volte in cui riceveva una sceneggiatura e poi mi chiamava per dirmi: «Non sono sicuro che loro farebbero davvero così…» [Tom ride] Non aveva torto. Non aveva mai torto.”
Era così nato il team che a inizio degli anni 2000 avrebbe portato gli F4, un po’ inaspettatamente, a rinnovarsi e ad entrare con energia e idee nel nuovo millennio della Marvel Comics, entrando presto a far parte delle run più discusse, citate, amate ma anche molto dibattute, per via di alcune idee molto forti e divisive. Una run che è recentemente stata ristampata nella sua interezza da Panini Comics nella collana Marvel Masterseries, in questo caso tradotta da Andrea Plazzi, adattata da Francesco Meo e Giuseppe Guidi e curata da Andrea Gagliardi.
Risolvere Reed
“Quello di cui mi sono reso conto, una volta iniziato a lavorare sul gruppo era che tutti amano Sue, tutti amano Johnny, tutti amano Ben – nessuno ama Reed. Reed non è il personaggio preferito di nessuno. Quindi la mia domanda era: potevo fare di Reed un personaggio preferito? Potevo approfondire questo aspetto. La mia ispirazione è stata Buckaroo Banzai (poliedrico scienziato e avventuriero protagonista del film del 1984 The Adventures of Buckaroo Banzai Across the 8th Dimension, NdR) ma un po’ più vecchio e più esperto. Ho chiamato Tom e gli ho detto che avevo la mia versione. Un po’ come Doc Savage. È così che vedo i Fantastici Quattro.”
Waid inizia la sua run con questo esplicito obiettivo, e già lo mette in pratica nel primo episodio, che è al contempo un manifesto programmatico e anche una riflessione metafumettistica molto poco sottile sul recente passato: nel numero 60, intitolato Dentrofuori (Inside Out), coloro che gestiscono immagine e patrimonio del Quartetto incaricano un pubblicitario di seguirli per tutto il giorno per capire come risollevarli agli occhi del pubblico, come renderli più attuali e appetibili.
In 24 pagine Waid e Wieringo catturano lo spirito del gruppo, mostrando una normale settimana della superfamiglia tra avventure spaziali contro insetti giganti, vita quotidiana e interazioni tra i personaggi molto genuine, con il commento in didascalia del pubblicitario che funge da espediente narrativo per raccontare come il team creativo veda i Fantastici Quattro. Le caratterizzazioni, anche quando volutamente esagerate, raccontano in pochi balloon i personaggi, dove nulla è lasciato al caso (nemmeno l’accento molto Lower East Side di Ben, apprezzabile in originale), e in questo senso l’arte di Wieringo è essenziale: dinamica nei momenti d’azione, grazie a uno stile curato e una linea sinuosa che rende i combattimenti coinvolgenti quasi fossero una danza, non è da meno nei momenti di interazione tra i personaggi, in cui mette in mostra la sua grande bravura nel far recitare i personaggi, non solo attraverso le espressioni, sempre precise e puntuali, ma anche nella mimica e nel movimento dei corpi.
Il primo numero si conclude poi con due tavole dedicate completamente a Reed, in versione padre premuroso ma anche amico e marito che soffre di un grave senso di colpa per aver trasformato i suoi compagni in esseri non umani: pagina 22 dimostra tutta l’attenzione che gli autori dedicano al personaggio, che mentre gioca con Valeria per metterla a letto racconta il suo stato d’animo, come mai prima d’ora. “Senza il discorso di Reed, penso che sia un buon primo numero, ma è il discorso di Reed che lo fa davvero funzionare.” afferma a posteriori Waid.
Famiglia è avventura
I primi numeri della gestione Waid e Wieringo giocano tutto sugli elementi tipici del quartetto, ovvero famiglia e avventura. Il numero 61, 24 strade e uno zuccone (24 Blocks and one Blockhead) è quasi interamente dedicato a uno dei tipici momenti Ben-Johnny, con il secondo che organizza uno scherzo al primo perdendone poi il controllo e finendo per spingere Susan a farlo crescere con una terapia d’urto, ovvero ponendolo in una posizione di rilievo nella fondazione che sostiene economicamente i quattro: nonostante alcune risoluzioni un po’ (forse volutamente) ingenue, Waid e Wieringo si concedono un momento di serio divertimento in una issue quasi del tutto comica, e in cui l’artista dimostra tutto il suo talento e la sua poliedricità con una comicità slapstick davvero efficace, mentre vengono approfondite le dinamiche che rendono il gruppo unico nel suo genere. Al contempo vengono seminati piccoli elementi che vedranno il loro sviluppo nel procedere della trama (con apparentemente inspiegabili apparizioni demoniache che coinvolgono Valeria).
