C'era una volta l'Est – Tensioni di confine
Un racconto familiare tra Italia e Macedonia del Nord attraverso trent’anni di Storia
Uscito il 29 aprile 2025 per Tunué, C’era una volta l’Est è la prima opera completa di Boban Pesov.
L’autore, di origini macedoni, cresce in Piemonte, dove frequenta il Liceo Artistico e si laurea in Architettura. Nel 2013 apre un canale YouTube dove realizza contenuti audiovisivi di intrattenimento come vignette-video, sfide di disegno e altri contenuti creativi legati al mondo dell'illustrazione digitale o tradizionale. Debutta nel mondo del fumetto con pubblicazioni ed esperienze editoriali di carattere ibrido. Da una serie di video, nel 2017 viene tratto Spermini alla riscossa, pubblicato da Magic Press Edizioni. Sempre per Magic Press disegna la serie di volumi Nazivegan Heidi, fumetto satirico scritto da Don Alemanno. Successivamente collabora come disegnatore con gli youtuber Barbascura X e Mattia Ferrari. Le strisce a fumetti ispirate alla sua vita quotidiana che pubblica su Instagram sono raccolte ne La variante Pesov e in Better call Boban, usciti per Tora Edizioni.
Nel 2016, nell’ambito di un progetto sull’immigrazione che coinvolge diversi content creator, decide di intervistare suo padre, arrivato clandestinamente in Italia nel 1992 dalla Macedonia del Nord. In quell’occasione monta un video di circa 30 minuti, ma la conversazione originale dura più di tre ore e rivela una storia imponente e ricca di aneddoti personali. Quasi dieci anni dopo esce C’era una volta l’Est, che ci restituisce trent'anni di storia attraverso il vissuto di una famiglia.
La vicenda si svolge su tre linee temporali diverse, che sono differenziate graficamente attraverso l’uso dei colori, con tre palette caratteristiche e facilmente riconoscibili.
Nel 1992 la Macedonia ha appena ottenuto l’indipendenza, è uno Stato neonato che deve fare i conti con inflazione e crisi economica. Milan, padre di famiglia, decide di emigrare clandestinamente e in compagnia di due amici percorre la rotta balcanica verso l’Italia, dove spera di farsi raggiungere dalla moglie, Vera, e dai due figli, Robert e Dejan.
Nel 2001 la famiglia, ormai in Italia, dopo aver finalmente ottenuto i permessi di soggiorno decide di percorrere il viaggio inverso per raggiungere la Macedonia. È un periodo in cui ci sono scontri al confine tra la Macedonia e il Kosovo, strascico delle guerre che sono seguite alla dissoluzione della Jugoslavia.
Nel 2022 Robert e Micol, una coppia in crisi, viaggiano dall’Italia alla Macedonia per fare visita alla madre di lui, che è ricoverata in ospedale. L’auto diventa un involucro, una protezione dal mondo esterno, in cui avvicinarsi e aprirsi, mettendo da parte le difficoltà per affrontare il viaggio. Superata la dogana tra la Serbia e la Macedonia, la strada passa accanto agli accampamenti dei migranti che percorrono la rotta balcanica, respinti al confine.
Attraverso un racconto intimo si affrontano i temi dell’immigrazione di ieri e di oggi, della clandestinità, dei rapporti intergenerazionali, dei rapporti umani in generale e delle difficoltà comunicative, da un punto di vista sia emozionale, fatto di non detti e di tensioni sopite, sia materiale, in un’epoca in cui non c’erano ancora le tecnologie apposite.
È una storia di confine: confini nascenti, che cambiano e che si ridisegnano, spesso esplicitati attraverso mappe scritte in alfabeto cirillico, perfettamente incorporate nella narrazione. La guerra rimane sempre sullo sfondo, una presenza silenziosa che fa capolino nelle parole dei personaggi, in un programma che passa alla radio, nelle architetture che raccontano il decadimento di una regione. L'architettura, anche per gli studi e gli interessi dell’autore, ha un ruolo centrale, mostrando il passare del tempo e il declino della società.
Boban Pesov affronta la scrittura di una sceneggiatura per la prima volta e sceglie di privilegiare l’aspetto di spontaneità dei dialoghi, senza riempire le tavole di parole e preferendo far parlare il disegno.
Per la struttura del racconto utilizza un approccio cinematografico, immaginando di dover dirigere un film e di avere in mano una macchina da presa. In fondo, come si nota subito dal titolo, un chiaro riferimento a Sergio Leone, Pesov è un grande amante del cinema.
L’approccio alle tavole, realizzate digitalmente, è quello da disegnatore su carta. Pesov utilizza un solo pennino senza cambiarne lo spessore e mantiene ferma la pagina, come se avesse un foglio davanti. Anche la gabbia è disegnata a mano, ogni singola linea e vignetta sono disegnate da zero, anche quando si ripetono elementi uguali. L’autore vuole mostrare le imperfezioni che fanno parte di ogni esperienza, anche quella del fumettista. Vuole che si notino le più piccole differenze e ci si soffermi sull’elemento umano che è alla base dell’eccezionalità di ogni opera.
Lo stile graffiato ben si sposa con la narrazione. La linea è semplice, con un tratto asciutto e una definizione attenta dei dettagli, che porta chi legge a passare diverso tempo su ogni vignetta e tornare spesso indietro per rileggere e cogliere elementi che possono essere sfuggiti a un primo sguardo. Le ambientazioni sono rese con ammirevole cura, mentre per le figure umane è usato un tratto semplice ma espressivo che trae ispirazione da Paco Roca.
Boban Pesov intreccia abilmente ironia e dramma, accompagnandoci per quasi 200 pagine tra ricordi, tensioni, vecchie cicatrici e la ricerca di un’identità e un posto nel mondo.
Storie come questa sono importanti perché ci permettono di immedesimarci in vite anche molto diverse dalle nostre, facendoci empatizzare con situazioni a noi estranee, come le vicende di persone discriminate e marginalizzate. La naturalezza della vita quotidiana e dei piccoli gesti che accomunano l’esperienza umana parla a ciascuno di noi, indipendentemente dai confini in cui ci troviamo.
E alla fine la speranza si trova proprio nelle persone, nella solidarietà e nell’incontro di vite diverse, che si sfiorano e si intrecciano come percorsi segnati su una cartina geografica.
Lavinia Buffa