In Senziente, trittico di episodi che va dal #62 al #64, viene introdotto un nuovo villain, una complessa funzione matematica, immagine dei processi mentali di Reed usata da questo per risolvere i suoi calcoli più complessi, che diventa un essere vivente e pianifica la distruzione della famiglia per rimanere con Mr. Fantastic: un’avventura questa in tipica salsa F4, che unisce fantascienza con un tocco di weird a dinamiche familiari. Il focus è ancora su Reed, che qui viene raccontato sotto vari aspetti: quelli del geniale scienziato, con delle sfumature anche inquietanti nel suo essere così analitico, ma anche quella del padre di famiglia che non sempre riesce a mediare tra la sua figura super e quella più umana: le sue interazioni con Franklin, inconsapevole “Sentient”, sono molto ben realizzate e non sempre lusinghiere nei confronti di Reed, trovando poi una conclusione molto toccante e intensa nel numero 64, che porta a compimento questo arco che ridefinisce Reed come padre e uomo di famiglia.
Inoltre vengono messe in risalto le relazioni tra lui e gli altri membri del team, in particolare Sue Storm, che è forse il personaggio più delicato di tutta la run: Waid impiega con lei più tempo che con altri nel trovare le misure tra la sua figura di madre, di donna forte, di scienziata, di moglie e di supereroina, sbagliando a volte il tiro ma dandole anche dei momenti di grande cuore e grande profondità (la scena iniziale del numero 62 tra lei e il marito, oppure quella centrale, in cui lei e Ben si godono una giornata al cinema facendosi alcune confidenze, una delle interazioni fortemente volute da Brevoort, come si legge nell’intervista). Wieringo, oltre a lavorare come sempre molto bene sulle espressioni dei personaggi, mette anche in risalto un altro elemento che non si direbbe tra i più adatti a descrivere il suo stile, generalmente solare e cartoonesco, ovvero una venatura inquietante, a tratti horror: Sentient si dimostra un personaggio brutale, che mutila e ferisce gravemente i personaggi, e proprio la contraddizione tra stile e ciò che è messo in scena dà ancora più risalto a questa brutalità.
Il dittico Piccole cose… e …Grandi Cose si concentra invece su Johnny Storm, portando a compimento una piccola sottotrama che vedeva alcuni dirigenti della compagnia connessa ai Fantastici Quattro tramare contro di lui per metterlo in cattiva luce, farlo scazzare come aveva previsto la sorella e ottenere per loro una promozione dopo aver risolto i problemi. Nel frattempo, al Baxter Building Reed e Ben sono impegnati in una disinfestazione interdimensionale (altra minisottotrama iniziata nel primo numero). Questa storia si inserisce efficacemente nei ciclici tentativi di far “crescere” Johnny, da ragazzino combinaguai a adulto: Waid riesce nel compito di dare a Johnny il suo momento, dimostrandone talento e sagacia, pur non snaturando completamente il suo carattere cazzone e un po’ ruffiano. Il carattere delle due storie è molto leggero e comico, ricco di momenti molto divertenti, tra commedia d’azione e situazionista, ma sempre in pieno stile F4.
A raccontare il tutto ci pensa Mark Buckingham, allora sotto contratto con la Marvel (per cui realizzò molti numeri della sottovalutata run di Paul Jenkins su Peter Parker: Spider-Man) e qui in sostituzione di Wieringo: pur non essendo tra i lavori forse più in vista della sua lunga carriera, questo dittico, proprio come le storie di Spider-Man, mettono in luce la sua grande vena comica, che gioca con la recitazione del corpo e le espressioni, dando vita a momenti spassosi più per come sono rappresentati che per la gag in sé stessa.
Inimmaginabile
Dopo 7 numeri dedicati alla (ri)costruzione del gruppo e della famiglia, fatta di momenti tutto sommato solari e leggeri, Waid e Wieringo decidono di cambiare tono alla storia e di calare l’asso riportando in scena, nell’episodio Sotto la sua pelle (Under Her Skin, #67), poco prima dell’anniversario nel numero 500, un Dottor Destino mai così (letteralmente) mefistofelico e malvagio. In questa storia, Victor Von Doom (con una maschera a metà tra Belfagor e Madame Masque) si presenta al suo antico amore di gioventù, Valeria, fingendo un cambiamento che si rivela nient’altro che l’ennesimo, brutale inganno per ottenere più potere, in questo caso quello magico, una svolta radicale e piuttosto drastica anche per un personaggio che non era nuovo alle arti oscure.
Già nell’Annual del 1964 (Fantastic Four Annual #2) Stan Lee e Jack Kirby, oltre a introdurre tutti gli elementi cardine del personaggio, tra cui la Latveria e Doomstadt, avevano rivelato che la madre di Destino, all'epoca ancora senza nome e non apertamente legata alle sue origini gitane, era una strega che aveva legami con Mephisto: l’elemento magico, sebbene non approfondito, si andava a inserire come ennesima minaccia del personaggio e componente antitetica al puro razionalismo scientifico di Richards. Da allora, varie volte questa componente è stata fondamentale per il personaggio, fino all’apice raggiunto con la miniserie Doctor Strange e Dottor Destino: Trionfo e Tormento (di Roger Stern, Mike Mignola e Mark Badger), che vede i due protagonisti scendere agli inferi proprio per salvare la madre di Destino (che ora ha un nome, Valeria) e chiudere così il cerchio iniziato proprio nel 1964. Come detto, però, nessuno si era spinto così in là come Waid e Wieringo, che fanno di Destino uno stregone puro, che utilizza rituali demoniaci e simbologie pagane, ponendo le basi per eventi successivi, fino al recentissimo One World Under Doom.
L’intero numero, che all’inizio avrebbe dovuto essere solo un denso flashback di poche pagine, nasce dall’ostilità di Bill Jemas, allora presidente Marvel, nei confronti di questo stratagemma narrativo. Racconta Brevoort: “Al momento in cui ha scritto la seconda parte, che in origine era la prima, il nostro stimato presidente dell’epoca [Bill Jemas] decise che nei fumetti non ci sarebbero più dovuti essere flashback.[...] Ho ricevuto la sceneggiatura e mi sono trovato un po’ indeciso sul da farsi, perché sapevo che mi avrebbero fatto fuori se avessi inserito una pagina e mezza di flashback.”
Da questo intoppo, nasce una delle scene più crudeli, orrorifiche e quasi gore con protagonista Destino, che dopo aver rievocato il suo passato in Latveria e il suo amore per Valeria, dando quasi un senso di umanità al personaggio, si conclude con un sacrificio umano e Doom che ha immensi poteri magici e indossa una nuova armatura di cuoio umano (nata per motivi di marketing, ma diventata simbolo di una delle sequenze più disturbanti del villain). Il gioco che Waid fa con le aspettative dei lettori, dando a credere che un possibile sentimento sia possibile e al contempo costruendo un climax che colpisce duro sul finale è rispecchiato nuovamente nel contrasto tra l’arte di Wieringo e quello che viene rappresentato: l’artista dimostra ancora una volta la sua duttilità e capacità di cambiare la tonalità del proprio segno lavorando su espressioni che da distese diventano terrorizzate, cambi di prospettiva nelle inquadrature che insieme alle ombreggiature definiscono la malvagità e la crudeltà del personaggio.
Tutto questo prelude alla saga più importante della prima parte della gestione Waid e Wieringo, una saga dal titolo emblematico: Inimmaginabile (Unthinkable, #68-70 e poi #500). Il numero 68, forse il migliore dell’intero arco, dimostra tutta la bravura del team creativo: comincia come un altro normale episodio della serie, con momenti di vita quotidiana (e i classicissimi momenti di scherzo tra Ben e Johnny) alternati a un’avventura esplorativa di Reed e Sue, che forse in questo numero raggiungono il pieno del loro affiatamento in questa serie. Nel finale dell'episodio, quando la famiglia si riunisce per godersi un momento di riposo, Doom colpisce al cuore il gruppo, puntando i figli della coppia: Valeria diventa un tramite per lo stesso Destino, che sfrutta il loro profondo legame (Valeria nasce grazie a Destino nel numero 54 scritto da Loeb e Pacheco dopo una serie di mirabolanti e assurde piroette narrative di cui non staremo qui a parlare) per farla diventare i suoi occhi e le sue orecchie, mentre Franklin viene rapito e portato nientemeno che all’inferno.
in poche pagine Waid e Wieringo riescono a cambiare il tono del fumetto con punte di incredibile crudeltà (la prima parola pronunciata da Valeria è Doom) e momenti drammatici resi sempre molto bene dallo stile a volte sopra le righe ed esagerato nelle espressioni di Wieringo. Da qui la storia evolve molto rapidamente, soprattutto se confrontata con gli standard odierni: nel giro di 3 numeri gli F4 si scontrano con Destino, vengono catturati e brutalmente torturati (in pagine che arrivano piuttosto inaspettate e per questo ancor più di impatto), Valeria viene plagiata, Franklin vive un trauma profondissimo e poi, grazie a Reed, riescono a sconfiggere Destino usando contro di lui la sua superbia e come arma principale una rinnovata consapevolezza dei propri limiti da parte di Reed (Unthinkable, il titolo inglese, è ben più efficace nel raccontare il nocciolo della questione, ovvero l’incapacità di Reed di concepire e pensare il concetto di magia).
Il punto focale è lo scontro tra Mr. Fantastic e Destino, mettendo al centro il primo come da dichiarati intenti di Waid: è Reed che deve salvare i suoi compagni e i figli, andando contro i suoi convincimenti e la sua analiticità, ammettendo le sue debolezze anche nei confronti di Doom. E proprio questo bagno di umiltà nei confronti di Destino determina la differenza tra i due e la vittoria del primo sul secondo.
L’intera vicenda è gestita da Waid e Wieringo con ottimo ritmo, anche se in alcuni punti forse troppo accelerato e con risoluzioni un po’ facilone che riducono il pathos dello scontro. Le scene d'azione sono in alcuni momenti davvero spettacolari: veloci, potenti, coinvolgenti grazie a uno stile che non si tira indietro anche di fronte all’apparire “troppo” in tutto (troppo plastiche, troppo cartoonesche, troppo esagerate), dando sfoggio del talento dell’autore. Anche le sequenze più terrificanti sono ben rese, dando luogo a momenti molto disturbanti, in particolare quando Destino fa assistere a Val le torture dei famigliari e del fratello. In questo senso, la caratterizzazione del villain appare bifronte: se da un lato la sua crudeltà è messa in scena senza mezzi termini, la scrittura del personaggio appare talmente classica da risultare quasi parodistica e il confronto finale con Reed e il gruppo, esaltando il primo, riduce il secondo a un cattivo quasi da melodramma esasperato. Inoltre, come detto, sebbene la risoluzione sia ben pensata e dia risalto al lavoro fatto su Mr. Fantastic, appare in molti punti del numero 500 un po’ affrettata, come se fosse stato tagliato un episodio. Nonostante questi difetti che rendono l’arco tutt’altro che esente da errori, Inimmaginabile è una storia di grande impatto, giocata su ottimi colpi di scena e di teatro, non ultimo il finale che lascia gli eroi sì vincenti ma profondamente turbati e feriti in maniera mai vista prima, ponendo le basi per la seconda parte della gestione Waid.
Una volta conclusa questa lunga avventura, Waid ne esplora le dirette conseguenze: da una parte abbiamo Franklin che affronta insieme a Sue e Ben il trauma di essere rapito e tenuto prigioniero all’inferno, dall’altra Reed (insieme a Johnny) deve venire a patti con il suo volto irrimediabilmente sfigurato. Il cambio di disegnatore, con l’arrivo (per motivi ben precisi che spiegheremo in seguito) di Casey Jones, dà alle storie un tocco molto più realistico e crudo grazie a un tratto più rigido e ruvido, con i colori di Paul Mounts che virano su toni più scuri e plumbei, e una gestione più netta delle ombre.
Waid costruisce momenti efficaci, come ad esempio lo sfogo di Franklin e il successivo confronto con Sue e Ben, che come al solito si dimostra il personaggio più sensibile e saggio, soprattutto quando si parla di traumi. In generale, però, i due percorsi di gestione della sofferenza e di un forte shock, pur non arrivando qui a una risoluzione ma solo a un momento intermedio del processo, vengono affrontati in maniera un po’ troppo repentina e poco equilibrata: sia nelle parti dedicate a Franklin che soprattutto in quelle dedicate a Reed ci sono molti momenti forzati, dialoghi pesanti ed elementi che sembrano più necessari per far procedere la trama alla prossima fase.
Si nota, soprattutto, una cosa comune a molte serie mainstream statunitensi: una volta rimosso Mike Wieringo, la serie inizia a perdere qualcosa, e anche i difetti della sceneggiatura e dei dialoghi di Waid (alcune esagerazioni, alcuni momenti prolissi) vengono improvvisamente accentuati. A questo punto però dobbiamo parlare del perché Mike Wieringo non era più presente in queste storie e soprattutto nella fondamentale saga successiva, la controversa Azione preventiva.
La risposta nella prossima puntata, dove parlerò del secondo, conclusivo volume della raccolta Masterseries, un volume con tante storie che hanno fatto discutere e creato dibattito anche all’epoca.
Emilio Cirri